Archivio mensile:agosto 2014

Cronache storiche di Trieste

Giacomo Casanova (Venezia 1725 – Dux 1798) giunto a Trieste il 15 novembre 1772 dopo una lunga e avventurosa permanenza in Polonia, pernottò una stanza nella Locanda Grande di Trieste.
Preso subito contatto con le cortigiane e i cicisbei del bel mondo cittadino, lo sfrontato cavaliere veneziano ricevette però il rifiuto alle sue avances da una bellissima giovane di nome Zanetta. Ormai 47enne, il Casanova dovette accontentarsi di una contadinella goriziana senza però rinunciare, da buon avventuriero, a ingraziarsi le autorità locali con ogni sorta di traffici e sotterfugi.
Nell’attesa della grazia da parte del Consiglio dei Dieci di Venezia dopo la sua avventurosa fuga dai Piombi, era costretto a scrivere indefessamente cercando di procurarsi del denaro con cui vivere. Ma la grazia non giunse affatto e nell’autunno del 1774 abbandonò Trieste continuando la sua odissea esistenziale fino alla morte.
(Rivista La Bora, Trieste, 1978)

 

Napoleone Bonaparte (Ajaccio 1769 – Isola di Sant’Elena 1821) ventottenne e già generale del Corpo d’armata fu di passaggio a Trieste il 29 e 30 aprile 1797.
Dallo storico balcone di palazzo Brigido (attualmente in via Pozzo del Mare, 1) affacciato su Piazza Grande (oggi dell’Unità) assistette a un’improvvisata parata militare in suo onore con un terribile mal di denti.
Già di pessimo umore si offese moltissimo quando ricevette in dono dalle autorità municipali un cavallo lipizzano poiché la larga e possente schiena della pregiata razza equina non gli avrebbe permesso una dignitosa monta a causa della sua altezza (1,55 m.) e delle sue gambe troppo corte. Durante la brevissima permanenza in città ebbe comunque modo di compiacersi osservando le fortificazioni costiere erette da Maria Teresa d’Austria.
(Halupca-Veronese, Trieste nascosta, Lint, 2009)

René de Chateaubriand (Saïnt-Malo 1768 – Parigi 1848) l’illustre precursore del romanticismo francese, giunse a Trieste a mezzanotte del 29 luglio 1806.

Alloggiato nella centrale Locanda Grande contattò il console Louis Maurice Séguier per trovare una nave diretta a Smirne.
Durante la sua breve permanenza Chateaubriand ebbe comunque modo di conoscere la borghesia triestina (fu ospite del Governatore austriaco e di Pietro Sartorio) e di visitare San Giusto omaggiando la tomba delle figlie di Luigi XV, rifugiate a Trieste nel 1799 dopo la fuga da Parigi.
Il letterato visconte partì all’alba del 2 agosto: il suo viaggio sarebbe durato un anno. (La Bora)

Stendhal, ovvero il grande romanziere Henry Beyle (Grenoble 1783 – Parigi 1842) arrivò a Trieste il 25 novembre 1830 con la nomina di console di Francia.

Pernottato l’albergo “Zum schwarzen Adler” (oggi in via San Spiridione 2), lo sconosciuto ospite fu però subito notato dalla polizia asburgica che con serrati pedinamenti rese alquanto sgradevole il suo soggiorno. A peggiorarlo contribuirono anche le sferzanti folate di bora, i mancanti successi amorosi con la cantante Carolna Ungher e madame Goeschen e inoltre le non apprezzate tradizioni culinarie servite a suo dire da camerieri “levantini”. Il soggiorno di Stendhal durerà comunque solo tre mesi e dopo aver ricevuto la nomina di ambasciatore partì per Civitavecchia il 24 dicembre 1830. Da qui, dopo un’altra cocente delusione, deciderà di tornarsene ai suoi quartieri parigini.
(Trieste nascosta, ibid.)

Eleonora Duse (Vigevano 1858 – Pittsburg 1924) appena diciottenne ma già animata dal furor sacro della recitazione, nel 1876 venne scritturata a Trieste come seconda attrice nella compagnia di Adolfo Drago.

Tutt’altro che avvenente e troppo enfatica per il gusto del tempo, la Duse raccolse un amaro fiasco per di più rafforzato dai rimbotti del regista e dei colleghi. Nel 1884, già affermata come attrice, ritornò a Trieste con un ingaggio per tutta la stagione di prosa ma continuò a essere contestata da una parte del pubblico per la sua recitazione e le sue pose ancora eccessive. Con apprezzabile autocritica la Duse seppe tuttavia correggere le sue impostazioni troppo marcate e in seguito riuscì a trasmettere grandi emozioni attraverso i personaggi dell’ Adriana Lecouvreur e de La Locandiera. Quando due anni dopo ritornò con la Compagnia della Città di Roma, esplose anche a Trieste il più sfrenato entusiasmo consacrando Eleonora Duse alla sua fama immortale.
(La Bora)

Giosuè Carducci (Valdicastello 1835 – Bologna 1907) organizzò un furtivo viaggio a Trieste assieme a Lina (Carolina Cristofori), sua musa ispiratrice e moglie di un funzionario statale di Rovigo nonché madre di 3 figli.

