Le origini
Tutta la zona intorno alle foci del fiume Timavo fu abitata fin dall’antichità. Gli scavi effettuati nelle caverne del territorio carsico furono rinvenute armi in pietra di abitanti trogloditi risalenti a epoche ben anteriori alle leggende degli Argonauti qui giunti con le navi dopo la caduta di Troia. (nota 1)
In epoche remote, trovandosi il mare più arretrato rispetto ad oggi e tutto il circondario più vasto e rigoglioso, esisteva il Lacus Timavi, formato dall’ansa dei sette rami formati dalle vicine sorgenti del fiume, protetto dalle 2 Insulae Clarae (nel tempo inabissate) e sufficientemente profondo per essere usato come porto. (nota 2)
In seguito alla fondazione della colonia militare di Aquileia nel 181 a.C. , iniziarono le mire espansionistiche dei Romani che nel corso del loro impero, disseminarono vari edifici e splendide ville che si diramavano intorno alla lunghissima via Gemina, di cui ancora oggi rimangono alcune tracce.
Se una tribù Gallica penetrata dalle abilmente debellata non altrettanto semplici furono le guerre con i vicini Istri, esperti naviganti e avidi predatori dei commerci intorno ai porti, contro i quali tra l’anno 178 e 177 a.C. furono combattute delle cruente guerre tra gli eserciti del console romano Manlio Vulsone e quelli del giovane condottiero Epulo.
Dopo il 46 a.C. , quando l’antica Tergeste divenne anch’essa colonia romana con l’assegnazione di un territorio ben presidiato compreso tra i fiumi Timavo, Vipacco e Risano, le incursioni degli Istri cessarono e sulle falde interne alle coste vennero costruiti edifici e residenze disseminati tra fertili campi e rinomati vigneti.
Il dominio dell’ Impero Romano continuò per quasi cinque secoli di relativa pace fino a un progressivo indebolimento dell’Impero causato sia per le interne lotte di potere che per gli alti costi degli eserciti di mercenari a protezione dei territori.
Le disgregazioni delle frontiere resero così possibili le prime invasioni barbariche e dopo la distruzione di Aquileia nel 452 d.C. per opera degli Unni, nel 568 vi fu la calata dei Longobardi che provocarono devastazioni anche nella stessa Tergeste.
Dopo il 580 sull’altopiano carsico fino alle sponde dell’Isonzo si ebbero le scorrerie degli Slavi con dei violenti saccheggi estesi su tutta l’Istria che neppure le colonie militari per la difesa riuscirono a impedire.
Tra il 752 e l’804 gli storici narrano di ulteriori contese tra Longobardi, Franchi e Bizantini fino alla cacciata dei terribili Slavi in “loca deserta” ritenendo che si riferissero proprio alle terre del Carso all’epoca in stato di abbandono.
Per finire il millennio si verificarono poi le scorrerie degli Ungheri in transito nell’Italia settentrionale dove erano avezzi a far piazza pulita su tutti i territori.
Iniziarono così gli oscuri secoli del Medioevo con innumerevoli battaglie tra feudi e feudatari, vassalli e valvassori con la progressiva ingerenza del potere vescovile per la spartizione dei Comuni.
Note:
1. Dall’Eneide, Libro I: “Attraversando achive terre, Antenore le spiagge dell’Illiria raggiunse ed i remoti regni varcati dei Liburni illeso, superò del Timavo le sorgenti onde per nove sbocchi con rimbombo esce dal monte, quale effuso mare e con flutto sonante i campi allaga”
2. Durante l’impero di Ottaviano Augusto (63 a.C. – 14 d.C.) su uno dei 2 isolotti sorse uno stabilimento termale che sfruttava una sorgente d’acqua calda.
Riattivato dai Veneziani nel XV secolo e caduto in disuso all’inizio della seconda guerra mondiale, è sorto a nuova vita nel 2014. La Carta del Valvasor (1553)
La Rocca
Le pochissime tracce dei periodi barbarici e medievali possono essere rintracciate solamente tra le numerose chiese superstiti e la Rocca di Duino (nominata anche Castelvecchio), unica struttura in parte miracolosamente sopravvissuta alle lunghe e sanguinose battaglie su queste terre così contese.
Fin dai tempi dell’imperatore Diocleziano nel III° secolo d.C. (nota 1) sulle più alte falesie dell’alta costiera adriatica compresa tra gli antichi porti di Duinum e Sextilium (l’odierna Sistiana) i romani avevano eretto una torre di difesa e di controllo del mare e delle vie retrostanti, ma la fortezza medievale venne costruita su un promontorio roccioso più a ovest rispetto al torrione romano.
Del resto osservando quell’arditissimo scoglio proteso a picco sul mare si conviene che nessun altro luogo poteva immaginarsi più adatto per erigervi un’inespugnabile rocca. Nella foto il Castelvecchio come appariva in un’incisione di Gabriel Bodenehr eseguita nei primi anni del Settecento.
