A Trieste il primo Atlante Lunare

Nel 1895 Trieste ospitò Johann Nepomuk Krieger (1865 – 1902), un eccezionale astrofisico divenuto poi famoso in tutto il mondo.
(Foto da Enciclopedia monografica del FVG) 300px-AA_Krieger01[1]Nato in un Land della Baviera, a vent’anni vendette la birreria ereditata dal padre per trasferirsi a Monaco dedicandosi con passione agli studi di astronomia. (nota 1)
Qui si costruì un osservatorio privato fornito di un potente telescopio per scrutare la Luna dalla quale era irresistibilmente attratto. (nota 2)
Nel 1895 decise di trasferirsi a Trieste ritenendo migliore il suo clima e la visione del cielo, scegliendo un’elegante villa sul colle di San Vito ubicata in via Alice 6 (nota 2), allora piuttosto isolata dalla città ma in una posizione aperta e senza le rifrazioni dell’illuminazione pubblica.
La villa Pia Sternwarte in una foto d’epoca (da Enciclopedia Monografica del FVG)Autocertificazione 2014Progettato sulla torretta una sorta di osservatorio e installatovi il telescopio Reinfelder, iniziò a studiare la possibilità di stilare una serie di cartografie lunari con un metodo da lui stesso escogitato.
(Foto da divulgazione.uai.it)300px-AA_Krieger03[1]

Il Krieger passò così notti su notti nella specola attaccato all’oculare del rifrattore usando massime aperture e forti ingrandimenti per cogliere tutti i particolari della superficie lunare.
Scattate una serie di fotografie settoriali le stampava poi a basso contrasto per poter apporvi accurati disegni a matita e carboncino che riproducevano i particolari notati nelle visioni telescopiche.

Dopo un estenuante lavoro nel corso del 1897 riuscì a eseguire 103 disegni, l’anno successivo ne completò 458 continuando questa produttività per tutto il 1899.
Nel 1898 Krieger riuscì a pubblicarne il primo volume dell’Atlante contenente 28 tavole con un risultato esteticamente gradevole e meticoloso che fino allora non era stato raggiunto da nessun astronomo.
La speranza di completare le mappe dell’intera superficie lunare però non si avverrò e nel 1901 la sua salute, compromessa per le prolungate permanenze al freddo della specola, si aggravò a tal punto da essere costretto ad abbandonare Trieste trasferendosi nel clima mite di Sanremo.
Dopo un calvario in vari sanatori italiani Krieger morì a soli 37 anni lasciando la moglie e un figlio in tenera età.

I cento disegni delle mappe, in parte anche incompleti, vennero visionati dal professor Hugo von Seelinger poi affidati per il completamento all’astrofilo Rudolf König, vennero infine stampati nel 1912 dall’ Accademia delle Scienze di Vienna con il titolo Mond- Atlas.
Autocertificazione 2018In riconoscimento dell’importante lavoro svolto da Johann Krieger, nel 1935 la Comunità Astronomica Internazionale gli dedicò un cratere lunare con il suo nome. (nota 4)
600px-AA_Krieger08[1]Prima della sua partenza da Trieste lo stesso Krieger donò il telescopio Reinfelder all’Imperial Regio Osservatorio marittimo (nota 5) nel castelletto Basevi di via Tiepolo, oggi denominato Istituto Nazionale di Astrofisica, dove ancora oggi si trova. (nota 6)
Osservatorio%20Astronomico[1]Note:

1. Non avendo perseguito studi classici di astronomia Margherita Hack lo definì un “astrofilo” compiacendosi dei brillanti risultati da lui ottenuti;

2. Costruito dalla ditta “Reinfelder und Hertel” aveva un rifrattore con una lente da 254 mm di diametro e una lunghezza focale di 3580 mm.;

3. La villa chiamata Pia Sternwarte, dal nome della moglie di Krieger, fu costruita da Isidoro Piani nel 1892; è tuttora esistente in via Don Minzoni seppure ristrutturata e nascosta dagli alberi dei giardini circostanti;

4. Il cratere Krieger, situato a Ovest della Luna, ha un diametro di 23 km e una profondità di 1000 metri;

5. Dal 1923 denominato Regio Osservatorio Astronomico e dal 1946 Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF);

6. Il rifrattore Reinfelder fu revisionato nel 2007.

Fonti:
Margherita Hack, “Il cielo della regione” da un articolo pubblicato sull’Enciclopedia Monografica del FVG;
A. Seri, S. degli Ivanissevich, San Vito, Ed. Svevo, Trieste, 2009;
divulgazione.uai.it

Lucia Joyce

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Nonostante la nascita della piccola Lucia il 26 luglio, l’estate del 1907 fu molto tormentata per la famiglia Joyce.
Non solo il loro unico sostentamento consisteva nel modesto stipendio di James alla Berlitz School, mancandogli richieste di lezioni private e di articoli giornalistici, ma si frammisero pure dei problemi di salute.
Afflitto da dolorose febbri reumatiche e da problemi oculistici, Joyce sarà ricoverato per un mese all’Ospedale municipale e a casa ne trascorrerà un altro di convalescenza. (nota 1)
Nora stentava a riprendersi dal parto e dopo essere stata dimessa dall’ospedale con un misero sussidio di 25 corone, sofferse una serie di febbri che la costrinsero a sospendere l’allattamento della bambina.

Sfrattati un’altra volta per morosità, i Joyce furono costretti a traslocare sistemandosi in due camere ammobiliate di una vecchia palazzina del Corso. (nota 2)
La loro vita divenne così sempre più difficile tra la miseria, gli abusi alcolici di James e i malumori di Nora, eppure nonostante tutto la coppia riusciva a rimanere unita se non altro per una forte quanto reciproca attrazione sessuale che allentava i continui litigi.
Superati i problemi di salute, Joyce sarà assunto alla Scuola di Commercio Revoltella migliorando notevolmente la situazione finanziaria della famiglia.

Giorgio e Lucia intanto crescevano tra l’interesse fluttuante del padre, concentrato sui suoi scritti e le svagatezze della madre. Iscritti alla scuola Parini, la frequentarono senza risultati eccelsi ma anche senza difficoltà, anzi, si integrarono benissimo imparando talmente bene il dialetto triestino da parlarlo fluidamente.
(Nella Foto Nora con Giorgio e Lucia nel 1918)nora_kids[1]Divenuta una bellissima adolescente, seppur affetta da un leggero strabismo, Lucia iniziò ad avere delle incomprensioni con la madre e dei comportamenti stravaganti. Se le liti, le instabilità della famiglia con i continui trasferimenti di domicilio erano delle concause per il senso di provvisorietà e insicurezza non potevano essere altrettanto imputabili per i disturbi nervosi emersi negli ultimi anni trascorsi a Trieste.

Dopo la definitiva partenza dei Joyce e il trasferimento a Parigi, Lucia troverà delle forme espressive nella danza, cui si dedicò dal 1923 al 1929 per poi frequentare una scuola di disegno, abbandonata per aver deciso di scrivere un romanzo.
lucia-joyce[1]A peggiorare ulteriormente le sue condizioni psichiche fu l’infatuazione per il giovane irlandese Samuel Beckett, allora insegnante alla École Normale Supérieure e collaboratore di James Joyce per la traduzione in francese delle pagine già scritte del Finnegans Wake.
Frequentando la loro casa, Samuel si era offerto di accompagnare Lucia in teatri e ristoranti ma oltre a non esserne innamorato, si accorse della sua instabilità ormai rasente la pazzia.
Quando nel 1930 decise di interrompere i loro rapporti, la ragazza scivolò verso un punto di non ritorno. (nota 3)
Fu anche avanzata l’ipotesi, mai confermata, che si fossero aggiunti dei problemi di salute conseguenti a un aborto, comunque fu accertato che dopo la brusca rottura con Beckett Lucia si abbandonerà a una serie di relazioni promiscue. (nota 4)
La sua situazione non migliorerà nemmeno dopo il breve fidanzamento con Alec Ponisovsky, anzi, da allora alternerà momenti di catatonia a lunghe, sconclusionate affabulazioni. (nota 5)

Tormentato dai sensi di colpa James tenterà l’impossibile per prendersi cura della figlia sia occupandosene in prima persona che girando l’Europa alla ricerca di specialisti e di soluzioni alternative al ricovero.
57a816c2125a0eba4a4c163a1612246b[1]Alla fine del 1936, dopo alcuni tentativi di suicidio, Lucia sarà internata coattivamente in una casa di cura fuori Parigi, dove il padre la raggiungerà ogni settimana.
“Schizofrenica, con elementi pitiatici, catatonica, nevrotica con ciclotimia, schizofrenica” saranno le diagnosi più frequenti dei molti medici che la visiteranno. (nota 6)

Scoppiata la guerra, mal ridotto in salute e profondamente depresso, alla fine del 1940 James sarà costretto a trasferirsi a Zurigo con Nora e il figlio Giorgio con l’intenzione di trasferirvi anche Lucia.
Il 9 gennaio 1941, a poche settimane dal suo arrivo, in preda ad atroci dolori sarà operato per la perforazione di un’ulcera duodenale. Nella notte del 12 le sue condizioni precipiteranno e alle 2.15 del giorno 13 passerà dal coma alla morte.

