Archivio mensile:agosto 2013

Il barone Pasquale Revoltella

Tra tutte le note biografiche del barone Pasquale Revoltella vorremmo riportare le notizie tramandate dal nostro Carlo Wostry (Trieste 1865 – 1943) nel suo scanzonato libro-memoriale Storia del Circolo Artistico di Trieste (pubblicato nel 1934) dove, fra una goliardata e l’altra dei giovani artisti, sono descritti con leggerezza e humor alcuni aspetti della vita del nostro importante benefattore.
Come riferisce lo stesso Wostry, le informazioni provenivano da Augusto Tominz, intimo amico del barone e da Carlo Marussig, procuratore della sua ditta.
Il nostro illustre concittadino venne al mondo a Venezia nel 1795 in un’umile famiglia di macellai, divenuta poverissima quando il padre prematuramente morì.
La vedova Domenica allevò quindi fra gli stenti il piccolo Pasquale assicurandogli una buona istruzione e un forte, reciproco legame affettivo che si perpetuò fino alla sua morte avvenuta il 25 novembre 1830.
Trasferitosi a Trieste nei primi anni dell’Ottocento, Pasquale Revoltella si impiegò nell’impresa commerciale del console svizzero Teodoro Necker. Dotato di un singolare talento per gli affari il futuro barone riuscì in breve tempo ad aprire una ditta export-import di granaglie e legnami che si affermò rapidamente permettendogli di avviare una seconda attività di finanziere come azionista delle Assicurazioni Generali.

Alloggiato in casa Fontana in piazza del Sale (attuale piazza Cavana) commissionò all’architetto berlinese Hitzig il celebre palazzo a due piani affacciato su piazza Giuseppina (divenuta poi piazza Venezia). L’inaugurazione avvenne nel 1858 con un sontuoso ballo al quale partecipò, oltre all’elite triestina, anche l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, allora governatore della Lombardia.Autocertificazione 2371Come massimo finanziatore di tutti gli artisti, Carlo Wostry ne fa una descrizione entusiasta: “Fu un instancabile animatore della vita culturale, un impareggiabile suscitatore di energie” scrisse nella Storia del Circolo Artistico, ed effettivamente Pasquale Revoltella aiutò e valorizzò letterati, scienziati, pittori e scultori con la generosità che contraddistinse tutta la sua filantropica vita. Ebbe sempre parte attivissima come presidente nelle esposizioni annuali della Società di Belle Arti, fondò con Francesco Gossleth  (nota ) la Scuola Triestina di disegno e costruì, a sue spese, il Teatro Armonia, lo stabilimento Tecnico Triestino e la fabbrica della birra Dreher.
Nel suo palazzo si succedevano grandiosi ricevimenti e balli alternati con una sorta di fiere a pagamento il cui ricavato era poi devoluto all’Istituto di Beneficienza di via Pascoli (oggi divenuto Ente Assistenziale Privato) di cui fu uno dei fondatori.
Nei luculliani pranzi a Palazzo Revoltella, serviti nei saloni di rappresentanza da eserciti di camerieri, venivano portati giganteschi vassoi con le primizie più rare e costose presentate con raffinato gusto dal master-chef francese Antoine Delorme e il suo stuolo di cuochi, sottocuochi fornai e pasticcieri. Alla fine dei déjeneurs non mancavano mai le deliziose fette d’ananas provenienti dalle fornitissime serre nel parco al Cacciatore dove il ricco barone possedeva un rustico chalet  per i week-end e le battute di caccia. Autocertificazione 2374

Durante i ricevimenti serali le più belle ed eleganti signore della città venivano sempre omaggiate con raffinati doni ricambiati con la loro adorante e affettuosa dedizione.  In una delle sale del palazzo, occupata poi dal pittore Alfredo Tominz, per anni solerte direttore del futuro Museo, il Gossleth aveva costruito delle grandi bacheche per esporre i principeschi cadeaux acquistati dal Revoltella nel corso dei suoi innumerevoli viaggi: oggetti d’oro, argento, avorio e arte cinese. Negli armadi venivano conservati costosi scialli e tagli di seta mentre nelle scintillanti vetrine di cristallo erano esposti ricami, merletti e i preziosi pizzi di Valenciennes, Chantilly e d’Idria. Come allegramente riferisce Carlo Wostry le cronache cittadine dell’epoca riportavano maliziosamente che il sovrabbondante assortimento di doni offerti dal generoso barone fosse in continua concorrenza con quello profferito dall’arciduca Massimiliano d’Asburgo nei suoi altrettanto sontuosi ricevimenti.

