In seguito alle donazioni dell’ archivio privato di Giorgio Strehler da parte delle due eredi Andrea Jonasson e Mara Bugni al Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Palazzo Gopcevich (3/2/2005) e alle successive catalogazioni del materiale rinvenuto, emersero dei fogli dattiloscritti e corretti per mano dello stesso Maestro concernenti un progetto cinematografico rimasto inedito fino allora. (qui la prima pagina dell’ “intelaiatura” del progetto cinematografico)
Il libro Strehler privato, pubblicato dal Comune di Trieste in occasione del decimo anniversario dalla sua morte, ha reso pubbliche le pagine in cui fu elaborata una bozza per l’adattamento di un film tratto da La coscienza di Zeno, il più famoso romanzo di Italo Svevo.
Si riassume brevemente qui la sua storia.
Nel corso di una crisi con il mondo teatrale vissuta alla fine degli anni Sessanta, Giorgio Strehler preso da una “grande voglia di fare del cinema” si dedicò alla scrittura di soggetti cinematografici. La sua passione per la Settima Arte risaliva alle professioni del nonno materno Olimpio Lovrich, impresario lirico e gestore di alcuni cinema triestini e del padre Bruno, prematuramente scomparso, che ne continuò l’attività.
In un’intervista rilasciata a Tullio Kezich (“L’Europeo” n.12, 1967), Strehler parlò della sua intenzione a realizzare un film su La coscienza di Zeno di Italo Svevo da lui considerato “il” romanzo tout court, una “grande commedia” psicologica e di costume, una storia di vita narrata come “un gioco dei sentimenti, dei movimenti umani più segreti”. Questo progetto era stato ripreso e abbandonato più volte finché ritornando a Trieste riscoprì quasi “con violenza” i suoi odori, i suoi sapori e le sferzate di bora che riecheggiavano in quel romanzo.
“Il mondo di Svevo mi appartiene […] Un qualcosa sul filo della tragedia con un tanto di umoristico, di grottesco che lascia anche la bocca amara” scrisse a Piero Zuffi, testimoniando quanto quel testo rappresentasse anche il luogo e il tempo dei suoi ricordi.
Nel linguaggio narrativo di Svevo, Strehler percepiva anche la vicinanza letteraria di James Joyce, tanto che avrebbe voluto intitolare il film Un Ulisse a Trieste immaginandolo in varie gradazioni di bianco e nero con una tonalità contraddistinta da “una luminosità tenera e lancinante”.
La trama sarebbe iniziata con la scena di uno sbuffante treno a vapore che percorreva un paesaggio innevato tra Vienna e Trieste dove nell’ultimo scompartimento si trovava un Zeno ormai anziano e con l’immancabile sigaretta tra le dita. Le vetture deserte sarebbero state popolate dai fantasmi della sua vita: i parenti, le amanti, le istitutrici e le prostitute; defilata in testa al convoglio ci sarebbe stata la balia con in braccio lui in fasce.
Nel corso del viaggio la memoria del protagonista avrebbe ripercorso in continui flash back tutti gli episodi della sua esistenza suddivisi in episodi paralleli ai capitoli romanzeschi (Preambolo e psicanalisi, Il fumo, La morte del padre, Storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale) fino a richiudersi sulla stessa scena del treno che passava tra le pietraie carsiche con La morte di Zeno.
Durante il viaggio il protagonista avrebbe visto le tradotte dei soldati avviati al fronte compiacendosi della propria vecchiezza che lo preservava dal coinvolgimento in quella guerra dannata. Vedrà la moglie e la figlia allontanarsi verso la Svizzera, al sicuro, e al sicuro si sentirà anche lui, avvolto dal tepore del suo plaid e dal nulla che si sarebbe ormai aspettato dopo una vita che era già stata vissuta.
La romanzesca storia si snoderà fra stupide e tragiche casualità che si presenteranno in una sequelle di eventi inaspettati e dalle imprevedibili conseguenze con la godibile e umoristica leggerezza che i lettori di Svevo certo conosceranno.
Dopo le grottesche scene del funerale del tanto odiato cognato, il drammatico addio con la donna amata ma ormai diventata brutta e malata, a Zeno non sarebbe rimasto altro che rivivere gli accadimenti della sua vita in quello scritto che rileggerà nella solitudine di quel treno in corsa fra le nuvole rossastre della sera e gli scoppi lampeggianti delle granate. Forse quella lunga storia gli sembrerà ormai inutile e avrebbe gettato i fogli dal finestrino. Sarebbe stato molto meglio pensare di non dover fare nulla, di abbandonarsi al sonno immaginando l’esplosione della terra e il suo ritorno alla forma di nebulosa errante tra cieli privi di parassiti e malattie. E nel sonno quell’ultima sigaretta stretta tra le dita si consumerà, diverrà cenere e cadrà “grigia e fredda” precipitando nel vuoto.
Dopo una lunga rielaborazione sul testo con una serie di appunti, ricerche, meditazioni, Strehler consegnò al regista Carlo Ponti le cartelle che costituivano l’intelaiatura per l’adattamento cinematografico del romanzo di Zeno o “alla Zeno” che comprendesse anche tematiche su Trieste, l’Austria, lo sfascio dell’Impero e sulla trasformazione della storia narrata da una psicologia individuale.
Annoiata e deprimente fu però l’opinione del produttore che liquidò quel soggetto in poche parole: “L’ho letto sai, il tuo coso lì. Vedi, secondo me non va mica bene perché non è sexy, capisci? Manca la “donna”. Un film è la donna! La femmina.” (lettera del 7 settembre 1967 a Maria Teresa de Simone Niquesa).
Shockato dall’inappellabile rifiuto e rimasto senza argomentazioni da controbattere (Ponti non conosceva affatto il romanzo di Svevo) Strehler fece “il pesce in barile” sprofondando però poi in una sorta di “paralisi interiore” aggravata anche dai problemi di salute .
In una successiva lettera a Moravia (forse datata 1968 e mai spedita), Strehler ammise di essere seccato e di non voler parlare più nemmeno con i muri.
Chissà quali risate si sarebbe fatto il nostro Ettore Schmitz se avesse saputo che il suo romanzo era stato ritenuto “non sexy”. Ma allora erano certo altri tempi.
Nella foto di Marino Ierman la sala del Fondo “Giorgio Strehler a Palazzo Gopcevich
Fonte articolo e foto:
Strehler privato, Ed. Comune di Trieste, 2007