Archivio tag: castello di Duino

Il Castello Nuovo di Duino

Autocertificazione 2921Nel 1472, dopo il dominio dei Walsee, il nuovo castello di Duino passò agli Asburgo, di cui il bavarese Mattia Hofer fu l’ultimo Capitano.
Con il matrimonio delle figlie Lodovica prima e Chiara poi con un Conte della Torre Valsassina iniziò il dominio del ramo lombardo dei Torriani che ingrandirono l’estensione dell’edificio trasformandolo sempre di più in un centro umanistico e culturale. (Nota 1)
Nel corso delle loro discendenze i Signori di Duino contrastarono diverse incursioni turche e divennero pazienti mediatori tra l’Impero e la Serenissima Repubblica di Venezia; furono grandi mecenati, provvidero alle bonifiche delle terre circostanti fondando scuole e conventi.
Autocertificazione 2928Dal matrimonio di Giovanni Battista III, ultimo discendente dei della Torre, con Polissena, figlia del Governatore di Trieste Pompeo Brigido, nacquero tre figlie di cui Teresa Maria Beatrice (1817 – 1893) sposatasi in seguito con il principe Egon Hohenlohe divenne un’importante castellana trasformando la nobile dimora in un vero centro di cultura e arte.
Donna intelligentissima e di grande cultura, ospitò nei salotti del castello illustri personaggi del tempo tra cui Johan Strauss e Franz Listz, che le dedicò una composizione musicale. (nota 2)

Nel quadro di Ludwig Rubelli von Sturmfest dipinto nel 1833 è rappresentato il castello ai tempi del suo massimo splendore e quanto rimaneva dell’antica Rocca.

Ludwig_Rubelli_von_Sturmfest_Castello_de_Duino_1883[1]

La figlia Marie (1855 – 1934), sposatasi con il principe Alexander von Thurn und Taxis (nota 3) ne ereditò le passioni invitando al castello letterati, musicisti, filosofi e poeti tra i quali il boemo Rainer Maria Rilke con il quale intraprese una lunga e affettuosa amicizia. (nota 4)
Alexander von Thurn und Taxis (1881 – 1937) uno dei 4 figli di Marie, nel 1934 ottenne l’italianizzazione del nome in Torre e Tasso e s’impegnò nella ricostruzione del castello dopo il bombardamento del 1917 (nota 5).
lobianco518Nella foto la Sala Cavalieri del Castello prima della sua distruzione
lobianco516Una delle più travagliate storie del castello fu vissuta da Raimondo, figlio di Alexander e Marie de Ligne, personaggio molto conosciuto e amato a Trieste, al quale ci permettiamo dedicare un articolo a parte.

Note:

1. La dinastia lombarda dei Valsassina (vicino Bergamo) dopo le devastazioni del Barbarossa ricostruirono Milano, i canali del Ticino istituendo il primo catasto; parteciparono alla prima Crociata verso Gerusalemme al seguito di Goffredo di Buglione;

2. Lo spartito originale del brano musicale “La Perla”, ispirato a una delle molte poesie scritte da Teresa, è conservato all’Archivio di Stato di Trieste;

3. I Thurn und Taxis appartenevano a un ramo della famosa dinastia dei grandi maestri di posta;

4. La principessa Marie nel libro Ricordo di Rainer Maria Rilke (Ed- Fenice, Trieste, 2005) narrò la lunga amicizia con il poeta; Autocertificazione 2923

5. Dopo il divorzio con la moglie Marie de Ligne, si sposò con l’americana Ella Walker, ricca ereditiera della famiglia produttrice del whisky “Jonny Walker”

Fonti:

Rodolfo Pichler, Il castello di Duino, Memorie, E. Seiser, Trento, 1882;
Ettore Campailla, IL CASTELLO DI DUINO, Editoriale MGS Press, Trieste, 1996;
Giulia Schiberna, Duino, Edizioni Fenice, Trieste, 2003

