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INCONTRI Svevo e Joyce

IMG_0660Come si è scritto nel precedente articolo, il 27 maggio 1955 il professor Stanislaus Joyce volle congedarsi dalla sua lunga carriera universitaria con la lettura di “The meeting of Svevo and Joyce,” un breve testo che ripercorreva l’incontro a Trieste dei due scrittori e l’intreccio delle vicende che li portarono alla loro straordinaria fama letteraria.
L’incontro di Ettore Schmitz (nota 1) e James Joyce avvenne alla Berlitz School tra gli anni 1906/07 e la loro immediata quanto reciproca intesa fu seguita da una serie di scambi letterari che nel tempo portarono a clamorosi sviluppi.
Se il ventiquattrenne James durante le noiosissime lezioni svolte a villa Veneziani amava leggere i racconti appena scritti di Gente di Dublino Ettore gli raccontava dell’assoluta indifferenza di critica e di pubblico dopo la pubblicazione nel 1892 del suo libro Una vita constatando che “Uscì nato morto dalla tipografia”.
Ma fu la lettura di Senilità, stampato nel 1898 ancora senza successo, a suscitare l’interesse di Joyce che si espresse con una battuta poi rimasta famosa: “Ma lo sa che Lei è uno scrittore negletto?
Schmitz si commosse fino alle lacrime quando il suo giovane insegnante, squattrinato ma sicuro di sé, dotato di eccellente memoria, recitò brani del romanzo in questione, per il quale più tardi, quando venne tradotto in inglese, egli stesso suggerì il titolo As a Man Grows Older” riferì Stanislaus nel corso della sua lezione, seguitando a raccontare, con un pizzico di umorismo, che Ettore si entusiasmò a tal punto da aver voluto accompagnare James fin sotto casa parlandogli per tutto il tempo delle sue sventure letterarie.

Gli entusiasmi di entrambi furono però sminuiti da alcuni intellettuali triestini come il saggista Giulio Caprin o il presidente della “Minerva” Nicolò Vidacovich che sentendo il nome di Italo Svevo si espressero con un inappellabile dissenso. “Semi-illetterati!” fu il commento di Joyce ritenendo che: “un critico debba avere egli stesso una scintilla di genio in sé per scoprire la scintilla del genio di un altro”.
Nonostante tutto Ettore Schmitz, o meglio il suo irrinunciabile pseudonimo Italo Svevo, dopo lunghi anni di inattività letteraria, riprese a scrivere e ancora ad autopubblicare nel 1923 presso la casa editrice Cappelli il romanzo La coscienza di Zeno. 
“Un grande finanziere e un grande industriale” lo definirono sarcasticamente i critici, “Un fiore nato tra i barili di vernice per le carene delle navi” fu invece il commento di Joyce che dopo aver letto il libro consigliò l’amico, del tutto demoralizzato, a spedirlo con la sua raccomandazione a certi critici francesi.
Va notato che per mio fratello la cosa d’importanza primaria era la soddisfazione dell’artista per la propria opera: il successo presso il pubblico era, invece, una faccenda del tutto secondaria” volle specificare Stanislaus.

Ma finalmente un noto critico francese, provvisto di “qualche scintilla di genio”, apprezzò l’ironica originalità del libro di Zeno e l’anno successivo informò Ettore Schmitz del successo riscontrato nei circoli parigini.
Ottenuti i permessi di pubblicazione e trascorsi i tempi per le traduzioni, alcuni brani di Senilità e de La coscienza di Zeno vennero pubblicati su alcune autorevoli riviste francesi con ottime recensioni.
Italo Svevo, scrittore assai amato da alcuni dei migliori “italianisants” stranieri e ignoto un patria, costituisce il “caso” più singolare che offre oggi la nostra repubblica libresca” scrisse lo scrittore-poeta Eugenio Montale su un articolo del gennaio 1926 apparso su “Il Quindicinale” contribuendo al riconoscimento dei testi sveviani anche in Italia. (note 2 e 3)

Nel ripercorrere le vicende tra i due scrittori il professor Stanislaus Joyce volle però ribadire che buona parte dei riconoscimenti fu dovuta al fratello James, fatto ammesso dallo stesso Svevo con una frase dolce e nello stesso tempo amara: “Joyce mi ha regala to un tramonto dorato”.
Per contro ammise che fu Svevo a fornire a Joyce delle informazioni sull’ebraismo poi usate per il personaggio di Leopoldo Bloom dell’ Ulisse che sarà pubblicato nel 1922 tra un’alternanza di critiche.