Lucia apprenderà la notizia da un giornale e solo dopo parecchio tempo dirà a un visitatore: «Cosa sta facendo sotto terra quell’imbecille? Quando si deciderà di andarsene? Ci sta guardando tutto il tempo» (nota 7), uno sbottare che spiega molto del suo sentirsi ancora perseguitata dalla figura paterna.
In balia di una madre e un fratello che si disinteresseranno di lei (nota 8), accudita solo da un paio di amiche, Lucia sarà trasferita al St. Andrew’s Hospital di Northampton (Inghilterra).
(Nella foto l’ospedale psichiatrico)Main_Building_without_cars_and_flagpole_800x530[1]Dopo la morte avvenuta a 75 anni il 12 dicembre 1982, sarà sepolta nel cimitero della città, lontana da tutti i Joyce.
dbImage[1]NOTE:

1. Nel testo JAMES JOYCE Gli anni di Bloom il professor John McCourt avanza l’ipotesi che lo scrittore potesse essere stato afflitto dalla sifilide, il cui esordio potrebbe risalire al maggio dello stesso anno e le cui conseguenze si sarebbero manifestate con altre ricadute nel corso della vita;

2. Al primo piano del palazzetto tra il Corso e via Santa Caterina; qui James Joyce scrisse l’episodio “I Morti” dell’ Ulisse;

3. Negli anni successivi Beckett manterrà comunque un rapporto epistolare anche se discontinuo con Lucia;

4. Dal testo di C.L. Shloss, Lucia Joyce. To Dance in the Wake;
5. Ivi
6. Ivi
7. Ivi

8. Nora Barnacle morirà a Zurigo nel 1951

FONTI:

John McCourt, JAMES JOYCE Gli anni di Bloom, A.Mondadori Ed., Milano, 2004
Per le note relative al testo cit. della Shloss:
http://www.humantrainer.com/articoli/danza-drammatica-padre-figlia.html

INCONTRI Svevo e Joyce

IMG_0660Come si è scritto nel precedente articolo, il 27 maggio 1955 il professor Stanislaus Joyce volle congedarsi dalla sua lunga carriera universitaria con la lettura di “The meeting of Svevo and Joyce,” un breve testo che ripercorreva l’incontro a Trieste dei due scrittori e l’intreccio delle vicende che li portarono alla loro straordinaria fama letteraria.
L’incontro di Ettore Schmitz (nota 1) e James Joyce avvenne alla Berlitz School tra gli anni 1906/07 e la loro immediata quanto reciproca intesa fu seguita da una serie di scambi letterari che nel tempo portarono a clamorosi sviluppi.
Se il ventiquattrenne James durante le noiosissime lezioni svolte a villa Veneziani amava leggere i racconti appena scritti di Gente di Dublino Ettore gli raccontava dell’assoluta indifferenza di critica e di pubblico dopo la pubblicazione nel 1892 del suo libro Una vita constatando che “Uscì nato morto dalla tipografia”.
Ma fu la lettura di Senilità, stampato nel 1898 ancora senza successo, a suscitare l’interesse di Joyce che si espresse con una battuta poi rimasta famosa: “Ma lo sa che Lei è uno scrittore negletto?
Schmitz si commosse fino alle lacrime quando il suo giovane insegnante, squattrinato ma sicuro di sé, dotato di eccellente memoria, recitò brani del romanzo in questione, per il quale più tardi, quando venne tradotto in inglese, egli stesso suggerì il titolo As a Man Grows Older” riferì Stanislaus nel corso della sua lezione, seguitando a raccontare, con un pizzico di umorismo, che Ettore si entusiasmò a tal punto da aver voluto accompagnare James fin sotto casa parlandogli per tutto il tempo delle sue sventure letterarie.

Gli entusiasmi di entrambi furono però sminuiti da alcuni intellettuali triestini come il saggista Giulio Caprin o il presidente della “Minerva” Nicolò Vidacovich che sentendo il nome di Italo Svevo si espressero con un inappellabile dissenso. “Semi-illetterati!” fu il commento di Joyce ritenendo che: “un critico debba avere egli stesso una scintilla di genio in sé per scoprire la scintilla del genio di un altro”.
Nonostante tutto Ettore Schmitz, o meglio il suo irrinunciabile pseudonimo Italo Svevo, dopo lunghi anni di inattività letteraria, riprese a scrivere e ancora ad autopubblicare nel 1923 presso la casa editrice Cappelli il romanzo La coscienza di Zeno. 
“Un grande finanziere e un grande industriale” lo definirono sarcasticamente i critici, “Un fiore nato tra i barili di vernice per le carene delle navi” fu invece il commento di Joyce che dopo aver letto il libro consigliò l’amico, del tutto demoralizzato, a spedirlo con la sua raccomandazione a certi critici francesi.
Va notato che per mio fratello la cosa d’importanza primaria era la soddisfazione dell’artista per la propria opera: il successo presso il pubblico era, invece, una faccenda del tutto secondaria” volle specificare Stanislaus.

Ma finalmente un noto critico francese, provvisto di “qualche scintilla di genio”, apprezzò l’ironica originalità del libro di Zeno e l’anno successivo informò Ettore Schmitz del successo riscontrato nei circoli parigini.
Ottenuti i permessi di pubblicazione e trascorsi i tempi per le traduzioni, alcuni brani di Senilità e de La coscienza di Zeno vennero pubblicati su alcune autorevoli riviste francesi con ottime recensioni.
Italo Svevo, scrittore assai amato da alcuni dei migliori “italianisants” stranieri e ignoto un patria, costituisce il “caso” più singolare che offre oggi la nostra repubblica libresca” scrisse lo scrittore-poeta Eugenio Montale su un articolo del gennaio 1926 apparso su “Il Quindicinale” contribuendo al riconoscimento dei testi sveviani anche in Italia. (note 2 e 3)

Nel ripercorrere le vicende tra i due scrittori il professor Stanislaus Joyce volle però ribadire che buona parte dei riconoscimenti fu dovuta al fratello James, fatto ammesso dallo stesso Svevo con una frase dolce e nello stesso tempo amara: “Joyce mi ha regala to un tramonto dorato”.
Per contro ammise che fu Svevo a fornire a Joyce delle informazioni sull’ebraismo poi usate per il personaggio di Leopoldo Bloom dell’ Ulisse che sarà pubblicato nel 1922 tra un’alternanza di critiche.