Concerto al Castello

Vestito di tutto punto e al meglio della sua eleganza, Rainer prese il quaderno con i recenti versi pensando di leggerli dopo il concerto, seppur proponendoli come bozza. Ne era sufficientemente soddisfatto e ritenne che potessero essere una presentazione di sé in deferenza all’ospitalità che gli era stata offerta.
All’ingresso del Salone trovò Marie, che allegra ed elegantissima, lo prese per mano e lo condusse verso i salotti laterali.
– Venga Rainer, Le presento mio marito, il principe Taxis, mio figlio Alexander, sua moglie Marie e…. – guardandosi attorno però, inaspettatamente scomparve.
– Ohh signor Ilke, che piacere! Mia moglie mi ha parlato molto di Voi. Ho saputo che amate la caccia! – disse il principe stringendogli vigorosamente la mano. – Siete arrivato proprio al momento giusto! Mi ero proprio stancato di prendere solo dei fagiani, sono così insulsi… Ora sui monti dell’Ermada stanno pascolando dei piccoli caprioli: loro sì che hanno una carne tenera e saporita! Questo è mio figlio Alexander, bel ragazzo vero? Un vero principe! E questa è mia nuora Marie… Non è deliziosa?
– Onorato… – disse Rilke spaesato, chinando la testa.
– Piacere mio, caro dottor Rilke – rispose il giovane Alexander. – Non sapevo Vi piacesse la caccia. Di solito i letterati la detestano quanto chi ama la musica, vero cara?
– I miei figli non potrebbero neppure pensare di…
– Vogliate scusarmi. – proferì il principe Taxis – Continueremo dopo. Lietissimo signor Ilke… – e si diresse verso una coppia che stava entrando, già accolta dalle attenzioni di Marie.
– Dunque, dottor Rilke… – continuò Alexander – Voi parlate perfettamente il francese, giusto? Mi chiedevo se Vi occupate anche di traduzioni… Conoscete Mallarmé? Lo conoscerete senz’altro, che domanda! Sapete, il mio francese è piuttosto buono e a leggerlo solitamente lo comprendo, ma Mallarmé è davvero ostico, non Vi pare? Pensando di tradurre una parola non si comprende bene il verso, e anche quando ci si riesce, sfugge il senso.
– Straordinario l’incontro della poesia con lo studio del verso! – rispose Rainer prontamente.
– Il fatto è che quando si termina il poema non si è capito quasi nulla.
– Potrebbe darsi fosse necessaria una rilettura.
– O potrebbe darsi non ci fosse molto da capire, perché vedete, carissimo Rilke, una composizione può essere musicale… Per scrivere ci sono gli scrittori, per meditare ci sono i filosofi…
– Il poema racchiude tutto ciò, Sua Altezza, in una sintesi che estrinseca la materia con il sovrasensibile, il reale con la “res sensibilis”, che congiunge la nostra anima con quella di tutte le cose intorno a noi.
– Interessante quanto mi dite. Insomma questo Mallarmé ha scritto una lirica, L’après-midi d’un faune, che io ammetto di non avere forse capito, ma quando Claude Debussy la musicò, ecco, la suggestione sonora prese la forma di quel bosco popolato da gnomi, folletti e incantevoli fate che danzavano accompagnate da soavi flauti…
– Voi pensate dunque che la visione sia stata di Debussy anziché di Mallarmè che gliel’ha ispirata? Non potrebbe invece essere un’immagine Vostra?
– Oh magnifico! Effettivamente sono delle forme d’arte e questo modo d’interpretarle è davvero geniale! È un nuovo linguaggio, un felice incontro poetico!
Io amo moltissimo la musica, ma trovo così difficili gli spartiti musicali e così dure le corde del violino… Mi esercito da anni, ma non sono mai riuscito a dominare del tutto quello strumento, vero cara? – e osservò la moglie che lo guardava adorante.
– La mia paziente consorte non solo sopporta le mie esercitazioni, ma mi incoraggia pure! Allora pensate di tradurre questo astruso Mallarmè?
– Per la verità sono già occupato nelle astrusità mie per riuscire a occuparmi di quelle degli altri! Ma Vi prometto che se trovo qualche buona traduzione già stampata, Ve la spedirò senz’altro.
Degli applausi interruppero la conversazione. I musicisti stavano entrando nel salone e occupati i loro posti, iniziarono ad accordare gli strumenti.
– Avete ricevuto il programma, dottor Rilke? – chiese Alexander. – Purtroppo il nostro quartetto manca del signor Janesich, momentaneamente indisposto, così si è pensato di eseguire un trio, il Klaviertrios di Schubert. Peccato però, avrei desiderato ascoltare il Quartetto in la minore di Beethoven, proprio l’ultimo. Difficilissimo pezzo musicale, già di rottura con gli schemi classici, quasi antesignano della musica di fine secolo, grandiosamente creata dai Russi e…
– Alexander, per favore! – sussurrò la moglie strattonandogli delicatamente il braccio.
– Certo cara. Lietissimo di averVi conosciuto dottor Rilke! Avremo molto da discutere fra poesia, musica, arte…
– Con vero piacere, Sua Altezza.
Cercando inutilmente un posto defilato e vicino alla porta d’ingresso, Rainer fu alfine costretto a sedersi nella prima fila, accanto alla principessa e a suo marito, già in assetto composto, immobile e come assente. Sbirciando il programma che Marie gli passò con un gran sorriso e vedendo che erano previsti solamente due pezzi, pensò che per fortuna i concerti privati erano piuttosto brevi, considerato che venivano seguiti dai ricevimenti.
Ma fin dalle prime battute del concerto, fu investito dalla esplosione di una musica così sonora da risultare quasi assordante per il suo udito ipersensibile e gli accordi polifonici erano talmente vigorosi da farlo ricredere sulla fama romantica di Schubert.