Svevo e Joyce Ultimo atto

A Ettore Schmitz rimase poco tempo per assaporare il suo successo: il 12 settembre 1928 ritornando da un periodo di cure termali a Bormio fu coinvolto in un incidente stradale presso Motta di Livenza rimanendo ferito in modo apparentemente non grave (nota 4). Sopravvenuta una grave insufficienza cardiaca morirà 67enne il giorno successivo lasciando incompiuto il suo quarto romanzo che sarebbe stato il seguito de La coscienza di Zeno.
(Nella foto la cappella dei Veneziani al Cimitero Sant’ Anna di Trieste)HPIM0585HPIM0586Dopo l’uscita nel 1922 dell’ Ulisse e nel 1927 delle Poesie da un soldo, con una stesura protratta per 16 anni, nel 1939 James Joyce pubblicherà Finnegans Wake che fu accolto da durissime critiche.
La sua vita era ormai allo sfascio: la salute psico-fisica peggiorava, la figlia Lucia languiva in un ospedale psichiatrico, il figlio Giorgio divenuto alcolista aveva distrutto il suo matrimonio con una ricca ereditiera americana e la guerra era ormai alle porte.
Trasferitosi con Nora a Zurigo nel dicembre 1940, il 9 gennaio 1941 fu ricoverato in ospedale e sottoposto a un’operazione per un ulcera perforata quando già era in atto una peritonite che lo porterà alla morte alle 2.15 del 13 gennaio.
Le sue ceneri si trovano al cimitero di Fluntern a Zurigo (nota 5)4720658236_2d68ee926e[1]

Note:

1. Aron Hector Schmitz nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da un padre ebreo di origine tedesca (il nonno Astolfo era giunto a Trieste come funzionario dell’ Impero asburgico) e da madre italiana. La conversione al cattolicesimo avvenne in occasione del matrimonio con Livia Veneziani nel 1896;

2. Già nel 1925 Montale pubblicando sulla rivista L’esame l’articolo “Omaggio a Italo Svevo” diede inizio alla popolarità dei suoi romanzi.
Il rapporto tra i 2 scrittori continuerà poi con una fitta corrispondenza proseguita fino agli ultimi anni di vita di Ettore Schmitz;

3. Dopo essere passato per i tavoli di vari altri editori il libro Senilità verrà pubblicato nel 1927 dall’editore Morreale;

4. Nell’incidente Svevo riportò una frattura al femore ma le complicazioni furono causate da un enfisema polmonare di cui soffriva da tempo;

5. Nel 1951 sarà sepolta la moglie Nora e nel 1951 il figlio Giorgio.

Fonti:

Stanislaus Joyce, JOYCE NEL GIARDINO DI SVEVO, MGS PRESS, Trieste, 1995
Il manoscritto di Stanislaus Joyce si trova alla Biblioteca Civica di Trieste;
Il testo venne pubblicato dall’Editore Del Bianco di Udine nel 1965.

Un Ulisse a Trieste

lobianco779In seguito alle donazioni dell’ archivio privato di Giorgio Strehler da parte delle due eredi Andrea Jonasson e Mara Bugni al Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Palazzo Gopcevich (3/2/2005) e alle successive catalogazioni del materiale rinvenuto, emersero dei fogli dattiloscritti e corretti per mano dello stesso Maestro concernenti un progetto cinematografico rimasto inedito fino allora. (qui la prima pagina dell’ “intelaiatura” del progetto cinematografico)

lobianco777Il libro Strehler privato, pubblicato dal Comune di Trieste in occasione del decimo anniversario dalla sua morte, ha reso pubbliche le pagine in cui fu elaborata una bozza per l’adattamento di un film tratto da La coscienza di Zeno, il più famoso romanzo di Italo Svevo.
Si riassume brevemente qui la sua storia.