Quando esplose lo scandalo delle forniture nella guerra d’Italia del 1859 e sorto un sospetto sulla sua correità, venne arrestato e processato nel Tribunale di Vienna ma fu assolto per mancanza di prove e un anno dopo nominato barone.

Sebbene Pasquale Revoltella non fosse riuscito a diventare podestà di Trieste, ruolo a cui forse aspirava, fu davvero molto generoso con la città che lo arricchì a dismisura. Alle chiese di Trieste donò ostensori, arredi sacri, lampadari d’argento, organi e pavimentazioni in marmo, finanziò l’Ospedale infantile, il Civico Ospedale, l’Hotel de la Ville, fu azionista nella costruzione del Tergesteo, della Villa Ferdinandea e della Scuola Superiore di Commercio, divenuta in seguito Regia Facoltà di Scienze Commerciali.
Com’è noto la sua più importante impresa fu la partecipazione al progetto della faraonica costruzione del canale di Suez a capo dell’ingegnere francese Ferdinand de Lesseps (1805-1894) su progetto tecnico del trentino Luigi Negrelli. Nominato vice Presidente della Compagnia Universale vi partecipò diplomaticamente tramite la nomina di Presidente della camera di Commercio.

Afflitto da una progressiva malattia renale il barone si avviò lentamente verso la morte, avvenuta con grande sofferenza nella sua prediletta villa al Cacciatore la sera dell’8 settembre 1869 (nota 2), nove giorni prima della sfarzosa inaugurazione del canale di Suez.Autocertificazione 2364
Allestita la camera ardente nella sala del secondo piano di Palazzo Revoltella per l’ultimo saluto all’amato benefattore, i solenni funerali furono seguiti da una folla commossa e riconoscente.
Oltre ai generosi lasciti per opere di beneficienza a Trieste e a Venezia, egli lasciò al Comune l’eredità del suo palazzo con tutti gli arredi, le collezioni di quadri, sculture, libri e medaglie più un ingente capitale che sarebbe stato gestito da un apposito curatorio per la continuità di un Museo di Belle Arti, così come ancora oggi ci appare nel suo fascino immutato e pieno di emozioni.Autocertificazione 2365

HPIM0468Nelle foto il testamento con le volontà per la sepoltura e la sua tomba nella cripta della chiesa San Pasquale Baylon di Villa Revoltella.

Note:

(1) Francesco Gossleth oltre alla mobilia di palazzo Revoltella, costruì per commissione di Massimiliano d’Asburgo alcuni arredi per il castello di Miramare;

(2) Testimonianza riportata sul citato libro di Carlo Wostry;

Fonte: Carlo Wostry, Storia del Circolo Artistico, E. Svevo, Trieste, 1991 – foto da collezione personale

Il TLT e il Trattato di Osimo

A proposito della recenti argomentazioni sulla discussa questione della TLT, riportiamo qui di seguito una breve cronistoria:

9 giugno 1945: Accordo tra Tito e il generale Morgan
Il 9 giugno 1945 viene firmato a Belgrado un accordo tra Tito e il generale Morgan per la definizione dei confini contesi:
– Trieste e la costa occidentale dell’Istria, comprese le vie di comunicazione con l’Austria passano sotto l’occupazione anglo-americana;
– gli altri territori rimangono sotto quella jugoslava, senza pregiudizio per le future decisioni della conferenza di pace.
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