Svevo e Joyce Ultimo atto

A Ettore Schmitz rimase poco tempo per assaporare il suo successo: il 12 settembre 1928 ritornando da un periodo di cure termali a Bormio fu coinvolto in un incidente stradale presso Motta di Livenza rimanendo ferito in modo apparentemente non grave (nota 4). Sopravvenuta una grave insufficienza cardiaca morirà 67enne il giorno successivo lasciando incompiuto il suo quarto romanzo che sarebbe stato il seguito de La coscienza di Zeno.
(Nella foto la cappella dei Veneziani al Cimitero Sant’ Anna di Trieste)HPIM0585HPIM0586Dopo l’uscita nel 1922 dell’ Ulisse e nel 1927 delle Poesie da un soldo, con una stesura protratta per 16 anni, nel 1939 James Joyce pubblicherà Finnegans Wake che fu accolto da durissime critiche.
La sua vita era ormai allo sfascio: la salute psico-fisica peggiorava, la figlia Lucia languiva in un ospedale psichiatrico, il figlio Giorgio divenuto alcolista aveva distrutto il suo matrimonio con una ricca ereditiera americana e la guerra era ormai alle porte.
Trasferitosi con Nora a Zurigo nel dicembre 1940, il 9 gennaio 1941 fu ricoverato in ospedale e sottoposto a un’operazione per un ulcera perforata quando già era in atto una peritonite che lo porterà alla morte alle 2.15 del 13 gennaio.
Le sue ceneri si trovano al cimitero di Fluntern a Zurigo (nota 5)4720658236_2d68ee926e[1]

Note:

1. Aron Hector Schmitz nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da un padre ebreo di origine tedesca (il nonno Astolfo era giunto a Trieste come funzionario dell’ Impero asburgico) e da madre italiana. La conversione al cattolicesimo avvenne in occasione del matrimonio con Livia Veneziani nel 1896;

2. Già nel 1925 Montale pubblicando sulla rivista L’esame l’articolo “Omaggio a Italo Svevo” diede inizio alla popolarità dei suoi romanzi.
Il rapporto tra i 2 scrittori continuerà poi con una fitta corrispondenza proseguita fino agli ultimi anni di vita di Ettore Schmitz;

3. Dopo essere passato per i tavoli di vari altri editori il libro Senilità verrà pubblicato nel 1927 dall’editore Morreale;

4. Nell’incidente Svevo riportò una frattura al femore ma le complicazioni furono causate da un enfisema polmonare di cui soffriva da tempo;

5. Nel 1951 sarà sepolta la moglie Nora e nel 1951 il figlio Giorgio.

Fonti:

Stanislaus Joyce, JOYCE NEL GIARDINO DI SVEVO, MGS PRESS, Trieste, 1995
Il manoscritto di Stanislaus Joyce si trova alla Biblioteca Civica di Trieste;
Il testo venne pubblicato dall’Editore Del Bianco di Udine nel 1965.

Il professor Joyce

Menzionando il professor Joyce si penserebbe subito a James Joyce, che fu sicuramente un professore prima di essere riconosciuto come uno dei più grandi scrittori del Novecento, ma si vorrebbe qui ricordare il fratello, professor Stanislaus Joyce, insegnante per 33 anni di Lingua e Corrispondenza inglese all’Università di Trieste, città in cui visse per ben 50 anni e dove sono conservate le sue spoglie.da68c92ea7ff43498a22d472b67669ed (1)Stanislaus, secondogenito dopo James, nacque nel 1884 a Dublino dove passati i tempi di agiatezza, visse anni difficili assieme agli altri 10 fratelli e sorelle.
Il padre John, spendaccione e alcolista, perse tutte le proprietà ereditate e con il modesto lavoro da esattore delle tasse costrinse la numerosa famiglia a grandi ristrettezze, per di più peggiorate dopo la morte nel 1903 della moglie Mary Murray (nella foto)
0a69f23cf994a844bcef12afcc4da49644df7cf4[1]Nell’autunno del 1905 il giovane Stanislaus decise di raggiungere il fratello James a Trieste (nota 1) accettando un impiego come insegnante d’inglese alla Berlitz School (nota 2) dove in seguito divenne vice direttore.
(Nella foto il palazzetto sede della scuola)berlitz_school-trieste-turismoletterario[1]

Nonostante i problemi, le alterne vicende e gli anni di internamento, visse sempre a Trieste senza far più ritorno a Dublino.

Dal momento del suo arrivo in città fu costretto a dare gran parte dei suoi salari per sostenere il fratello con la sua compagna Nora Barnacle e i figli Giorgio e Lucia, che nasceranno rispettivamente nel 1905 e 1907, e per un certo periodo anche le sorelle Eileen ed Eva che James aveva invitato a Trieste senza lontanamente pensare al loro mantenimento.

Durante la Grande Guerra Stanislaus fu coinvolto dai movimenti politici e come cittadino di una nazione nemica dal 1915 al 1918 venne internato nel campo di Katzenau in Austria mentre James riuscì a rifugiarsi nella neutrale Zurigo.
(Nella foto il campo di concentramento austriaco)400px-KatzenauAustrianLager[1]Dopo il 1919 i 2 fratelli si riunirono per un breve quanto turbolento periodo in via Sanità (oggi via Diaz 2) dove viveva la sorella Eileen con il marito Frantisek Schaurek e i loro 2 figli.
Ma a Trieste erano ormai iniziati grandi cambiamenti e nel 1920 James decise di trasferirsi a Parigi permettendo al fratello di occupare il posto di professore d’inglese alla Scuola Superiore di Commercio di fondazione Revoltella (nota 3) che divenne poi sede universitaria e dove insegnò per 33 anni al Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere.
Nella foto la sede della Scuola Superiore di Commercio in via del Torrente (oggi via Carducci 12).Autocertificazione 2978

Nel 1928, ormai 45enne, Stanislaus si sposò con Nelly Lichtensteiger, una sua giovane ex studentessa figlia di un ricco commerciante triestino di origine austriaca; nonostante la differenza di età e di censo, il loro legame fu solido e felice.

Con l’avvento del fascismo avanzarono nuove difficoltà e sebbene si fosse sempre astenuto da esporre qualsiasi posizione politica (nota 4) nel 1936 evitò solo grazie a delle conoscenze di perdere il lavoro all’Università e di essere espulso dall’Italia.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la situazione precipitò e Stanislaus fu internato a Firenze dove assieme alla moglie Nelly sopravvisse a condizioni atroci. Nonostante le durissime ristrettezze i coniugi Joyce non solo rimasero uniti ma ebbero anche una grande sorpresa: nel 1943, dopo bel 15 anni di matrimonio, nacque il loro unico figlio a cui fu dato il nome di James, come lo zio morto due anni prima.

Per quanto i rapporti con il fratello fossero stati spesso burrascosi, Stanislaus risentì molto la sua scomparsa e se da una parte si fosse lamentato di sentirsi “il fratello bistrattato di un genio”, dall’altra raccolse i suoi manoscritti, salvò carte, lettere e documenti, rilasciando interviste e conferenze, scrivendo articoli su ricordi e aneddoti contribuendo alla raccolta di un materiale biografico che altrimenti sarebbe andato perduto.
A sua volta James, divenuto ormai famoso, nell’ultima lettera inviata al fratello prima di morire, gli trasmise nomi e indirizzi di quanti avrebbero potuto aiutarlo, dimostrando così un’affettuosa riconoscenza per tutti gli aiuti ricevuti durante i loro difficili anni vissuti a Trieste.

Ritornato con la moglie e il figlio a Trieste, Stanislaus riprese l’insegnamento alla facoltà universitaria di Economia e Commercio assumendo contemporaneamente l’incarico di interprete ufficiale del Governo Militare Alleato.

Negli anni Cinquanta, troppo anziano per portare a termine un testo soddisfacente su James Joyce, instaurò un intenso rapporto con Richard Ellmann occupato nella stesura di una colossale biografia dello scrittore.
Come cittadino straniero non ricevette nessuna pensione (nota 5) e trovandosi a 70 anni in una precaria situazioni finanziaria, riordinò tutti gli scritti e documenti del fratello iniziando delle trattative di vendita.

Ufficialmente “pensionato” dall’ottobre 1954 per limiti di età, tenne la sua ultima lezione all’Università il 27 maggio 1955 sull’argomento “The Meeting of Svevo ad Joyce”.
Ricoverato in ospedale pochi giorni dopo, morì il 16 giugno 1955, proprio per il Bloomsday, il giorno entrato nella storia della letteratura in cui svolge la trama dell’ Ulysses. (nota 6)
Dopo l’orazione funebre di Pierpaolo Luzzatto Fegiz il professore Stanislaus Joyce sarà sepolto al Cimitero Evangelico Di Confessione Augustana Ed Elvetica (nota 7)
(Nella foto la tomba di famiglia nel Cimitero Evangelico di via Slavich, 2).IMG_1082Le trattative di tutti gli incartamenti di James Joyce raccolti nel corso degli anni, saranno svolte da Nelly Lichtensteiger, vedova di Stanislaus, che si assicurerà così una sicurezza finanziaria per sé e il piccolo James.

