Archivio mensile:febbraio 2017

La storia del Milite Ignoto

Per ricordare tutti i dispersi della Grande Guerra, il colonnello d’artiglieria Giulio Douhet propose di raccogliere la salma di un soldato rimasto senza nome in rappresentanza di tutti i figli, padri, mariti e fratelli perduti nel tremendo conflitto.

Approvato il disegno di legge, nel 1921 il Ministero della Guerra affidò l’incarico a una commissione di percorrere tutti i principali campi di battaglia (nota 1) raccogliendo 11 spoglie di impossibile identificazione per poi designarne una sola da tumulare sul Vittoriano di Roma sotto la statua equestre del “Padre della Patria”.

Le undici salme sarebbero state sistemate in altrettante identiche casse di legno allestite a Gorizia e traslate nella basilica di Aquileia entro il mese di ottobre del 1921.
ignoto2[1]La bara prescelta doveva essere collocata all’interno di una cassa di legno lavorato ad ascia e rivestita di zinco ed essere poi trasferita a Roma in uno speciale convoglio ferroviario da allestirsi a Trieste a cura del Ministero della Guerra.
Gli altri ignoti dieci soldati ignoti sarebbero stati tumulati nel cimitero retrostante la basilica di Aquileia.
Nelle foto il feretro allestito a Trieste14918930_1811935865687728_6613818672469277369_o[1]

cMSa_F_012168_R[1]Il feretro sfila per le vie della cittàffbe7e56c927461bba84259315e5cda3[1]

Il 27 ottobre 1921 le undici casse con i resti dei dispersi raccolti nei campi di battaglia vennero adagiate su altrettanti carri trainati da 6 cavalli giungendo a piazza della Vittoria di Gorizia salutate da 21 salve d’onore da una batteria d’artiglieria collocata sul castello e quindi sistemate nella chiesa di Sant’Ignazio dove verrà scelta la donna incaricata di scegliere una delle 11 salme.

L’ardua scelta cadde su Maria Bergamas, una donna di modeste condizioni (nota 2) madre del suo unico figlio Antonio (nota 3) arruolatosi come volontario nell’Esercito Italiano dopo aver varcato clandestinamente i confini dell’Impero Austro-ungarico.
Caduto in guerra entrò a far parte delle fila dei numerosi soldati ufficialmente “dispersi”.

Nella foto Maria BergamasMaria_Bergamas[1]

Il 28 ottobre 1921 tutte le undici bare furono caricate su altrettanti automezzi in procinto di partire da Gorizia verso Aquileia dove saranno accolte da un’immensa folla commossa.
Deposte davanti l’altare della Basilica di Aquileia, vicine al palco allestito per le madri e le vedove di guerra, fu officiato il rito di suffragio dal vescovo di Trieste mon. Angelo Bartolomasi.
Dopo l’aspersione con l’acqua del Timavo, Maria Bergamas scelse la bara del Milite Ignoto al suono delle campane, degli spari a salve delle artiglierie e delle note della Leggenda del Piave suonata dalla Brigata Sassari.
cMSa_F_012170_R[1]La salma prescelta venne posta all’interno di un’altra cassa in legno rivestito di zinco e sul coperchio furono adagiate una teca con la medaglia commemorativa e un’alabarda d’argento dono della città di Trieste.
Posto il sarcofago su un affusto di cannone trainato da sei cavalli bianchi bardati a lutto, il corteo si avviò alla stazione ferroviaria e deposto su una carrozza allestita a Trieste a traino del convoglio speciale proveniente da Trieste.

Nella foto il convoglio ferroviario in viaggio verso Roma  3d5a606354014f3e9bfe91bd6170861f[1]Il 29 ottobre 1921 iniziò il lungo viaggio del treno a vapore che passò a velocità moderatissima davanti tutte le stazioni (nota 5) permettendo alle popolazioni di porgere il loro saluto al soldato.

Il 2 novembre il convoglio giunse a Roma e accompagnato da un corteo il Milite Ignoto fu esposto nella basilica Santa Maria degli Angeli.
cMSa_F_012172_R[1]La mattina successiva il feretro venne trasportato la mattina successiva all’ Altare della Patria del Vittoriano, dove fu tumulata alla presenza di Vittorio Emanuele III ed essere poi trasferito nella cripta interna.
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Il 4 novembre 1921 gli altri dieci caduti sui campi di battaglia della Grande Guerra furono sepolti al Cimitero degli Eroi accanto la Basilica di Aquileia.
acquileia[1]Maria Bergamas morì nel 1952 a Trieste quando non era ancora ricongiunta all’Italia; nel novembre 1954 fu sepolta anch’essa accanto ai 10 militi ignoti.