20 giugno 1945: La linea Morgan definisce i confini tra Italia e Jugoslavia
Entra in vigore l’accordo tra Tito e il generale Morgan per la definizione dei confini che delimitano i territori occupati dalla Jugoslavia e quelli controllati dagli anglo-americani (vedi 9 giugno 1945).
Continuano però le trattative diplomatiche: l’Italia propone come frontiera la linea Wilson (stabilita nel 1919) o quella del Monte Maggiore (come divisione dell’Istria in 2 parti), mentre la Jugoslavia esige addirittura la linea dell’Isonzo.
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

3 luglio 1946: Le grandi potenze decidono i confini tra Italia e Jugoslavia
Dopo lunghe trattative, le 4 grandi potenze (Gran Bretagna, Francia , Stati Uniti e Unione Sovietica) decidono che:
– i territori compresi tra San Giovanni di Duino fino alla linea del fiume Quieto (presso Cittanova, sulla costa dell’Istria) fanno parte del TLT (Territorio Libero di Trieste), garantito dal Consiglio di sicurezza e un Governatore nominato con il consulto tra l’Italia e la Jugoslavia;
– i territori posti a oriente della linea di demarcazione (proposta dalla Francia) al di là di Cittanova d’Istria rimangono alla Jugoslavia..
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

4 luglio 1946: Nasce il Territorio Libero di Trieste
Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Unione Sovietica raggiungono l’accordo definitivo sul problema di Trieste: la città e la zona limitrofa vengono internazionalizzate con la costituzione del Territorio Libero di Trieste, i cui confini andranno da Duino a Cittanova d’Istria.
L’integrità e l’indipendenza saranno assicurate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che approverà lo Statuto del territorio.
Le proposte per il Governo provvisorio e lo Statuto permanente del TLT saranno avanzate dalla Conferenza della Pace secondo i principi democratici.
Saranno rispettati i diritti dei cittadini per quanto riguarderà la religione, la lingua, la stampa, le scuole e l’accesso ai pubblici servizi.
Gran parte delle norme contenute nello Statuto (come quelle che riguardano la nomina del governatore) non verranno mai applicate.
(“Trieste 1900-1999 Cent’anni di storia”, vol. VI, pag. 27)

10 febbraio 1947: Il Territorio Libero di Trieste viene diviso in zona A e in zona B
Con il Trattato di pace del 10 febbraio 1947 il TLT è diviso in 2 parti:
– la striscia di costa adriatica compresa tra Duino (fino il carsico Monte Goli proseguendo per San Dorligo della Valle) e Punta Grossa (dopo Muggia) viene definita Zona A e rimane sotto l’Amministrazione del GMA (Governo Militare Alleato, costituito dagli anglo-americani);
– dalla linea di demarcazione della Zona A fino al fiume Quieto vicino Cittanova d’Istria è compresa la Zona B che rimane sotto l’Amministrazione della Jugoslavia.
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

15 settembre 1947: Dopo l’entrata in vigore del Trattato di pace inizia il grande esodo da Pola
In seguito all’entrata in vigore del Trattato di pace inizia il grande esodo delle popolazioni istriane le cui città sono state annesse alla Jugoslavia.
Massiccio e tristemente storico fu l’esodo dalla grande quanto italiana città di Pola: i piroscafi del Lloyd , autocarri, sgangherate auto e vecchi carretti trasportarono migliaia di istriani con le loro povere masserizie.
Molti profughi trovarono asilo nei precari campi allestiti a Trieste, in attesa di una possibile ricostruzione delle loro vite, altri scelsero di emigrare in Australia o in Canada.
(Manlio Cecovini, Discorso di un triestino agli italiani e altri scritti politici, Lint, Trieste, 1977)

20 marzo 1948: Ancora trattative per il Territorio Libero
Una risoluzione tripartita (Stati Uniti, Inghilterra e Francia, senza l’adesione dell’Unione Sovietica) rimette in discussione i confini stabiliti dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947.
Si propone di assegnare tutto il TLT (Territorio Libero di Trieste, compreso tra Duino e Cittanova d’Istria) all’Italia, ma l’irrigidimento dei rapporti tra Italia e Jugoslavia provoca l’accantonamento delle proposte.
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