Note:
1. Da una lettera di James al fratello nel settembre del 1905: “Potresti trascorrere qui soltanto un inverno […] e Trieste potrebbe anche risultarti non sgradevole”;

2. La Berlitz School, fondata da Almidano Artifoni nel 1901, si trovava al primo piano del palazzo di via San Nicolò 32 ed era composta da quattro aule.
In seguito divenne la sede storica di Zinelli & Perizzi; oggi si trovano i magazzini Zara;

3. La scuola fu istituita nel 1876 per volontà testamentaria del barone Pasquale Revoltella;

4. Nelle lettere al fratello James confidò però le sue simpatie per la causa italiana;

5. Gli venne comunque elargita una buona liquidazione;

6. “Sulle sue labbra c’era quel sorrisetto ironico che aveva ogni volta che diceva qualcosa di divertente” scrisse la moglie Nelly ricordando gli ultimi momenti di vita;
Era un tipo alto, vestito all’inglese, col frontino del berretto abbassato sugli occhi, un po’ eccentrico, ma spiritoso” scrisse di lui l’allieva Ilse Matisek;

7. Nel 1990 sarà sepolta anche la moglie Nelly Lichtensteiger.
IMG_1083Fonti:

Stanislaus Joyce, Joyce nel giardino di Svevo, MGS PRESS, Trieste, 1995
(Da un articolo del professor John McCourt, autore del saggio “Gli anni di Bloom. James Joyce a Trieste 1904-1920“)

Altre notizie e foto delle abitazioni dei fratelli Joyce su:
http://www.museojoycetrieste.it/joyce-stanislaus/
www.turismoletterario.com

Joyce in love (seconda parte)

$_57[1]Quando nel 1968 la Mondadori pubblicò Giacomo Joyce con il sottotitolo “Il racconto inedito di un suo amore triestino” fu immediatamente sollevata la questione sulla identità della misteriosa Lady che lo ispirò.
Dai labili indizi fu assodato si trattasse di una giovane allieva, figlia di una famiglia benestante residente su un colle, ma dopo la domanda iniziale sul “Chi” lei fosse, ci si pose anche quella sul “dove” lei abitasse.
Nella prima pagina del testo si trova una singolare descrizione:
L’aria invernale del castello, corazze di maglia appese, candelabri di ferro grezzo nelle curve della scala a spirale della torre.”
Quindi non si trattava di una villa ma addirittura di un castello con tanto di corazze a decoro delle pareti e se la torre richiamerebbe l’immagine dell’imponente residenza Irneri di via Bellosguardo non poteva però esistere la sua ricca collezioni di armi che fu acquistata dai de Galatti appena negli anni Sessanta. (nota 1)

Sicuramente Joyce frequentò la villa dei Popper in via Alice (oggi Don Minzoni 16) dove impartiva lezioni d’inglese alla loro giovane figlia Amalia e fu proprio Richard Ellmann, il biografo ufficiale di Joyce, a insinuare che la giovane amata da Giacomo fosse proprio lei. (nota 2)
Il fatto che la pubblicazione del testo Giacomo Joyce avvenne solo l’anno dopo la morte di Amalia Popper nel giugno del 1967 contribuì ad alimentare i dubbi sulla sua identificazione come la misteriosa Lady amata dallo scrittore.
i_029[1]A rimescolare l’interpretazione di Ellmann ci pensò nel 1982 il letterato triestino Stelio Crise (nota 3) che identificò in Anna Maria Schleimer, detta Annie, l’amore segreto di Joyce sostenendo che tra loro vi fossero stati persino dei progetti matrimoniali. In effetti all’epoca Joyce non era sposato con Nora Barnacle (nota 4) ma il loro era un legame forte, testimoniato non solo per il notevole tasso erotico delle lettere che si scambiavano, ma anche per la nascita dei figli Giorgio nel 1905 e Lucia nel 1907.
Comunque quando Annie espresse le sue intenzioni con il padre (nota 5) le lezioni del professore terminarono bruscamente provocandole una forma depressiva da cui non si riprenderà mai del tutto. (nota 6)
Qui una ventenne Annie Schmeimer in una foto di famiglia (Museo Joyce) JT-05-26-1024x657[1]

Nel 1996 il giornalista-scrittore Roberto Curci nel libro Tutto è sciolto, propose invece come possibile identificazione della misteriosa donna descritta nel Giacomo Joyce la giovane Emma Cuzzi basandosi sui seguenti indizi: il fatto che lei avesse subito un’operazione di appendicectomia (“il ferro del chirurgo è penetrato nelle sue carni e se ne è distaccato lasciandole sul ventre la cruda piaga sgraziata del suo passaggio. O Dio libidinoso!“), la certezza che lei, a differenza di Amalia Popper, andasse a cavallo e che fosse nata da un matrimonio ebraico-cattolico menzionato nel testo come “intermarriage“.
Emma[1]Sarebbe comunque da considerare il fatto che tra gli anni 1910 e 1914 molte furono le allieve del professore, notoriamente sensibile al fascino femminile e in questo contesto pure profuso di giovinezza e contornato da ricche residenze. Tra loro menzioniamo anche Maria Luzzatto Fegiz e Olivia Hannapel, entrambe ben più belle di Emma e Annie e noi vorremmo maliziosamente aggiungere anche “troppo belle” per un professore stravagante e squattrinato.Autocertificazione 2970(Nella foto una giovane Maria Luzzato)

Inoltre il fatto che nessuna delle eleganti ville dove si svolgevano le lezioni d’inglese corrispondessero alla descrizione sulla prima pagina del Giacomo Joyce contribuisce ad alimentare i molti dubbi.

“Chi” dunque fu l’amore triestino di James Joyce? Mah… Ci viene in mente una battuta di Miss Douce nelle “Sirene” dell’Ulisse:
Non far domande e non sentirai menzogne

Note:

1. Da un articolo su “Il Piccolo” del marzo 2013;
2. Da un articolo sul “Corriere della sera” del 27 febbraio 1969;
3. Durante la commemorazione del centenario dalla nascita di Joyce tenutasi nella sala del ridotto del Teatro Verdi il 1° febbraio 1982;
4. L’incontro di James e Nora avvenne nel 1904, il matrimonio nel 1931;
5. Andrea Schleimer era un ricco commerciante di spezie e agrumi (Renzo Crivelli);
6. Rimasta nubile morirà in una Casa di Riposo a Gorizia nel 1972.

Fonti:

James Joyce, Giacomo Joyce, EDB Edizioni, Milano, 2014
Renzo S. Crivelli, Una rosa per Joyce, MGS Press, Trieste, 2004
Roberto Curci, Tutto è sciolto, L’amore triestino di Giacomo Joyce, Edizioni LINT, Trieste, 1966
http://www.museojoycetrieste.it/opere/giacomo-joyce/

Popper Amalia

Cuzzi Emma

Joyce in love (prima parte)

IMG_0654Giacomo Joyce, l’enigmatico testo di James Joyce scritto negli anni in cui visse a Trieste, rivela qualche frammento di un’insopprimibile attrazione verso una sua giovane e non identificata allieva a cui impartiva lezioni d’inglese in una villa della città.
Lo scritto in forma di appunti fu rinvenuto dal fratello Stanislaus dopo la partenza di James nel 1920 (nota 1) e si ritenne fosse stato scritto tra il 1912 e il 1914.