Nel corso di una crisi con il mondo teatrale vissuta alla fine degli anni Sessanta, Giorgio Strehler preso da una “grande voglia di fare del cinema” si dedicò alla scrittura di soggetti cinematografici. La sua passione per la Settima Arte risaliva alle professioni del nonno materno Olimpio Lovrich, impresario lirico e gestore di alcuni cinema triestini e del padre Bruno, prematuramente scomparso, che ne continuò l’attività.
In un’intervista rilasciata a Tullio Kezich (“L’Europeo” n.12, 1967), Strehler parlò della sua intenzione a realizzare un film su La coscienza di Zeno di Italo Svevo da lui considerato “il” romanzo tout court, una “grande commedia” psicologica e di costume, una storia di vita narrata come “un gioco dei sentimenti, dei movimenti umani più segreti”. Questo progetto era stato ripreso e abbandonato più volte finché ritornando a Trieste riscoprì quasi “con violenza” i suoi odori, i suoi sapori e le sferzate di bora che riecheggiavano in quel romanzo.
“Il mondo di Svevo mi appartiene […] Un qualcosa sul filo della tragedia con un tanto di umoristico, di grottesco che lascia anche la bocca amara” scrisse a Piero Zuffi, testimoniando quanto quel testo rappresentasse anche il luogo e il tempo dei suoi ricordi.
Nel linguaggio narrativo di Svevo, Strehler percepiva anche la vicinanza letteraria di James Joyce, tanto che avrebbe voluto intitolare il film Un Ulisse a Trieste immaginandolo in varie gradazioni di bianco e nero con una tonalità contraddistinta da “una luminosità tenera e lancinante”.
La trama sarebbe iniziata con la scena di uno sbuffante treno a vapore che percorreva un paesaggio innevato tra Vienna e Trieste dove nell’ultimo scompartimento si trovava un Zeno ormai anziano e con l’immancabile sigaretta tra le dita. Le vetture deserte sarebbero state popolate dai fantasmi della sua vita: i parenti, le amanti, le istitutrici e le prostitute; defilata in testa al convoglio ci sarebbe stata la balia con in braccio lui in fasce.
Nel corso del viaggio la memoria del protagonista avrebbe ripercorso in continui flash back tutti gli episodi della sua esistenza suddivisi in episodi paralleli ai capitoli romanzeschi (Preambolo e psicanalisi, Il fumo, La morte del padre, Storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale) fino a richiudersi sulla stessa scena del treno che passava tra le pietraie carsiche con La morte di Zeno.
Durante il viaggio il protagonista avrebbe visto le tradotte dei soldati avviati al fronte compiacendosi della propria vecchiezza che lo preservava dal coinvolgimento in quella guerra dannata. Vedrà la moglie e la figlia allontanarsi verso la Svizzera, al sicuro, e al sicuro si sentirà anche lui, avvolto dal tepore del suo plaid e dal nulla che si sarebbe ormai aspettato dopo una vita che era già stata vissuta.
La romanzesca storia si snoderà fra stupide e tragiche casualità che si presenteranno in una sequelle di eventi inaspettati e dalle imprevedibili conseguenze con la godibile e umoristica leggerezza che i lettori di Svevo certo conosceranno.
Dopo le grottesche scene del funerale del tanto odiato cognato, il drammatico addio con la donna amata ma ormai diventata brutta e malata, a Zeno non sarebbe rimasto altro che rivivere gli accadimenti della sua vita in quello scritto che rileggerà nella solitudine di quel treno in corsa fra le nuvole rossastre della sera e gli scoppi lampeggianti delle granate. Forse quella lunga storia gli sembrerà ormai inutile e avrebbe gettato i fogli dal finestrino. Sarebbe stato molto meglio pensare di non dover fare nulla, di abbandonarsi al sonno immaginando l’esplosione della terra e il suo ritorno alla forma di nebulosa errante tra cieli privi di parassiti e malattie. E nel sonno quell’ultima sigaretta stretta tra le dita si consumerà, diverrà cenere e cadrà “grigia e fredda” precipitando nel vuoto.

Dopo una lunga rielaborazione sul testo con una serie di appunti, ricerche, meditazioni, Strehler consegnò al regista Carlo Ponti le cartelle che costituivano l’intelaiatura per l’adattamento cinematografico del romanzo di Zeno o “alla Zeno” che comprendesse anche tematiche su Trieste, l’Austria, lo sfascio dell’Impero e sulla trasformazione della storia narrata da una psicologia individuale.
Annoiata e deprimente fu però l’opinione del produttore che liquidò quel soggetto in poche parole: “L’ho letto sai, il tuo coso lì. Vedi, secondo me non va mica bene perché non è sexy, capisci? Manca la “donna”. Un film è la donna! La femmina.” (lettera del 7 settembre 1967 a Maria Teresa de Simone Niquesa).
Shockato dall’inappellabile rifiuto e rimasto senza argomentazioni da controbattere (Ponti non conosceva affatto il romanzo di Svevo) Strehler fece “il pesce in barile” sprofondando però poi in una sorta di “paralisi interiore” aggravata anche dai problemi di salute .
In una successiva lettera a Moravia (forse datata 1968 e mai spedita), Strehler ammise di essere seccato e di non voler parlare più nemmeno con i muri.
Chissà quali risate si sarebbe fatto il nostro Ettore Schmitz se avesse saputo che il suo romanzo era stato ritenuto “non sexy”. Ma allora erano certo altri tempi.

Nella foto di Marino Ierman la sala del Fondo “Giorgio Strehler a Palazzo Gopcevich

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Fonte articolo e foto:

Strehler privato, Ed. Comune di Trieste, 2007