NOTE:

1. Furono scelti i campi di battaglia di San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Capo Sile;

2. Originaria di Gradisca d’Isonzo;

3. Antonio Bergamas fu arruolato nel 137° reggimento di fanteria della Brigata Barletta come Antonio Bontempelli, nome fittizio imposto dall’Esercito Italiano per arruolare i volontari irredenti. Offertosi volontario per guidare con il suo plotone l’attacco del reggimento superò illeso due ordini di reticolati ma al terzo venne raggiunto da una raffica di mitraglia e colpito con cinque colpi al petto e uno alla fronte.
Al termine del combattimento nella tasca del ragazzo fu trovato un foglio sul quale era scritto: «In caso di mia morte avvertire il sindaco di San Giovanni di Manzano, cav. Desiderio Molinari» l’unico a conoscere la sua vera identità.
La salma di Antonio Bergamas venne dunque riconosciuta e sepolta assieme agli altri caduti nel vicino cimitero di guerra delle Marcesine sull’Altipiano dei Sette Comuni. In seguito al violento bombardamento della zona le salme divennero però irriconoscibili e Antonio Bergamas con gli altri compagni di sventura risultò ufficialmente disperso.

4. Qui era stato approntato un convoglio speciale ed in particolare era stato predisposto un pianale artisticamente lavorato e progettato dall’architetto triestino Cirilli.

5. Il convoglio passò per le stazioni di Udine, Treviso, Venezia, Padova, Rovigo, Ferrara, Bologna, Pistoia, Prato, Firenze, Arezzo, Chiusi e Orvieto

La lettera che Antonio Bargamas scrisse alla madre prima di partire per il fronte.

«Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto sia andato a morire sui campi di battaglia… Perdonami dell’immenso dolore ch’io ti reco e di quello ch’io reco al padre mio e a mia sorella, ma, credilo, mi riesce le mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese natale, al mare nostro, per la Patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una Patria che non era la mia e che io odiavo.
Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio».

(da “Il Corriere della sera” 1/11/2011)

Fonte tratta da:
Lorenzo Cadeddu, La leggenda del Milite Ingnoto, quaderno n° 4 – 80° della Vittoria 1918-1998, Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche
Foto CMSA, Trieste – Rete Comuni Italiani – Cineteca del Friuli

I sotterranei del Castello di San Giusto

Nonostante la sua millenaria esistenza sul castello di San Giusto non ci sono giunte molte notizie dei personaggi che lo abitarono, né degli omicidi che si perpetrarono né dei numerosissimi prigionieri rinchiusi nei suoi tenebrosi sotterranei. Né ci sono state tramandate storie di grandi amori o di fantasmagorici spettri come ci si aspetterebbe da un vero castello.
11468[1]Del castelliere eretto sulla sommità della collina in epoca protostorica si sono trovate le tracce solo dopo gli insediamenti dei romani che qui costruirono la loro Urbe con la grande piazza del Foro circondata da una serie di botteghe, la Basilica Civile e la sede del Senato collegata al tribunale.

Nel corso dei secoli fu segnalata l’esistenza di una rocca sulle rovine di una precedente e dopo il 1470 è stata documentata la costruzione di un imponente edificio fortificato voluto da Federico II d’Asburgo con l’aggiunta di una torre a elle per controllare e reprimere il popolo che aveva dimostrato di non essere troppo legato all’ Impero.
Da allora ci è giunta solo qualche frammentaria notizia sulla occupazione di alcuni capitani imperiali austriaci e di qualche non identificato personaggio dell’aristocrazia veneta.

Intorno alla torre elevata dall’Imperatore, al tempo del dominio di Venezia su Trieste nel 1508 venne costruito il Bastione Rotondo mentre il caratteristico sperone poligonale chiamato Bastione Lalio fu edificato tra il 1553 e il 1557 dal Capitano imperiale Giovanni de Hoyos.
Mancando però un progetto unitario i lavori proseguirono saltuariamente fino all’anno 1630 quando fu ultimato il Bastione Pomis che completò l’area di tutto il complesso storico.