Who?” la domanda che costituisce l’incipit di questa sorta di taccuino lascia intuire che lo scrittore non volesse affatto svelare di chi fosse quel “pallido volto circondato da pesanti pellicce odorose. I suoi movimenti sono timidi e nervosi. Lei usa il monocolo. Sì: una breve sillaba. Una breve risata. Un breve battito di palpebre”. Una donna affascinante sembra a noi, “una giovane persona di qualità” la definisce lui aggiungendo “Le lunghe palpebre battono e si aprono: una puntura che scotta e vibra sull’ iride vellutato”. Insomma quasi un folgorante coup de foudre descritto con una delicatezza che da Joyce non ci saremmo aspettati.

Quando la giovane Lady va a cavallo lui la osserva: ” Il grigio tramonto le modella delicatamente le esili anche proporzionate, il collo dai tendini docili e elastici, il capo dalla fine ossatura” e quando una sera la incrocia per strada parlandole di lezioni e orari s’accorge che: “lentamente le sue pallide guance si illuminano di un’accesa luce d’opale” come se quell’incontro inaspettato le avesse provocato un’emozione talmente intensa da farla impallidire.
Quindi il professore non le doveva essere indifferente, del resto James aveva allora trent’anni e doveva essere un uomo di grande fascino…

Ma un’altra scena colpisce il nostro “immaginario”, senza però capire se sia il nostro o il suo:
Lei alza le braccia in un tentativo di allacciarsi alla sommità del collo un abito di velo nero. Non ci riesce: no, non ci riesce. Indietreggia muta verso di me. Alzo le braccia per aiutarla: le sue braccia ricadono. Prendo i soffici e aggrovigliati orli del suo abito e, tirandoli per allacciarli, vedo attraverso l’apertura del velo nero il suo corpo sottile inguainato in una sottoveste arancione. Scivola sui nastri che glielo fermano sulle spalle e cade lentamente. Un corpo sottile, liscio e nudo che riluce di scaglie argentate. Scivola lentamente sulla natiche snelle d’argento levigato e sul loro solco, un ombra d’argento opaco… Dita, fredde e calme in movimento… Un contatto, un contatto”. Questo sottile, delicato erotismo svelerebbe un inconfessabile desiderio del professore dal momento che la sua presenza nella villa fosse giustificata per impartire lezioni di inglese e non certo per concupire la figlia dei padroni.
La scena comunque s’interrompe, per poi riproporne un’altra più castigata: “Una sottana ripresa per un improvviso movimento del ginocchio; un bianco orlo di pizzo per una sottoveste esageratamente sollevata, la tesa rete di una calza”, così ci sorge il dubbio che la giovane allieva ci mettesse un po’ di malizia…

Ma se fosse solo un sogno? Un desiderio irrealizzabile e consapevole che “quell’età è qui e ora” rendendosi conto che “gli occhi offuscano la luce dell’alba, il loro bagliore è la schiuma che copre la corte del bavoso James” quando si perdeva nelle osterie tra il vino e le prostitute sporche di sifilide:
Lei si appoggia ai cuscini addossati al muro: profilo di odalisca nella lussuriosa oscurità. I suoi occhi hanno bevuto i miei pensieri: e nell’umido caldo malleabile accogliente buio della sua femminilità il mio spirito, dissolvendosi, è sgorgato e si è versato e ha inondato di un seme liquido e abbondante… Ora la prenda chi vuole!...”

Certo che leggendo Joyce sembra di trovarsi su un Tagadà che si ferma all’improvviso causando una scombussolante perdita di equilibrio e ci si chiede se le descrizioni si riferissero a personaggi diversi come appunti preparatori di un testo non scritto:
Why?” si chiede anche lo stesso Joyce nell’ultima parte del taccuino:
“Scorrimento – spazio – anni – fogliame di stelle – e paradiso calante – quiete – e più profonda quiete – pace di annientamento – e la sua voce” concludendo il breve testo con un’immagine melanconica:
Un lungo pianoforte nero: bara di musica. In equilibrio sull’orlo un cappello da donna, rosso fiorito, un ombrello ripiegato”.

(continua nella seconda parte)

Nota 1: Il testo fu in seguito affidato dalla vedova di Stanislaus a Richard Ellmann, autore di una monumentale biografia di Joyce.
Tratto da: James Joyce, Giacomo Joyce

Franz Liszt al Castello di Duino

1300195706805_Foto_1_Franz_Liszt_-_Collezione_Burger[1]Su una pagina dei diari della giovanissima principessa Marie Hohenlohe (nota 1) fu ricordato l’arrivo di Franz Liszt nella villa di famiglia a Castelvecchio di Sagrado. (nota 2).
storia5_grandeSull’emozionante incontro con il maestro avvenuto il 16 maggio 1869 la 14enne Marie scriverà:

E’ venuto con il giovane sassone Leitert, è una cosa meravigliosa! Si è messo più volte al piano (da solo perché nessuno osava domandarglielo) sul nostro piccolo Pleyel, con improvvisazioni sui temi viennesi e una sonata di Beethoven. Sono stata obbligata a suonare con lui, poi con Leitert e poi da sola, ma che paura avevo, che paura…
Autocertificazione 2960Invitato il giorno dopo al Castello di Duino di cui si dimostrò entusiasta, Liszt si concederà ancora al pianoforte della Sala Rossa davanti agli ospiti estasiati e alla castellana principessa Teresa Hohenlohe che omaggerà componendo in musica i versi della sua poesia La perla:
Autocertificazione 2958Lo spartito originale venne salvato dalle distruzioni del castello durante la Grande Guerra e in seguito consegnato dal principe Carlo Torre Tasso all’Archivio di Stato di Trieste.

Note:

1. Marie, figlia del principe Egon Hohenlohe e di Teresa Thurn Hofer, acquisirà il nome Thurn und Taxis dal marito Alexander.
Il figlio Alexander (chiamato Pacha) sarà il padre di Raimondo, nonno dell’attuale principe Carlo Torre Tasso, III duca del Castello di Duino;

2. Castelvecchio di Sagrado è oggi un raffinato agriturismo circondato da uno splendido parco coltivato a vigne e ulivi. aeree1-12_big[1]

Fonte:
Diana De Rosa, Chère Maman, Comunicarte Edizioni, Trieste, 2011 Autocertificazione 2961

INCONTRI Franz Liszt a Trieste con l’amica-cantante

Nell’autunno del 1839 Trieste accolse con grande entusiasmo l’arrivo di Franz Liszt (Raiding, 1811 – Bayreuth 1886) lo straordinario pianista-compositore che mandava in visibilio le platee teatrali di tutta Europa.
Liszt_(Lehmann_portrait),_cropped[1]Bellissimo e affascinante, famoso anche come tombeur de femmes, il musicista ungherese era legato dal 1833 alla contessa Marie d’Agoult che per lui aveva abbandonato il marito e due figli.
marie_dagoult[1]Nel 1837 l’innamoratissima coppia giunse in Italia per una serie di tournées concertistiche assieme alla loro la figlia Blandine, nata a Parigi nel 1835, seguita da Cosima, nata a Como nel 1837 (nota 1) e di Daniel a Roma nel 1839. (nota 2)

A Firenze le loro strade però si separeranno e dopo il ritorno a Parigi di Marie con i 3 figli, Franz viaggerà in carrozza fino Venezia per poi imbarcarsi il 25 ottobre del 1839 su un battello raggiungendo dopo 11 ore di navigazione il molo San Carlo.
Il giornale L’osservatorio Triestino aveva già redatto gli articoli per il grande pianista, atteso per i 2 concerti con il soprano Carolina Ungher e il tenore Napoleone Moriani programmati per i giorni 5 e 11 novembre al Teatro Grande. (nota 3)
514f[1]Non mancheranno però le cronache rosa riguardo il soggiorno triestino di Liszt che fin dalle prime ore del suo arrivo si diresse nello stesso albergo dov’era alloggiata la Ungher.
index[1]La 36enne cantante, ufficialmente un’amica di vecchia data, era una donna di grande fascino (nota 4) e all’epoca una soprano molto famosa anche per essere stata scelta da Ludwig van Beethoven come solista nella prima applauditissima rappresentazione della Nona Sinfonia (nota 5).