I due amanti giunsero il 7 luglio 1878 occupando in incognito una stanza dell’albergo “Buon Pastore” (attuale “Hotel Continentale” di via San Nicolò). Ma già il giorno dopo vennero scoperti da un cronista del giornale “L’Indipendente” e la notizia della loro presenza si sparse in un battibaleno. Accompagnati da Attilio Hortis e Giuseppe Caprin, la coppia visitò la città sempre applauditi da una folla festante e chiassosa che non li entusiasmò affatto. Dopo soli quattro giorni il Carducci senza dar a vedere la sua contrarietà partì fra i gioiosi arrivederci dei triestini, ma a Trieste non ritornò mai più.
Il grande poeta in occasione della sua visita a Miramare omaggerà però il fascino del suo bianco castello e la memoria del “puro, forte, bel Massimiliano” nella stupenda elegia delle Odi barbare “Miramar” (1878).
(Trieste nascosta, ibid.)

 

 

James Joyce (Dublino 1882 – Zurigo 1941) l’eccentrico scrittore irlandese arrivò a Trieste nel 1905 facendo immediatamente notare la sua presenza alla polizia. Appena sceso dal treno con la sua fedele Nora Barnacle, nel giardino della stazione centrale s’imbatté casualmente in una zuffa tra marinai inglesi e austriaci e pensando bene di aiutare i suoi compatrioti si buttò nel mucchio. Joyce trascorrerà così la sua prima notte a Trieste in galera mentre Nora attenderà pazientemente il suo ritorno seduta in una panchina.
(La Bora).

Rainer Maria Rilke (Praga 1875 – Val-mont 1926) L’inquieto e tormentato poeta boemo approdò a Trieste nel 1910 come ospite della principessa Marie Thurn und Taxis nel Castello di Duino.
Per quanto la memoria storica dei suoi lunghi soggiorni triestini vanti l’ispirazione delle sue Elegie duinesi alle suggestive atmosfere delle bianche falesie e al fascino dell’antico castello sul mare, Rilke non lo amò mai veramente apprezzandone piuttosto la ricca biblioteca e le frequentazioni dei suoi coltissimi salotti dove poteva incontrare il fior fiore dei letterati. In una lettera del marzo 1912 a Lou Salomé, sua ex-amante e divenuta poi una sincera e affettuosa amica, Rilke si lamentava infatti della desolazione che lo opprimeva e del pessimo clima della zona, incolpandolo (ma ironicamente compiacendosene) dello stato della sua salute. “Questa costante alternanza di bora e scirocco non fa bene ai miei nervi e perdo le forze nel subire ora l’una ora l’altra” scriveva nella lettera a Lou. E ancora: “È vero, Duino non mi ha mai fatto bene, quasi ci fosse qui troppa elettricità dello stesso segno che mi sovraccarica, proprio il contrario della sensazione che sento al mare”(1). Nella sua vita errabonda Rilke, ormai gravemente ammalato, troverà la sua pace nel clima mite e secco del Vallese (Svizzera), recluso nel suo castelletto-fortezza di Muzot.
Dopo però aver concluso la lunga e sofferta stesura delle Die Duineser Elegien e consapevole della sua imminente morte, pieno di riconoscenza per la dolce e romantica principessa Marie che tanto generosamente lo aveva ospitato e sostenuto, le donerà la proprietà del manoscritto (attualmente conservato nell’Archivio di Stato di Trieste) con una dedica che apparirà su tutte le edizioni dell’opera.
Fonte: R. M. Rilke e Lou Andreas Salomé, Epistolario 1897-1926, La Tartaruga edizioni, Milano, 1975

Via Castello e le sue antiche dimore

Sotto la cattedrale di San Giusto, di fronte al Ricreatorio “Enrico Toti” in via Castello, si trova la più antica sede episcopale, voluta dal vescovo Rodolfo de Pedrezzani agli inizi del Trecento. Come spesso accadeva a quei tempi, l’edificio fu distrutto dai veneziani nel 1312 e rimaneggiato nei due secoli successivi per essere testimone di una lunga serie di avvicendamenti.