Osservò il leggero movimento dei tendaggi e pensò che le folate di bora dovevano aver provocato un certo eccitamento all’estro interpretativo. Oppure il frastuono era causato dalla particolare risonanza del salone, non troppo adatto per una musica che di solito si ascoltava nei teatri, mentre nelle sale private venivano giustamente eseguite musiche da Camera.
La risonanza del violoncello era talmente penetrante da sentirla rimbombare nei timpani e propagarsi nei polmoni, che nella ricerca di ossigeno, costringevano il povero muscolo cardiaco a un surplus contrattile. Il suo volto sembrò rinsecchirsi dal calore che si concentrava nelle meningi degli emisferi cerebrali, ormai del tutto starati.
Come la cavernosa voce del violoncello si fermava, partiva quella acuta del violino, per poi sovrapporsi entrambe ma seguendo ognuna il suo motivo, per di più inframmezzato dalle note del pianoforte che seguiva ora l’uno ora l’altro, oppure, peggio ancora, li sovrastava entrambi con un eccesso di toni forti. Ormai avvolto dal panico, avvertì che il suo sommovimento sensoriale stava debordando dall’arduo controllo psicofisico fino a degenerare in uno stato extracorporeo.
Dopo un indefinito tempo di tale supplizio, un pietoso tappo occluse le sue personali quanto silenti trombe d’Eustachio, ma la sensazione che ne derivò si rivelò peggiore del male che l’aveva causata. Quell’improvvisa afasia uditiva aumentò la pressione endocranica a un livello ormai prossimo allo scoppio.
Il risultato fu un senso d’irrealtà talmente terrificante che gli sembrò di essere stato colpito da una paralisi fulminea. In un abisso di terrore vedeva i musicisti agitare su e giù gli archi dei loro strumenti e il pianista picchiare furioso i tasti del piano da destra a sinistra, nella mostruosa eco di suoni deformi. Alle sue spalle percepiva la folla umana che ascoltava estasiata quell’orrore sonoro mentre lui ne era compresso come fosse in mezzo alla forza centripeta di una voragine.
Incollato alla sedia, si sforzò di aumentare la profondità del respiro, ma il diaframma bloccato dall’angoscia, lo costrinse a respirare con la bocca aperta, sperando che si paralizzasse anche il labbro superiore per evitare almeno il suo imbarazzante tic nervoso.
Dopo un indicibile tempo di tale sofferenza, i boati cessarono e il suono degli applausi lo riportò a una percezione acustica più normale.
– Che splendido brano musicale! – sentì dire distintamente. Girando con fatica il collo irrigidito, incontrò lo sguardo radioso di Marie che applaudiva con entusiasmo.
“E che fortuna non fosse stato di un quartetto… Essendo un trio, era mancato il quarto elemento per la dipartita finale” pensò ancora stravolto.
– Siete accaldato, Rainer! So che non è abituato al particolare sonoro di una sala! Ma hanno suonato divinamente, vero? Che affiatamento!!
Rilke abbozzò un sorriso e si sforzò di applaudire, incapace di proferire parola.
Le congratulazioni ai musicisti e i commenti fra gli invitati gli diedero comunque una certa tregua. Ancora immobile, cercava di riprendere l’assetto mentale, o più precisamente, di sbloccare il plesso solare collegandolo al centro cerebrale. I rumori della sala sarebbero stati accettabili se l’insieme vociferante non fosse stato quasi più fastidioso di quel persistente tappo acustico, ma ciò che ora lo preoccupava era il potersi ritrovare vis-à-vis con il principe Taxis e i suoi poveri caprioli… Ma che diamine, sarebbe bastato spiegare il malinteso, non doveva mica scusarsi. Piuttosto sarebbe stato più impegnativo l’incontro con il principe Alexander, così edotto in cultura musicale.
Comunque nessuno sembrava curarsi di lui e alzandosi lentamente, constatò di aver superato il malessere causato da quei fragori, pur necessitando di aria fresca.
Osservò le tende e si accorse che avevano ripreso il loro consueto aplomb, dunque presunse che la bora si fosse calmata, ma non poteva certo sparire dietro a esse per uscirsene come un ladro. Doveva piuttosto trovare un pretesto per defilarsi con una certa eleganza.
Vedendo gli ospiti impegnati a parlare fra loro e Annette che andava e veniva con i vassoi dello champagne, decise di affiancarla e seguirla; così semplicemente uscì, senza essere richiamato.
Percorso il corridoio, scese al primo piano e dopo aver attraversato il salotto rosso, aprì la porta finestra della terrazza.
Il tumulto ventoso della mattina era del tutto svanito, salvo qualche breve folata che si disperdeva verso un cielo limpido e stellato. Nel golfo ancora agitato, le onde si frangevano sulla scogliera, rincorrendosi verso i profili delle coste.
Si trovava davvero in una strana parte di mondo, in altre terre di Leidland con le loro antiche leggende, la memoria di anime tormentate che qui avevano vissuto, amato, sofferto. I suoi lidi emanavano odori di bosco ma le loro brume potevano essere foriere di raffiche furiose; i flutti del mare spargevano profumi di salsedine ma poi montavano in schiume rabbiose.
Qui si percepiva il respiro della terra, sia che fosse flagellata dai venti o accarezzata dalle brezze.
Levò lo sguardo verso le mura di quel castello così pulsante di vita, avvolto dal suono dei violini e dal coro degli uccelli.
Ripensò alla piccola fortezza di Muzot, alle sue valli smosse dalle leggere arie di collina, ai suoi silenzi sotto cieli infiniti, alle sue storie di vita e di morte.
“ Le sofferenze mi seguiranno ovunque io andrò. In tutte le terre di Leidland ritroverò i miei tormenti…” pensò con infinita malinconia.
Ridestandosi dal suo stupore, ormai pervaso da una grande pace, s’incamminò verso le finestre illuminate.