Durante i 17 giorni di permanenza a Trieste Liszt e la Ungher saranno inseparabili e non solo a teatro, alimentando così chiacchere e illazioni che tuttavia non trovarono conferme, anzi, fu lo stesso musicista a sostenere di essere “costretto” ad accettare gli inviti della cantante in quanto Trieste era del tutto sprovvista di vita sociale.
Trieste è per me un lazzaretto. Vi dimoro come in quarantena. Il mare è là, davanti a me, ma mi sembra stupido e inanimato… Qualche mercantile, battelli a vapore, della nebbia, atmosfera metà inglese” scriveva Franz alla d’Agoult, soffermandosi piuttosto sui suoi patemi in merito al pubblico triestino che:
Castiga, per un non nulla, anche i grandi interpreti. Spesso senza darsi la pena di esaminare i fatti fischia a oltranza. E’ sufficiente anche una piccola mancanza agli usi locali…”
I due concerti al Teatro Grande ebbero invece un grande successo e quando il giorno 12 novembre Liszt partì per Vienna scomparve anche la Ungher  anche se comunicò di essere “ammalata”.

A causa di tutti tradimenti subiti, verso la fine del 1843 Marie d’Agoult si separerà definitivamente da Franz che dopo un burrascoso confronto legale riuscirà ad aggiudicarsi l’affido dei figli, sebbene li avesse poi lasciati alle cure di sua madre Anna Liszt.

Dopo una serie di trionfali concerti in tutta l’Europa dal 1848 al 1861 l’inquieto musicista si legherà alla principessa Caroline de Sayn-Wittgenstein stabilendosi a Weimar e successivamente a Roma dove si ridesteranno le sue tendenze mistiche tanto da indurlo a ricevere gli ordini minori di San Francesco.
Giunge per me il momento di liberarmi della crisalide del virtuoso e di lasciare libero volo al mio pensiero
Attivo fino agli ultimi anni della sua vita Liszt morirà di polmonite nel 1886 a Bayreuth (Germania) dove si svolgeva il festival wagneriano e dove sarà sepolto.

Note:

1. Nel 1870 Cosima diverrà la seconda moglie di Richard Wagner;
cosima_wagner[1]

2. Nel corso del viaggio in Italia Liszt comporrà l’ Album d’un voyageur e Les Années de pèlerinage;

3. Rinominato nel 1861 Teatro Comunale;

4. Quando Rossini ascoltò la cantante a Parigi, disse: «La Unger possiede l’ardore del sud, l’energia del nord, polmoni di bronzo, voce d’argento e talento d’oro».

5. La Nona Sinfonia di Beethoven fu rappresentata per la prima volta a Vienna il 7 maggio 1824;

I dipinti di Franz Liszt (1839) e di Marie d’Agoult (1843) sono del ritrattista tedesco Henri Lehmann (1814-1882)

Fonte:
Pietro Rattalino, Listz o il giardino d’Armida, Ed. EDT, Torino, 1993;

INCONTRI Rilke e la Duse

Dopo il lungo soggiorno nel castello di Duino Rainer Maria Rilke fu invitato dalla principessa Maria Thurn und Taxis nel suo appartamento veneziano a palazzo Valmarana.
Palazzo%20Smith%20Mangilli%20Valmarana[1]Non doveva essersi trattato di un caso che nel luglio del 1912 in un albergo della città lagunare si trovasse Eleonora Duse, allora in un momento di incertezze e dubbi.
750[1]Nel libro Ricordo di Rainer Maria Rilke la principessa Marie Thurn und Taxis racconta con un certo humor quell’incontro fatale tra la 54enne attrice e il 37enne poeta boemo e da lei definito un’ “autentica catastrofe” descrivendo la Duse come una donna precocemente invecchiata, disperatamente infelice ma ancora sensibile alle lusinghe dell’amore.
Rilke fu infatti subito attratto da quella sorta di “cerchio magico” che la circondava e si sarebbe innamorato di lei alla follia se non fosse stata accompagnata dall’amica – confidente Lina Poletti che lui trovava cordialmente antipatica. (nota 1)
Lascio che le cose mi accadano e quello che succede sembra appartenere al sogno” scriveva Rilke a Marie che aveva ritenuto opportuno defilarsi.
Eravamo come due personaggi al centro di un antico mistero, parlavamo come se recitassimo una leggenda […]”  e descrivendo così il suo sorriso: “che non necessita di spazio, che non mente, che non nasconde, cristallino come un canto”.

Durante i loro incontri Rilke si precipitò a presentarle un suo progetto teatrale intitolato La principessa Bianca, scritto nel 1904 pensando a lei come interprete. L’attrice fu subito colpita dal poema e chiese una traduzione tagliata espressamente su di lei, ma dopo i primi entusiasmi se ne disinteressò.
Così, incerto sulla stesura del dramma il poeta propose alla Duse di interpretare la pièce Mater dolorosa che le suscitò un grande quanto breve entusiasmo.
La breve liaison veneziana fu davvero fonte di una grande stress per Rilke che sembrava essere talmente risucchiato dalle angosce dell’attrice da guardarsi ogni mattina allo specchio per vedere se durante la notte si fosse incanutito.

Rilke ridottoDopo la scomparsa della Duse per un intero giorno, dopo le sue escandescenze per un’improvvisa comparsa di un innocuo pavone durante un break su un’isola e la sua improvvisa decisione di partire da Venezia, il povero Rainer si sfinì del tutto:
E’ venuto il momento in cui non ne ho potuto più” scrisse infine a Marie, confessandole come quell’uccello avesse risolto quello sfortunato incontro. (nota 2)

 

 

Note:
1. Fu avanzato il dubbio che il legame tra le 2 donne, che si stava sciogliendo proprio in quel periodo, non fosse stato di sola amicizia;
2. Non è dato sapere se quel pavone fosse reale o metaforico.

Fonte:
Marie Thurn und Taxis, Ricordo di Rainer Maria Rilke, Ed. Fenice, Trieste, 2005

INCONTRI Casanova e le dame triestine

Giacomo CasanovaDopo lunghe peregrinazioni per le contrade d’Europa, il quarantasettenne Giacomo Casanova (Venezia 1725 – Dux, Boemia 1798) giunse a Trieste nel novembre del 1772 (nota 1) in attesa che gli amici veneziani gli procurassero la grazia dopo la sua rocambolesca fuga dai Piombi. (nota 2)

arlecchina[1]Pernottando una stanza nella centralissima Locanda Grande e contattato il bel mondo cittadino, s’innamorò seduta stante della giovanissima figlia dei nobili Leo incontrata vestita da Arlecchino a una festa di Carnevale. (nota 3).
Consapevole della differenza di età di ben trent’anni, si limitò a malincuore a manifestarle solo attenzioni per così dire “paterne” interessandosi nel contempo all’altrettanto avvenente a figlia del governatore di Trieste conte di Wagensberg ma pure rinunciando a concupirla per non rovinare i rapporti utili alla sua causa.

Una sera ritornando alla Locanda trovò una giovanissima carniolina nonché “amichetta” del conte Strasoldo che, pieno di debiti e povero in canna, aveva deciso di accettare un lavoro di “capitano circolare” in Polonia. 3861d63ca621bb4c64de6e51aa216359_orig[1]Per niente intenzionata a seguirlo ma volendo recuperare gli stipendi dovuti la bella Lenzica raggiunse la Locanda Grande e implorando un aiuto si offrì spudoratamente al Casanova che ovviamente ne fu felice. Fu una notte meravigliosa così commentata nelle sue Memorie:
Se fossi stato ricco, avrei messo su casa per tenerla al mio servizio”.
Essendo uomo di mondo ma anche di parola, il bel Giacomo riuscì a convincere il conte non solo a lasciare libera la carniolina ma pure a saldarle il debito e a consegnarle il bagaglio.
Appena fu certo della partenza del povero conte, si offrì a malincuore di accompagnare Lenzica fino alla strada verso Lubiana dove si sarebbe diretta con l’intenzione di sistemarsi dalla zia.
Lo Strasoldo raggiunse Leopoli ottenendo il lavoro ma disgraziatamente se ne approfittò a dismisura e dopo aver chiesto prestiti e accumulato altri debiti, mise mano sui pubblici denari. Accusato di peculato fu costretto a fuggire in Turchia dove camuffatosi da pascià, finì malamente strangolato.