8 ottobre 1953: Gli anglo-americani propongono di ritirare le truppe dal TLT
Il Governo Militare Alleato (costituito dagli anglo-americani) propone di ritirare le proprie truppe dal TLT (Territorio Libero di Trieste, costituito in seguito al Trattato di pace del 10 febbraio 1947 e passare tutta l’amministrazione alle autorità italiane. La Jugoslavia dissente con violenza.
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

5 ottobre 1954: A Londra si firma il “Memorandum d’intesa
Viene stabilito – ma a titolo ancora provvisorio – di affidare l’amministrazione della Zona A del Territorio Libero di Trieste (compreso tra Duino e Muggia) all’Italia e quella della Zona B alla Jugoslavia.
Dopo alcune rettifiche di confine vengono stabiliti degli accordi per i traffici di frontiera e la protezione delle minoranze rimaste nei territori contesi.
(Diz. Enciclopedico Italiano, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1970, vol. XII)

7 ottobre 1954: Pubblica dichiarazione del maresciallo Tito
In merito alla questione di Trieste, il giornale “Primorski Dnevnik” riporta le parole del maresciallo Tito durante il congresso della Confederazione comunista svoltosi a Sarajevo:
“Penso che nel mondo attuale, dove ci sono ancora tanti conflitti, sia molto importante cooperare per la pace, anche se ciò prevede grandi sacrifici, perché nonostante tutto la pace è meno cara delle guerre”.
(Trieste 1900-1999 Cent’anni di storia, vol. VI)

26 ottobre 1954: Il Governo Militare Alleato non esiste più
In ottemperanza al Memorandum di Londra, il Governo italiano estende l’amministrazione alla zona A dell’ex Territorio Libero di Trieste.
Dopo 9 anni di dominio, il Governo Militare Alleato (anglo-americano) cessa di esistere alle ore 10 del 26 ottobre 1954.
Tutti i poteri militari e civili vengono temporaneamente assunti dal generale De Renzi.
Fin dalle prime ore del mattino una folla esultante invade Piazza dell’Unità d’Italia per accogliere le navi della Marina e gli eserciti in gran parata.
Sotto le gelide folate di bora e una pioggia battente l’immenso tricolore sventolerà sopra l’incredibile entusiasmo della popolazione e il commosso discorso del sindaco Gianni Bartoli.

Le tormentate storie di Trieste sono giunte al suo epilogo.

In questo giorno di follia collettiva sembrò dimenticato l’oscuro periodo della guerra, l’occupazione tedesca, i bombardamenti, le tragiche notti dell’occupazione titina, i forni crematori, le foibe, il tutto su un piccolo lembo di terra ferocemente contesa.
La città era uscita dalla guerra in condizioni spaventose: furono perdute le centrali elettriche, le flotte, gran parte dei magazzini merci. Dopo il recupero delle mine e dei relitti sui fondali del golfo, si dovettero ricostruire i cantieri, le fabbriche, le dighe e soprattutto il porto, ma le condizione di incertezza politica non permettevano grandi investimenti né una ripresa dei traffici, ormai limitati ai rifornimenti americani all’Austria (Manlio Cecovini, “Discorso di un triestino agli italiani”).
Mentre le altre città italiane correvano verso una rapida ripresa delle antiche posizioni, a Trieste emergevano tutte le precarietà delle strutture economiche.
Ma il 26 ottobre 1954 l’entusiasmo di Trieste è davvero grande.

