Il colle di San Giusto fu per certo sede di un castelliere eretto intorno alla città in un’epoca che va dall’età del bronzo fino alle conquiste romane. In seguito la presenza di una rocca o di un castello si è avvicendata nel tempo una sulle rovine dell’altro fino alla costruzione di un imponente edificio fortificato dotato di una torre a elle voluto nel 1470 da Federico III d’Asburgo per dominare e reprimere il popolo che aveva dimostrato di non essere troppo legato all’Impero.
Quando nel 1508 Venezia riebbe il dominio su Trieste fu aggiunto il grande Bastione Rotondo creato intorno alla torre elevata dall’Imperatore, ma già l’anno dopo il potere ritornò all’Austria.
Con il passare degli anni al castello vennero eseguite delle aggiunte di cui la più significativa si svolse tra il 1553 e il 1557 per volere del capitano imperiale Hoyos e che consisteva nell’allestimento dello sperone poligonale noto come Bastione Lalio, nome dell’architetto che diffuse la tecnica della struttura “a muso camuso”. Ma mancando un progetto unitario i lavori proseguirono lenti e saltuari fino all’anno 1630 quando sotto la direzione dell’architetto Pietro de Pomis fu eretto il Bastione Fiorito a forma triangolare che completò l’area di tutto il complesso storico.
Un castello così fortificato avrebbe dovuto rappresentare una funzione militare e di controllo politico mentre invece fu coperto da un alone di mistero alimentato dalle dicerie del popolo che narravano di collegamenti sotterranei al centro della città e alcuni fatti, più che strutture rinvenute, potrebbero avvalorare questa ipotesi. Comunque appena venne ultimato ci si accorse che la fortezza aveva perduto ogni valore tattico: i sistemi difensivi non poggiavano più sulla roccaforte ma si articolavano su più prospettive intorno alle mura. Nei decenni successivi furono anche redatti dei progetti migliorativi ma tutti i disegni rimasero privi di seguito e infine archiviati tra Vienna e Lubiana.
Nella storia secolare del castello di San Giusto si ricordano due soli combattimenti: nel 1813 durante le barricate delle truppe napoleoniche in difesa delle artiglierie inglesi e austriache, e nel 1945 quando i soldati tedeschi sostennero l’ultima battaglia prima della resa finale.
Dopo le annose polemiche intervenute tra l’Austria e Trieste sulla sua proprietà, il governo italiano cedette il castello al Comune in cambio di altri possedimenti. Restaurato e ristrutturato fu infine aperto alla popolazione nel 1936 e utilizzato come museo o per mostre temporanee nonché per spettacoli e manifestazioni culturali.
La visita al Castello
Dopo la breve salita che costeggia il muraglione della fortezza e il passaggio del ponte levatoio, si entra in un vestibolo (risalente al 1557) che accoglie diverse lapidi databili dal Cinquecento all’Ottocento e due grandi automi risalenti al 1875 e noti come Michez e Jachez, mitici batti-ore accanto l’orologio del palazzo municipale. Nel “corpo di guardia”, originariamente utilizzato quale luogo di stanza per i cavalli, sono stati posti una colubrina, dei pezzi di artiglieria e alcune palle in pietra provenienti dal castello di Moccò, distrutto nel 1510 dopo il protervo dominio dei Veneziani. Da una parte, tramite una ripida scala in legno si accede allo spazioso e panoramico Bastione Rotondo, dall’altra all’ingresso dell’edificio a due piani, corpo dell’antico castello dell’Imperatore e ora adibito a museo. Dalle arcate del Cinquecento si apre l’ampio piazzale delle Milizie circondato dalle massicce mura di pietra dotate di una serie di feritoie e di un agevole camminamento fino al terrazzone del Bastione Lalio. Al pianterreno della cosiddetta “Casa del Capitano” sulla volta a crociera della cappella tardo-gotica dedicata a San Giorgio, (santo a cui Federico III era molto devoto) è ancora posto lo stemma dell’Imperatore con la sintesi del suo motto: “A.E.I.O.U.” (Alles Erdreich Ist Oesterreich Unterhan) polemicamente menzionato dai triestini con pronunce di fantasia delle vocali. Tutti gli arredi e le raccolte esposte appartengono alle collezione dei Civici Musei, quindi non pertinenti con il Castello; armi d’asta settecentesche accompagnano il doppio scalone progettato tra il 1935-36 dall’architetto Arduino Berlam fino alla saletta con stampe e disegni di Trieste e quindi alla sala Veneta detta anche Giuseppe Caprin (Trieste 1843-1904), dal nome dell’illustre patriota, letterato e scrittore che lasciò interamente al Comune la sua abitazione privata famosa per essere stata un salotto di italianità e cultura. Arredi, cassapanche, sculture, arazzi e quadri sono in stile veneto e databili tra il ‘500 e il ‘700. Sul soffitto campeggia l’opera più importante della collezione, una grande tela con Il trionfo di Venezia, opera di Andrea Celesti risalente a fine Seicento. Al piano superiore si entra in un lungo corridoio illuminato da cinque finestre inferriate rivolte al golfo e da una serie di lampioncini in ferro battuto che scendono dalle basse travature in legno. Lungo i muri sono appese una serie di armi bianche sia lunghe che corte (spade, baionette e pugnali), balestre, armi da fuoco (fucili e pistole) e vari accessori (fiasche da polvere e cartucciere) che tracciano l’evoluzione dell’armamento in Europa dal Medioevo all’Ottocento. Il pezzo più antico è la grande spada risalente alla fine del XII secolo esposta accanto tre piccole spade delle “baselarde” (Basilea, XV secolo) e un corno da polvere con intarsi d’avorio dove sono raffigurati Perseo e Andromeda. Tutte le collezioni provengono da donazioni o acquisti da privati. Si giunge poi all’appartamento medievale dalle volte a crociera, dotato di focolare e qualche singolo arredo quattrocentesco. Molto suggestivo il soffitto dipinto a cielo stellato e l’uscita di lato alla torre a “L” in una romantica loggia in pietra e legno affacciata sul foro romano.
Sotto il Bastione Lalio è stato riaperto il rinomato ristorante “Bottega del vino” mentre quello Fiorito attende una destinazione dopo essere stato un frequentatissimo ritrovo con pista da ballo.
Dal 4 aprile 2001 dopo una consistente ristrutturazione dei sotterranei del castello (usati come prigioni durante la prima guerra mondiale), ha trovato degna sistemazione il suggestivo Lapidario Tergestino, con reperti romani di grande importanza storico-archeologica, precedentemente esposti nei giardini del capitano e in parte giacenti nei magazzini museali.
Certo è che l’imponente fortezza manca delle storie dei personaggi che vi abitarono, di amori e delitti, dei prigionieri o magari di qualche fantasma che si aggirasse nella lugubre atmosfera degna di un vero castello. Dai tempi del suo costruttore Federico III ci è giunta solo qualche frammentaria notizia sull’occupazione di alcuni capitani imperiali austriaci e di qualche non identificato personaggio dell’aristocrazia veneta. Ma dalle mura, da ogni feritoia e angolo del castello si gode da sempre di uno spettacolare panorama che dall’alto del cuore della città spazia dal mare alle colline carsiche che circondano il nostro bellissimo golfo.
(Laura Ruaro Loseri, La Bora, Ed. Gemini, Trieste, 1977 – Enciclopedia tematica FVG, Touring Ed., Milano, 2006)