Le sue dimensioni erano ristrettissime sia per la natura del sito quanto per la necessità di rendere sicure le difese ed efficaci le aggressioni degli assalitori.
I ruderi della rocca ci inducono a credere che per quanto permettesse l’irregolarità dello scoglio, la forma fosse rettangolare e fiancheggiata da torri merlate sostenute da arcate che si appoggiavano sulle rocce della scogliera.
Nella parte inferiore della torre principale, che fungeva pure da abitazione, si trovava una cappella di cui sono ancora visibili alcune tracce degli affreschi che decoravano le pareti e la volta del soffitto; i viveri venivano disposti in alcuni anfratti scavati nella roccia mentre l’acqua era raccolta in una grande cisterna a cielo aperto.
All’altezza di una piccolissima finestrella gotica esiste ancora un leggio in pietra mentre non sono state rilevate tracce di scale in muratura ritenendo che l’accesso al piano superiore avvenisse per mezzo di scale esterne di legno. Infatti sulle mura della torre si notano incavi quadrati ove presumibilmente erano incastrati i supporti della scala, probabilmente mobile, per assicurare in caso di assedio, una perfetta difesa agli abitanti della torre.
Sulla strettissima lingua di terra che si congiungeva alla terraferma era stato scavato uno stretto andito sia per costringere il passaggio di una sola persona che per rendere agevole lo sbarramento al nemico. Planimetria di Castelvecchio in un disegno di L. Foscan – E. Vecchiet
Note:
1. Nato nella regione Illirica nel 247 d.C. e morto a Salona (odierna Spalato) nel 313;
Le foto della Rocca come appare oggi sono di Manlio Giona.
Note sui 2 castelli
Fin dalla pace del Timavo nel 1112 erano stati definiti i confini del territorio carsico tra il Marchesato dell’Istria e la Contea di Gorizia, entrambi feudatari dei Patriarchi di Aquileia che nel corso del XII e XIII secolo affideranno poi tutti i territori del Carso ai Signori di Duino, detti Duinati.
Come si è scritto nei paragrafi precedenti, considerando le ridottissime dimensioni della fortezza, è stato supposto che gli uomini di armi e servizi dimorassero anche intorno alla torre romana sulla sponda opposta della scogliera.
Nel 1363, sotto il dominio di Ugone VI vennero rinvenute notizie sulla costruzione di un nuovo edificio proprio intorno all’antichissima torre Diocleziana; da allora i due castelli si distinsero con i nomi di Castelvecchio o basso e di Castel nuovo o alto.
Quando i conti di Duino si dichiararono vassalli dei duchi d’Asburgo dopo il 1383 i lavori nel nuovo maniero vennero ulteriormente incrementati.
Nel 1395 la famiglia dei Duinati però si estinse e tutta la contea passò all’Austria che la consegnò ai ricchissimi Signori di Walsee che apportarono ulteriori strutture al nuovo castello.
Dal XV secolo l’antica Rocca di Duino venne del tutto abbandonata e in seguito a un’incursione turca avvenuta nel 1476 fu quasi del tutto distrutta.
Eppure ancora su quell’impervio scoglio battuto dai venti alcune parti delle sue storiche mura sono riuscite a sopravvivere con tutte le sue leggende.
Origini del nome Duino
Nel suo documentatissimo libro Il castello di Duino, Memorie (pubblicato nel 1882) l’abate professor Rodolfo Pichler sostenne di aver rinvenuto un’antica lapide di marmo dove veniva menzionato un certo abitante della Gallia di nome Douinos, vissuto tra il IX e X secolo e defunto nel luogo che da lui avrebbe preso il nome.
Il testo citato Pichler ne riporta la scritta in greco:
“Quegli che per ogni sapienza e venustà era celebre / L’eroe Duino, sommamente illustre, qui giace / Dal contado dei Cauni, nella onninamente felice Galizia”.
In un documento risalente al 1121 scritto dal Patriarca di Aquileia Uldarico risulterebbe il nome di Ortuwin (luogo o terra di Duvino), in una pergamena del 1139, dove fu sancito un compromesso di confine con la città Tergeste, fu rinvenuta per la prima volta la scritta Duinum.
Fonti delle notizie:
Rodolfo Pichler, Il castello di Duino, Memorie, E. Seiser, Trento, 1882;
Dante Cannarella, Il Carso della Provincia di Trieste, Ed. Svevo, Trieste, 1998;
Ettore Campailla, IL CASTELLO DI DUINO, Editoriale MGS Press, Trieste, 1996;
Se volete le origini di nome Duino dovete guardare e conosere la lingua Slovena. In Slovenia esistono molti toponimi Devin, e tutti sono colegati alle storie dela donna giovane (Deva, Devica – donna innocente) che si butta dalle rocie.