10 novembre 1975: “Trattato di Osimo” per la cooperazione economica tra la Repubblica italiana e la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia
Il 10 novembre 1975, nella villa Leopardi di Monte San Pietro di Osimo (presso Ancona) il Ministro degli Esteri Mariano Rumor e il vice Primo Ministro e Segretario Federale per gli Affari Esteri Milos Minic firmano il “Trattato e Accordo sulla promozione della cooperazione economica tra la Repubblica italiana e la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia”.
Lo storico incontro doveva avvenire ad Ancona ma poiché la prefettura era ancora inagibile dopo il terremoto del 1972 fu svolto nel duecentesco convento di San Silvestro, restaurato e trasformato in villa dalla famiglia Leopardi.
A trent’anni di distanza Italia e Jugoslavia chiudevano con tale Trattato il capitolo della Seconda Guerra Mondiale, decidendo definitivamente i confini tra i 2 Paesi e promuovendo un nuovo sviluppo della cooperazione economica e un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di frontiera.
(Enciclopedia monografica del FVG, vol. 3)

NOTE: Il Trattato di pace del 10/2/1947 (Decreto Legislativo C.P.S. n. 1430 del 28 novembre 1947)  è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 295  del 24/12/1947

Il Trattato di Osimo (firmato il 10/11/1975) è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.77 del 21/3/1977

Scrittori alla ricerca dell’io perduto

Le teorie psicanalitiche di Weiss non assunsero comunque una particolare importanza nella produzione letteraria dell’epoca.
Mentre Marcel Proust in uno stato di sonnambulismo si abbandonò senza inibizioni alle associazioni e ai ricordi disintegrando la totalità della psiche, James Joyce girò intorno ai particolari di una giornata senza trovare un centro psicologico sul quale reggere i pensieri.
Zeno Cosini, il personaggio in parte autobiografico di Italo Svevo, dopo aver soffertamente sondato le cause del suo malessere esistenziale con un certo psicanalista, volle tornare a godere pienamente della vita ritenendo le somatizzazioni del corpo gli spiacevoli effetti di una malattia che si alimentava da sé.
A rigor di storia sarebbe opportuno ricordare che lo stesso Edoardo Weiss, pur ammettendo il rapporto di amicizia con Ettore Schmidt, negò seccamente di essere il medico menzionato nella Coscienza di Zeno non avendone ravvisato il benché minimo metodo riconducibile alla psicanalisi.
Il matematico-narratore Guido Voghera, pur fortemente suggestionato da certi postulati freudiani che riconobbe nella sua stessa coscienza, li ritenne una sorta di “metànoia” il cui stacco era imprescindibile.
Negli Anni della psicanalisi il figlio Giorgio Voghera sostenne invece che le nevrosi allora dilaganti fossero imputabili alla complessità della realtà politica ed economica di quei tempi e lo stesso Bobi Bazlen, consigliere editoriale e divulgatore di nuove correnti letterarie non prese troppo sul serio i fanatici di Freud e Weiss, ritenendo che il raziocinio e la logica fossero buone armi per le loro rigorose teorie psicanalitiche.
Ma essendo dotato di mente acutissima e curiosa si aggiornava costantemente su tutte le dissertazioni di tali argomenti trovando infine delle risposte negli sconfinati orizzonti di Karl Jung.
Ancora più scettico fu Giani Stuparich, seppure attento e silenzioso ascoltatore, mentre Virgilio Giotti volle esprimere sempre apertamente la sua più ferma opposizione.

Si ritiene comunque interessante una considerazione espressa dal giornalista Bruno Lubis che in un articolo del Piccolo illustrato scrive:
Uno scolaro che non si interessa delle materie insegnate, né intende accattivarsi la benevolenza del maestro, si colloca nell’ultimo banco. Qui trova il disprezzo dei compagni di classe per la sua autoemarginazione, ma altresì può passare il tempo della scuola indisturbato. Pressappoco è questa la situazione di un personaggio descritto da Thomas Mann, ed è questa la situazione degli artisti rispetto alla società”.
Dall’”ultimo banco” si poteva così assistere allo sgretolarsi degli Assoluti da qualsiasi provenienza essi giungessero e la decisione di rimanere emarginati sarebbe dunque stato il presupposto per affinare la funzione critica, astrarre presentimenti e valutare la realtà.

Senza addentrarci ulteriormente in queste difficilissime argomentazioni, ci piace riportare un piccolo compendio del nostro amato Scipo Slataper: “Leggo tedesco, scrivo italiano e parlo triestino” che configura con grande semplicità la fantasiosa, versatile e poliedrica vita di quegli anni indimenticabili.