I restauri del Dopoguerra
Dopo l’annessione di Trieste all’Italia (3 novembre 1918), fu deciso di predisporre un parco della Rimembranza per ricordare i volontari giuliani caduti nella guerra di liberazione e di allestire un monumento in onore della gloriosa III armata.
Nella seduta del 12 novembre 1924 il Consiglio Municipale affidò l’esecuzione dell’opera allo scultore Attilio Selva (Trieste 1888 – Roma 1970) allievo di Leonardo Bistolfi e il 10 maggio 1927 venne deciso di collocarlo nel colle di San Giusto. La grande scultura dei Caduti, alti più di 5 metri e fusi nel bronzo nello stabilimento Lagagna di Napoli, fu terminata nell’agosto del 1935. Il monumento venne solennemente inaugurato il 1° settembre dello stesso anno alla presenza del re Vittorio Emanuele II.
Dopo aver acquistato i terreni alberati del circondario appartenuti alla famiglia Popper, il municipio fece abbattere alcuni edifici tra cui le così dette “case rosse” e costruì la via Capitolina di lato a Montuzza rendendo così agevole la salita al colle in alternativa alla ripidissima via San Giusto.
Nel corso degli scavi di fianco alla Cattedrale affiorarono i resti di un’area forense di periodo imperiale romano. La pianta rettangolare era divisa in tre navate da una doppia fila di 12 colonne scanalate (poi ricostruite in mattoni) che reggevano un secondo piano. Sul lato nord due scalinate raggiungevano il tribunale mentre nel lato sud si apriva uno spazio destinato alla curia o alla sede del consiglio municipale. Gli elementi rinvenuti sia decorativi che epigrafici presupposero però due diverse fasi di edificazione: l’originaria risalente alla metà del I secolo d.C., la seconda all’epoca di Marco Aurelio, attorno al 180 d.C. La facciata della basilica forense si apriva sul lato occidentale (dove ora sono collocate le file di cipressi) con un ampio portico occupato in parte da botteghe.
Alcune recenti ipotesi hanno messo in discussione tale ricostruzione proponendo piuttosto un complesso più articolato e destinato invece al culto imperiale.
La costruzione del massiccio e austero campanile di San Giusto che sorse sull’antica torre romanica conservata all’interno, fu iniziata il 17 febbraio 1337 per volere del notaio Randolfo Baiardo – come risulta dall’iscrizione in caratteri gotici posta sopra l’arco del portale – e terminata nel 1343. Durante questi lavori fu demolita la parte centrale del propileo romano e le lastre decorate a bassorilievo con i simboli delle vittorie militari romane vennero utilizzate per decorare una parte di muratura del nuovo campanile, per il resto disadorno. La torre trecentesca terminava con un’acuta cuspide dove spiccava il “melone” con l’alabarda (entrambi simboli di Trieste) ma dopo le lesioni provocate da un fulmine abbattutosi nel 1421, la cuspide fu sostituita con un tetto di tegole a piramide schiacciata (come ancora oggi si presenta) mentre il melone con l’alabarda vennero rimossi. Le bifore gotiche che servivano alla difesa degli assedianti veneziani furono modificate 130 dopo con le doppie aperture ad arco su tutti i lati della cella campanaria. Sopra l’ingresso della torre in un’edicola gotica ad arco fu posta la statua gotica del patrono San Giusto attribuita a una bottega di Venzone.
Le campane dell’antica torre, più volte lesionate da fulmini e incendi, subirono diverse rifusioni nel corso dei secoli. Gli storici asserirono che quella più grande chiamata da sempre “el Campanon” fosse stata rubata dai veneziani durante la conquista di Trieste nel 1508 e una vecchia leggenda narrava che quando la campana fu caricata su un bastimento nei pressi dell’odierna Lanterna, scivolò in mare. Per molto tempo i marinai che passavano di là durante i temporali riferirono di udire fra il sordo rumore delle onde contro la riva anche il dolce suono della campana sommersa.
Dopo le secolari vicissitudini appena negli anni Cinquanta vennero commissionate tre nuove campane fuse con gettate di rame e stagno e decorate da Carlo Sbisà (Trieste 1899-1964). Inaugurate il 26 ottobre 1953 e benedette dal vescovo mons. Antonio Santin vennero sottoposte a prove d’intonazione per diversi giorni.
A sinistra della Cattedrale, arretrata rispetto al campanile, si trova la cappella di San Giovanni, che fu battistero fino al 1861. Con i restauri del 1932 furono abbattute le sovrastrutture ottocentesche e ricostruita l’abside originaria con il battistero paleocristiano e un piccolo porticato lasciando in vista i frammenti i frammenti dell’antico pavimento in mosaico. La cappella si presenta attualmente come una costruzione tardoromanica di francescana semplicità.