Un castello così fortificato avrebbe dovuto rappresentare una funzione militare e di controllo politico mentre invece fu piuttosto pervaso da un alone di mistero per le voci che narravano di collegamenti segreti con la città.
Al fine di comprovarne l’esistenza la Società Adriatica di Speleologia negli anni Ottanta effettuò dei sopralluoghi perlustrativi trovando però diverse murature eseguite per “motivi di sicurezza” sia nel corso dei restauri degli anni 1935-38 che nei secoli precedenti, presumibilmente per la necessità di rinforzare le strutture.
Nella foto la porta d’ingresso sotto il Bastione Rotondo (nel Cortile delle Milizie) con lo stemma dell’imperatore de Hoyos:
IMG_0053Sotto il torrione veneto vennero rinvenuti degli interramenti databili nientemeno che al Seicento mentre altri ambienti ipogei risultarono murati in epoche successive.
Per ripristinare i vasti ambienti furono quindi necessari lavori di scavi e restauri risultando alla fine 3 sale degradanti e collegate da una serie di scalinate.
Nella foto un vano del sotterraneo:
0c3414b344cd48ea804ee841d683fb9fSotto il Bastione Pomis-Fiorito venne invece individuata una galleria di contromina terminante all’interno della Comunità Israelitica di via del Monte adibita sia come ricovero che come passaggio protetto verso il Comando nel castello.
Venne trovata anche un secondo passaggio uscente in via Tommaso Grossi, dove tra l’altro furono rinvenuti numerosi resti umani (nota 3); entrambe furono poi interdette per il rischio di possibili crolli.
Oggi è aperto al pubblico solo un vano sotto il camminamento del bastione di collegamento Hoyos – Pomis dove sono esposte colubrine, bombarde e petrere di origini austriache, venete e francesi.
IMG_0057Non si è potuto nemmeno esplorare il pozzo dietro l’altare della cappella San Giorgio, all’ingresso della Casa del Capitano, ostruito da materiali di risulta, forse gettati corso dei restauri o come tramanda una leggenda cittadina zavorrati apposta per chiudere un passaggio segreto che sarebbe arrivato fino alla chiesa di Santa Maria Maggiore.
Nelle foto la cappella San Giorgio e il pozzo dietro l’altare: Autocertificazione 22818268c845f2444ea59046f95db43d3951[1]Anche il grande pozzo nel Cortile delle Milizie, che un tempo forniva un’acqua purissima, risultò occluso da intere casse di munizioni e di bombe gettate nel 1945 dai tedeschi quando abbandonarono la fortezza e da tonnellate di fili elettrici dei vecchi impianti sostituiti nel 1954.
Nella foto il fondo del pozzo da cui per fortuna non traspare nulla: Autocertificazione 2282

IMG_0055Percorribili e pieni di suggestione sono invece i sotterranei del Bastione Lalio, oggi adibiti al magnifico Lapidario Tergestinum inaugurato nel 2001.
La memoria ci riporta però alle immagini di quei grandi spazi come si presentavano prima delle recenti ristrutturazioni quando aleggiavano ancora le atmosfere di un tempo.
Nelle gallerie che si diramavano sotto il bastione si trovavano infatti le celle delle carceri dove venivano rinchiusi centinaia di malfattori o di oppositori del potere costituito.

Nelle foto l’ingresso e la scala verso i sotterranei del Bastione Lalio: d9b5501130da4af584a4ad59f85a83b2 (1)Autocertificazione 2196Una delle poche notizie riportate riguarda la breve permanenza nelle prigioni del castello dell’allora celebre alchimista milanese Francesco Giuseppe Borri accusato di eresia e condannato dai tribunali dell’Inquisizione. Destò molto scalpore nell’élite di Trieste la presenza di questo singolare personaggio inventore di un antidoto a base di mercurio contro la peste e di un metodo di rigenerazione dell’umor vitreo per il recupero della vista. (nota 4)

Ci piacerebbe ripercorrere altre vicende di questo bellissimo castello che ci emoziona ancora quando percorriamo i corridoi intorno le mura o quelli nella Casa del Capitano tra panoramiche logge, armi antiche, vecchi focolari con le memorie della sua lunga Storia.

NOTE:

1. Dal nome dell’architetto che diffuse la tecnica della struttura “a muso camuso”;
2. Dal nome dell’architetto Pietro de Pomis; il nome più conosciuto è però “Bastione Fiorito”;
3. Notizia riportata da Leone Veronese;
4. Francesco Giuseppe Borri fu poi trasferito a Roma dove passò il resto della sua vita nelle carceri di Castel Sant’Angelo

Notizie tratte da:
Michela Messina, Il castello di San Giusto, Comune di Trieste, 2004
Leone Veronese, La storia del Castello di San Giusto, Edizioni Luglio, Trieste, 2004
A. Halupca – L. Veronese – E. Halupca, Trieste nascosta, LINT Editoriale, Trieste, 2014               Silvio Rutteri, Trieste spunti dal suo passato, Edizioni LINT, Trieste, 1975