Ci piace ripercorrere queste storie medievali perché in questi dintorni, tra vecchie contrade, marciapiedi a gradoni e stretti viottoli con gli acciottolati originali, si trovano ancora oggi degli scorci di incredibile suggestione: muri di pietra e porte consunte, finestrelle con le inferriate nei piccoli vani delle case, cucine con i focolari, dispense con le risme di legna, sacchi di farina e povere provviste per i lunghi inverni vissuti all’ombra del castello e della Cattedrale, tra i capitani e i vescovi della città che lì erano di casa. Case ricche s’intende, con letti a baldacchino, mobili raffinati, confortevoli sale riscaldate dove si consumavano banchetti luculliani serviti in piatti dorati e boccali d’argento da noblesse oblige.
Ma tutto questo lo si immagina. Oggi a percorrere quelle vie spiace dispiace vederle così abbandonate, tra fili di luce penzolanti e indegne scritte su quei muri così pieni di storia.
Una di quelle case di via Castello fu dunque l’antica sede della curia vescovile dove nel corso del Medioevo si avvicendarono i vescovi della città.Sulla porta d’ingresso spicca ancora lo stemma di Pietro Bonomo (Trieste 1458 – 1546) uno dei più potenti e longevi tra loro. Rampollo di una delle 13 Casade tergestine, fu un uomo coltissimo e di grande fascino quanto di grandi ambizioni, più interessato a estendere poteri e ricchezze che dedicarsi alle questioni ecclesiali, dimostrando anzi una certa tolleranza verso le progressive infiltrazioni del luteranesimo.
Sul fregio sopra la porta d’ingresso della dimora episcopale di via Castello è scolpita la frase: “P. Bonomus Antist. Tergest: Chiariss. Patriae Decori. D.D. Anno MDXXIII” (1523) in ricordo dei restauri da lui eseguiti.

Sulla parete esterna del fabbricato è inoltre conservata l’insegna araldica del trentino Nicolò de Coret, la cui carica vescovile durò dal 28 febbraio 1575 al I° marzo 1591, data della sua morte. E’ ricordato per la sua intransigenza religiosa e per essersi vantato di aver estirpato “la mala pianta del luteranesimo” sistemando la scottante questione nei confini di Trento (nota1).
Episodi nascosti dalle alte sfere ecclesiastiche ovviamente, assieme a tutti i misfatti compiuti dall’Inquisizione di cui restano sconvolgenti testimonianze nei sotterranei della città.
L’ultimo vescovo che vi abitò (dal 1761 al 1775) fu Antonio Ferdinando conte di Heberstein, in seguito trasferitosi in palazzo Brigido di via Pozzo del Mare, poi nella sede episcopale di palazzo Mauroner (oggi via Torino) e infine nel palazzo Vicco di via Cavana.
L’edificio vescovile venne così venduto nel 1785 alle autorità governative che lo trasformarono in un ospedale con annesso il Pio Istituto per gli orfanelli.
Ingrandito dopo due anni con l’acquisto della vicina casa appartenuta ai fratelli Marenzi, a cui fu collegata con un ponte, vi vennero collocati “i venerei e gli schifosi”.
Poco dopo il Comune acquistò anche lo stabile sull’altro lato della contrada (ancora oggi titolata “via dell’Ospitale”) a cui si accedeva con un passaggio sotterraneo.
Nel 1841 il nosocomio venne trasferito nel nuovo ospedale Maggiore e l’ex-vescovado divenne un Ospizio per gli alienati (nota 2).
L’anno successivo il Comune vi installò una Scuola di Agraria e nel 1852 il vescovo Bartolomeo Legat creò il Seminario dei chierici che durò fino il 1872 quando venne installato l’Istituto Magistrale femminile (nota 3).
Trasformato in ufficio di Vigili Municipali, nell’edificio avvenne un sanguinoso fatto di cronaca ricordato ancora oggi su una lapide a ricordo dell’uccisione di Angelo Cattaruzza avvenuta il 31 dicembre 1925 per mano di rapinatori che gli sottrassero le buste paga dei colleghi.Nel 1932 il vecchio episcopio fu infine trasformato in Distretto Militare e operò fino al 1995 quando venne definitivamente chiuso (nota 4).
Oggi questa storica casa è in stato di grande abbandono ma in Comune esiste il progetto della cessione di tutti gli edifici per ricavarne delle abitazioni residenziali.
Come è avvenuto per il vicino ricreatorio Enrico Toti, rinnovato e ancora in attività, ci auguriamo che vengano comunque preservate le sue strutture considerando il loro valore storico e la collocazione in uno dei posti più panoramici e affascinanti di Trieste.

Note:

1. Esiste comunque una relazione riguardante lo stato ecclesiastico della sua diocesi inviata al papa il 9 giugno 1590;

2. L’ospizio rimase in esercizio fino al 1908 quando entrò in funzione l’Ospedale psichiatrico di San Giovanni;

3. A sua volta trasferitosi nel 1874 in via Madonna del Mare 11;

4. Le sue competenze si traferirono a Udine e poi a Padova.

Da documentazioni riferite da Armando Halupca l’edificio di via Castello ospitò pure due imperatori: Leopoldo I° nel 1660 e Carlo VI nel 1728.

Foto collezione personale di Gabriella Amstici