(Da “Le Terre di Leidland” inedito di Gabriella Amstici)

Elegie rilkiane

Concluso il Libro d’ ore, liriche sospese tra le tensioni dello spirito e quelle dei sensi, intensamente vissute con Lou Salomé, il poeta Rainer Maria Rilke cerca nuove espressioni letterarie. Le vicende del pellegrino errante dei Quaderni di Malte Laurids Brigge testimoniano l’inizio di un percorso retrospettivo ma segnano anche una successiva “desertificazione interiore” che arresta la sua creatività.
In seguito all’incontro a Parigi con la principessa Marie von Thurn und Taxis nel dicembre 1909 e alla corrispondenza tra loro intercorsa, il 20 aprile 1910 Rilke raggiunge il castello di Duino, sulle ultime falesie della costiera triestina.
“So di aver pensato che ci doveva essere da qualche parte un castello e dovunque esso fosse, sarebbe stato proprio quello che io allora avevo cercato” rispose compiaciuto all’invito.

lobianco768Alloggiato nella stanza d’angolo tra la cappella e la sala affacciata sulla balconata sospesa sul mare, il poeta rimane immediatamente affascinato dall’atmosfera dell’antico maniero che dalla bianca scogliera domina il golfo tra le lagune venete e le vicine terre d’Istria.
Quando l’anno successivo la principessa Marie lo ospiterà per tutto l’inverno, riaffioreranno in Rilke quelle emozioni che sembravano perdute e si ritroverà immerso nelle memorie del leggendario castello aldilà dei confini del Leidland, dove la vita e la morte si compenetrano nelle segrete trame dell’esistenza.
La sofferta stesura delle Elegie duinesi si protrarrà per oltre dieci anni affiancata da varie profusioni letterarie ed epistolari a testimonianza della sua esistenza errabonda e inquieta, vissuta nella costante ricerca di quel “nessun dove” forse trovato nella silenziosa fortezza svizzera di Muzot.