Quanto al Casanova, il 10 settembre 1774 gli fu comunicata la tanto sospirata grazia ottenuta dal Consiglio dei Dieci di Venezia (nota 4) per aver ottenuto buone relazioni con il governo austriaco. (nota 5)
Così, dopo diciott’anni di lontananza ritornò a Venezia dove per sopravvivere si offrì prima come spia per gli stessi Inquisitori che l’avevano condannato, poi dedicandosi indefessamente ai suoi scritti.
Ma che Casanova sarebbe stato se non avesse ripreso la sua condotta libertina e spregiudicata? Infatti ricadde sotto il giudizio degli Inquisitori e nel 1783 fu costretto a un definitivo esilio.
Dopo essersi stabilito a Vienna, dal 1785 si rifugiò in Boemia dove lavorò come bibliotecario del conte von Waldenstein trascorrendo in solitudine gli ultimi anni della sua vita.
Il suo ultimo scritto fu pieno di amarezza:
Sono abbandonato dalle donne e dai denti, crivellato dalle malattie e dai malanni, assediato dai ricordi e dai rimorsi, umilato da un triste presente”.
Morì 73enne nel castello di Dux il 4 giugno 1798.
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Note:

1. Casanova giunse per la prima volta a Trieste nel 1753; nel 1772 soggiornò per 2 anni e ritornò nel 1776;
2. Fu condannato per “libertinaggio” e rinchiuso nelle carceri di Palazzo Ducale di Venezia nel 1755 (nella foto la cella dei Piombi);Cella_Giacomo_Casanova[1]3. Presso il ridotto del teatro San Pietro;
4. Nelle sue Memorie Giacomo ci informa che in realtà fossero in 17: i Dieci + altri 6 consiglieri + eventualmente il Doge in persona;
5. Qui si interrompono le Memorie; Sull’ultimo trentennio della sua vita ci si deve avvalere di altre fonti e testimonianze varie, in particolare del ricco epistolario, dei suoi numerosi scritti e delle molte carte ritrovate nell’archivio di Dux (in Boemia)memoires-casanova-illustres-jacques-touchet-899e7f74-da35-4865-a082-8c9b9a72083a[1]

Notizie tratte da:
Sergio degli Ivanissevich, Casanova a Trieste, Luglio Editore, Trieste, 2015;
Enciclopedia Treccani e Wikipedia

Miti e leggende di Duino

Come tutti i veri castelli anche quello di Duino ha ispirato delle leggende soprattutto nel corso del Medioevo, quando i nobili cortigiani si svagavano con giocolieri, giullari e saltimbanchi o con le storie di briganti e cavalieri narrate da trovatori e menestrelli.
Seppure non difettassero d’ immaginazione si potrebbe supporre che i cantastorie s’ispiravano a fatti reali ma che presentandoli come leggende esorcizzavano le paure del volgo sulle truci vicende accadute tra le torri e i sotterranei delle fortezze dove i signorotti e i loro fedeli vassalli spadroneggiavano su mari e terre in perenne lotta con gli aspiranti usurpatori.
E’ stato proprio Rodolfo Pichler nel suo libro di Memorie sul Castello di Duino a riferirci che l’antica torre diocleziana all’interno delle mura fosse divisa in più piani e usata come carceri per corsari e masnadieri. Attestava che dai minuscoli pertugi delle porte ferrate filtrasse una tenebrosa oscurità e che si percepisse un senso di orrore che aumentava risalendo ai piani più alti dove esistevano trabocchetti e botole collegate a lugubri pozzi dove i carcerati trascorrevano gli ultimi istanti della loro vita. 150394_f70dd96d-f39b-4feb-8395-c838720d2bde_-1[1]

Come tutti i castelli eretti sulle scogliere non potrebbero mancare le leggende di acrobatiche risalite sulle mura o di scenografiche cadute nel mare, ovviamente in tempesta, infatti la più celebre leggenda di Duino racconta che una giovane dama di nome Esterina da Portole (di cui invano abbiamo cercato notizie) fosse stata gettata da una finestra della torre dal suo geloso e perfido consorte e che cercando di risalire aggrappandosi sugli scogli rimase pietrificata per l’eternità.
Sulla infelice castellana rimasta nell’immaginario storico come Dama Bianca per il candore della roccia con le sue sembianze, nel 1869 la romantica principessa Teresa Thurn-Hohenlohe scrisse dei versi di cui riportiamo l’incipit:

Dell’azzurra marina alla sponda,
All’estremo dell’Adria sospiro,
Onde l’onda s’incontra con l’onda…
Del Timavo fuggente nel mar,
Sorge torvo ed altereo uno scoglio,
Coronato da antica ruina. […]
Autocertificazione 2950
Più romantica è invece la leggenda di Lotario, nome di un misterioso Signore sotto cui si celava Giovanni Sbogar, un bellissimo quanto crudele filibustiere terrore dell’Istria e del Carso che alternando il suo duplice ruolo di rispettabile benefattore con quello di spietato omicida, trovò il tempo di innamorarsi della dolce Antonia inseguendola ora tra i boschi del Farneto e le calli di Venezia, ora respingendola tra patemi e rimorsi. La ritroverà poi imprigionata nei sotterranei del castello di Duino dopo essere stata assalita e derubata dai suoi segugi e quando ormai consapevole degli inganni e delle malefatte del suo affascinante masnadiero, sprofonderà nella follia e a un triste destino di monaca. (nota 1)
Autocertificazione 2943Nel suo libro Pichler ha riservato pure alcuni paragrafi relativi al supposto soggiorno a Castelvecchio di Duino di Dante Alighieri nel corso del suo lungo esilio; qui, suggestionato dalle scogliere sferzate ora dai paurosi venti boreali ora dalle inquietanti raffiche di scirocco sospinte dal mare, si ritenne avesse scritto alcuni versi della Divina Commedia. (nota 2)
Andrebbe però considerato che la romantica principessa Teresa Thurn-Hohenlohe contribuì a diffondere questa leggenda componendone un poemetto che l’affezionato abate Pichler riportò nel suo testo senza insinuare, forse per rispetto, alcun dubbio in proposito:

Ma qual fu quell’ora armonica che all’Altissimo Poeta echeggiò per l’ onda cheta
Allorché peregrinando Dalla cieca patria in bando, su quel scoglio si fermò
E di là con mente fervida, guardò a Pola ed al Quarnaro
Forse fu quel tocco flebile, ch’ esortando alla preghiera pei fratelli in altra sfera,
Il suo spirito credente avviò pel regno ardente, pel purgante insino al ciel […]

Certo che il quadro “Dante in esilio” dipinto nel 1860 dal veneto Domenico Peterlin sembrerebbe proprio riprendere il poeta su uno scoglio della costa duinese dove sullo sfondo si nota un promontorio quantomeno rassomigliante a quello reale.
781px-Ita_Dante_Alighieri_in_ballingschap_Domenico_Petarlini[1]Ma poiché si è pure un po’ curiosi, si sono fatte alcune ricerche da cui sono emerse alcune interessanti notizie.
Un abate di nome Giuseppe Bianchi (Codroipo 1789 – Udine 1868) bibliotecario per professione e ricercatore per passione, scrisse sull’argomento un libro dal un lungo titolo: Del preteso soggiorno di Dante in Udine od in Tolmino durante il patriarcato di Pagano della Torre e documenti per la storia del Friuli dal 1317 al 1332, Nuova tipografia di Onofrio Turchetto, Udine, 1844, dove si legge il seguente passaggio:

E nel percorrere i profondi valloni, egli andava talora dalla magione patriarcale al torreggiante castello di Duino e benigno lo accoglieva Ugone signore di Duino e dei paesi ove minaccioso il breve Timavo mette per nove bocche nel’Adriatico”.