Nella foto tratta dal libro Dottor Serafico, Editoriale Lloyd e LINT, Trieste, 1999 la principessa Marie Thurn und Taxis e Rainer Maria Rilke all’epoca del loro incontro.

lobianco267

“Castello di Duino – aprile 1910″

“Rilke si risvegliò prendendo lentamente coscienza di dove fosse.
Sentendosi ottimamente riposato da quello che doveva essere stato un buon sonno, si alzò, raggiunse la finestra, e scostando il lembo di una tenda, vide i primi chiarori dell’alba. Chiudendo il bavero della vestaglia sul petto, aprì di poco l’anta, curioso di scorgere il panorama e prendere contatto con il paesaggio. Investito dall’aria odorosa di mare e dall’emozione di quelle felici visioni, decise di sfidare i gelidi albori e afferrare il respiro del giorno nascente.
Si vestì frettolosamente e indossato il cappotto, scese in silenzio cercando l’uscita verso la terrazza intravista al piano sottostante.
Appena giunse nel ballatoio del primo piano, fu fermato dalla voce di un uomo che risaliva la scalinata dal pianoterra.
– Buongiorno dottor Rilke! Avete bisogno di qualcosa?
– Scusate il disturbo, volevo prendere una boccata d’aria. Per la verità non sono abituato ad alzarmi così presto, ma neppure a vedere un’aurora come questa! Pensavo di raggiungere la terrazza ecco, ma non sembra cosa facile in un castello.
– Lo è invece, non hanno catene le porte verso il mare. Del resto chi volete che entri? Da qui si può solo uscire. Seguitemi, prego, siete ben coperto? Fa ancora freddo a quest’ora: le lagune portano un’aria umida e pungente.
Precedendo Rilke di qualche passo, attraversò il salone, e scostato il tendaggio, aprì un’anta della portafinestra.
– Desiderate che aspetti o magari potete chiudere Voi? Come vedete è molto semplice. Io dovrei scendere dai cavalli.
– Grazie mille, signor Carlo, scusatemi ancora.
Quando l’uomo si allontanò, Rainer uscì sulla grande balconata e si trovò sotto la volta indaco del cielo. Verso ponente, risplendeva ancora la luce rossastra di Marte, mentre la falce di luna impallidiva dietro le colline dell’Istria.
Accostatosi alla balaustra, scorse lo strapiombo della scogliera ancora nell’ombra. Decine di gabbiani si alzavano in volo per poi ricadere planando sulle onde che si rincorrevano verso le coste.
Un sibilo di vento proveniente dalle lagune attirò il suo sguardo verso una rocca avvolta da una folta vegetazione. Da un covo pietroso si levò all’improvviso il corpo di uno sparviero che, come spinto da una forza innaturale, eseguì una volata ad arco per poi precipitare in picchiata vicino a lui. Per un attimo Rainer ne incrociò il terribile occhio rosso e d’istinto indietreggiò impaurito, ma l’uccello, con un rapido battito d’ali, si rialzò virando, e scomparve tra i boschi alle spalle del castello.
Verso occidente, aldilà del promontorio roccioso da cui era apparso il rapace, le isole lagunari si allungavano come una barriera naturale del golfo, mentre dietro a esse, la distesa pianeggiante si perdeva fino ai monti alpini ancora innevati, che nella foschia del mattino, sembravano irreali e come sospesi fra il cielo e la terra.
“Profili di vette, creste di tutto il Creato, rosse d’aurora….”(1)
Levando lo sguardo verso un assembramento di rondini di mare, ascoltò i loro striduli canti e il rumore ritmico delle onde. L’eco dei suoni si perdeva verso la scogliera e la lontana città bianca.
Ogni cellula del suo corpo era protesa a cibarsi di una nuova linfa che sentiva scorrere.
“ Getta le tue braccia al vento! Agli spazi che respiriamo….” (2)
Assorto e perduto, sentì offuscarsi quella visione sotto l’umido degli occhi.

Rientrato nella sua stanza si sedette al tavolo, dove trovò già predisposto il necessario per scrivere.
Dopo una decina di pagine, s’avvide del giorno ormai fatto.
Non avrebbe voluto interrompere quel flusso di sensazioni che sgorgavano più veloci di quanto la sua penna scorresse sul foglio, ma non intendeva ritardare la colazione con la principessa Marie, dopo la sua deludente presenza della sera prima.
A malincuore posò la penna e ripose gli scritti nella cartella verde.”

1 – 2 “Elegie duinesi
(tratto da “Le terre di Leidland” inedito di Gabriella Amstici)