Un altro abate di nome Giovanni Battista Fanelli nel testo: Vita Di Dante Alighieri Raccolta Dai Migliori Eruditi Ed Illustrata scrisse:

“Il Patriarca Cassano della Torre (1316/1318), nella sua precedente carica di Vescovo di Milano, incoronò Arrigo Re d’Italia nel 1311. La cerimonia si svolse nella Basilica di Aquileia e vi partecipò, oltre al successore del Patriarca Cassano della Torre, Pagano della Torre, anche Dante Alighieri come ambasciatore di Cangrande della Scala. Sembra che in quella occasione proprio Dante sia stato ospitato nel feudo di Duino da Pagano della Torre, non ancora nominato Patriarca (1319/1332)”.

In un recente articolo riportato sul Messaggero Veneto il 22/5/2015, la dottoressa Marisa de Pauli Filipuzzi comunicò che sarebbe stata stampata una delle copie più antiche al mondo dell’Inferno di Dante con un inedito codice risalente tra il 1324 e il 1334 custodito nella Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli. (nota 3)
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In merito alle tracce del passaggio di Dante in Friuli, la ricercatrice ha ripreso le notizie riportate da Domenico (Quirico) Viviani (1784-1835) il quale, studiando un codice trecentesco della Divina Commedia, sostenne che nel Poema si trovassero alcune desinenze nella lingua friulana dell’epoca e che quindi il poeta potrebbe realmente aver soggiornato nelle terre del Patriarcato di Aquileia anche considerando i suoi vasti territori nel corso del 1300.
Nella foto i confini dopo la Pace di Treviso del 1291.
Autocertificazione 2941

Forse ci siamo un po’ smarriti tra Storie e Leggende, ma ci è piaciuto dedicarci un po’ alle memorie del tempo riportando quanto scrive l’Alighiero:

Perché appressando sé al suo disire
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.

Note:

  1. Il libro Giovanni Sbogar, pubblicato nel 1818 dallo scrittore francese Charles Nodier (178 – 1844) fu uno dei primi romanzi storici del Romanticismo che nel corso dell’Ottocento si diffuse in tutta l’Europa.
  2. I celebri versi: “ Io venni in loco d’ogni luce muto, / che mugghia come fa mar per tempesta / se da contrari venti è combattuto” appaiono nel V Canto dell’Inferno dove è narrata la storia di Paolo e Francesca.
  3. La Biblioteca Guarneriana, fondata nel 1466 da Guarnerio d’Artegna a San Daniele del Friuli, è una delle prime biblioteche pubbliche d’Europa e comprende 12000 preziosissimi volumi antichi.

FONTI:

Rodolfo Pichler, Il castello di Duino, Memorie, E. Seiser, Trento, 1882;                        http://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2015/05/22/news/de-pauli-dante-passo-per-gorizia-e-duino-1.11476601

Carlo Nodier, Giovanni Sbogar, Stamp.Carabba, Lanciano, 1926

 

Raimondo e Carlo principi Torre e Tasso

Autocertificazione 2924Nato nel 1907 dal matrimonio di Alexander Torre e Tasso con la principessa Marie de Ligne, il giovane Raimondo si arruolò nell’ esercito italiano durante la guerra in Etiopia. Partecipò poi alla seconda guerra mondiale come volontario in Russia riuscendo a rientrare in Italia grazie a un passaporto diplomatico procuratogli dalla Croce Rossa dell’Ordine di Malta.
Arrivato al castello di Duino e trovandolo occupato dalle forze militari inglesi, iniziò una protesta accampandosi nel piazzale interno in una tenda con tanto di bandiera blu e rossa del Casato, intrattenendosi pieno di risentimento con gli ufficiali-usurpatori. (nota 1)
Dopo le nozze nel Palazzo Reale di Atene del 1949 con la principessa Eugenia di Grecia e Danimarca (nota 2) riuscirà a ritornare al castello di Duino assieme al figlio Carlo nato nel 1952.

Nella foto il principe Raimondo con la moglie principessa Eugenia e i suoceri Giorgio, principe di Grecia e Danimarca con la consorte Marie, principessa Bonaparte.lobianco513Il principe Raimondo finanziò con generose elargizioni di terreni e denari il prestigioso “Centro Internazionale di Fisica Teorica” di Trieste e da convinto fautore della pacifica convivenza tra i popoli, sostenne gli ideali europeistici esponendo già nel 1955 la bandiera bianca e verde dell’Europa Unita sulla torre del castello.

Assieme a Lord Mountbatten, che divenne il primo Presidente, fondò l’esclusivo “Collegio del Mondo Unito”, uno dei dieci in tutto il mondo. (nota 3)
L’illustre principe ospitò a Duino numerosissimi Convegni e Congressi in collaborazione con l’Università, il Centro di Fisica e l’UNESCO.
Nella foto il principe Carlo d’Inghilterra in occasione della sua visita al Collegio del Mondo Unito il 28/10/1984 (nota 4) Autocertificazione 2937Dopo una lunga malattia il principe Raimondo si spense il 17 marzo 1986
Autocertificazione 2920Dopo una semplice cerimonia nella grotta del castello fu sepolto nel cimitero privato del castello.lobianco515
Note:

1. Durante la seconda guerra il castello fu occupato dai tedeschi di Kesserling, da una scuola per SS, dai partigiani di Tito, dai neozelandesi del generale Freyberg, dal comando Alleato del Territorio Libero di Trieste e dal generale inglese Winterton;

2. La di lei madre principessa Marie Bonaparte era discendente diretta del fratello di Napoleone e Filippo di Edimburgo (marito della regina Elisabetta d’Inghilterra) era un suo primo cugino.

3. Dopo la successiva presidenza di Carlo d’Inghilterra, l’istituzione ebbe ai suoi vertici S.M.  Regina Noor di Giordania e il Presidente della Repubblica del Sud Africa Nelson Mandela.

4. Nella sua biografia José Gustavo Martinez, maggiordomo del principe Raimondo, riferì che S.A.R. Carlo ordinò per la cena prosciutto crudo in gelatina e insalata russa, uova strapazzate e macedonia di fruttaAutocertificazione 2919

Carlo Torre e Tasso

Autocertificazione 2922In seguito alla morte del padre il principe Carlo con la moglie Veronique Lantz e i figli Dimitri e Massimiliano (nota 1) si trasferì da “Casa Sistiana” di Saint Tropez al castello di Duino, alloggiando nell’ex-convento riadattato nel parco.
Purtroppo nel giugno del 1997 i Torre e Tasso furono costretti e mettere all’asta gran parte dei preziosissimi arredi dell’antica dimora con argenti, porcellane, quadri, arazzi e pezzi archeologici che pur si erano conservati nel corso dei secoli e salvati dalle distruzioni della grande Guerra come dalle sciagurate occupazioni della seconda.
Con grande generosità il principe Carlo scelse però di consegnare all’Archivio di Stato di Trieste preziosissime documentazioni sulle famiglie dei castellani di Duino oltre a incisioni, foto storiche, la corrispondenza della nonna Marie Thurn und Taxis con il poeta Rainer Maria Rilke e il manoscritto delle “Elegie duinesi” a lei donato.

Nel 2003, dopo alterne vicende i Torre e Tasso decisero di dare un nuovo assetto allo storico castello e di aprirlo al pubblico sia per le visite che per l’organizzazione di eventi e matrimoni

Si potrà ben sostenere che i Torre e Tasso sono parte di un complesso e vastissimo albero genealogico che vanta parentele con la maggior parte dei regni europei (nota 2) e legami con le più antiche e nobili Casate d’Europa.

E si dovrà pure convenire che questo splendido castello con tutte le sue storie millenarie, si trova in un posto unico per caratteristiche naturali dove il Carso va a incontrarsi con il mare e lo sguardo spazia dalle lagune venete alla costiera triestina, da Trieste fino alle verdi colline d’Istria.

Note:

1. Nel 1989 nascerà Constanza;

2. Oltre ai reali di Francia, Austria, Grecia e Danimarca, gli attuali regnanti di Belgio, Svezia e Spagna, anche con la famiglia imperiale russa degli Zar Romanov.

FONTI:

Trieste 1900-1999 Cent’anni di Storia, Publisport, Trieste; Ettore Campailla, IL CASTELLO DI DUINO, Editoriale MGS Press, Trieste, 1996;  Giulia Schiberna, Duino, Edizioni Fenice, Trieste, 2003;