I grandi restauri degli anni Trenta riguardarono anche la facciata della Cattedrale, rivestita fino allora con uno spesso strato d’intonaco dipinto a fasce orizzontali alternate chiare e scure. Fu ripristinato così l’aspetto medievale con la muratura in pietra. Il trecentesco rosone di scuola lombarda, forgiato in pietra bianca di Aurisina e marmo di Carrara, ha un giro esterno di 24 colonnine binate con archi ogivali e al centro una piccola ruota di 12 coppie con archi a tutto sesto intrecciati e occupa un terzo dell’altezza della facciata (m.6,70 sui 21 complessivi).
Sopra il portale maggiore fu ricollocata una semplice lapide in marmo in ricordo del bombardamento austro-inglese del 1813 contro le truppe napoleoniche asserragliate nel campanile e nel castello, mentre sugli stipiti vennero lasciati i due blocchi ricavati da una monumento sepolcrale risalente al I° secolo d.C. e appartenuto alla ricca famiglia dei Barbi. In una nicchia a sinistra della facciata, leggermente più in basso rispetto a quella di San Giusto posta sul campanile, fu mantenuta la statua lignea di San Giovanni Evangelista.
La Cattedrale
Anche i lavori all’interno della Cattedrale mirarono al ritorno dell’aspetto trecentesco alterato da strati di intonaci e diverse costruzioni erette nel corso dei secoli. Con il riapparire di finestre ad arco acuto, bifore e cupole di navate e cappelle, la sistemazione di lapidi e frammenti archeologici, fu ricreata l’atmosfera di un antico tempo.
Accanto gli altari principali inseriti nelle absidi delle 5 navate, furono sistemati degli altari minori ai lati del duomo. Sempre nell’anno 1929, nella semplice cappella restaurata di San Servolo (di fianco alla navata destra di San Nicolò) fu sistemata una bellissima scultura inquadrabile nella seconda metà del XV secolo raffigurante Il compianto sul Cristo morto che giace fra le braccia di sette figure artisticamente plasmate con lo stucco.
La prima navata di sinistra, realizzata all’inizio del Trecento in onore dei santi aquileiesi Ermacora e Fortunato, conservava un tempo le reliquie di San Lazzaro, martire e copatrono triestino. Dal Seicento fu dedicata alla Madonna Addolorata e nell’Ottocento arricchita da affreschi che rappresentavano la vita di Gesù e del suo martirio. Nel 1850 venne eretto un altare su cui poggiava una cinquecentesca Pietà intagliata con legno di tiglio dipinto; solo in seguito la Madonna fu rivestita con ricche stoffe e una corona d’oro. Sulla parete sinistra della navata è stato collocato Il martirio di San Giusto grande quadro a olio di Carlo Wostry (Trieste 1865-1943) con la tetra immagine del martire legato con la pietra prima di venire annegato dai due carnefici.
La seconda navata di sinistra, nota dall’inizio dell’Ottocento come quella del Santissimo Sacramento è la meno riadattata avendo mantenuto un suggestivo aspetto romanico che ricorda le architetture ravennate come risulta dai 14 capitelli a foglie di palma e disposti su due ordini per formare l’arco. Nell’abside brilla uno splendido mosaico con sfondo dorato di arte mediobizantina della prima metà del secolo XII dove sono raffigurati la Madonna tra arcangeli Michele e Gabriele e nello striscione sottostante i 12 apostoli. Ai loro piedi è stata posta un’epigrafe che ricorda i restauri e gli interventi eseguiti (Pietatis et spei temporibus acerbis testimonium A.D. MCML renovatum).
La navata di destra, dedicata al martire triestino San Giusto, ha subito invece molti riadattamenti. Nel corso del 1929 fu restaurata la cupola al di sopra del transetto e togliendo le aggiunte e i rifacimenti eseguiti nel corso dei secoli, vennero alla luce tutti gli elementi originari costituiti da un alto tamburo poggiante su quattro pennacchi e la loggetta circolare con una serie di archetti posti sotto la cupola. Con i lavori svolti affiorarono degli affreschi databili alla fine del XIII secolo, ben conservati e ancora oggi parzialmente visibili nelle arcate.
Molto suggestivo il severo volto di un Mandylon apparso sul quarto archivolto a sinistra.
Nell’abside in fondo alla navata, spicca lo splendido mosaico su fondo dorato che studi recenti fanno risalire agli inizi del XII secolo, quindi contemporanei a quello presente nella navata del Santissimo. Al centro si staglia la figura del Cristo in veste purpurea e manto blu cupo che nell’atto della benedizione calpesta un aspide e un basilisco, simboli del male. Ai lati appaiono i giovani San Giusto con la tunica bianca e San Servolo in tunica azzurra e mantello purpureo. Sull’altare neoclassico si erge la statua di San Giusto che con lo sguardo al cielo stringe la croce in una mano e la pietra del martirio con l’altra. L’attuale altare con cristallo permette di vedere l’urna con le reliquie del santo. Quella originale, ritrovata dagli scavi del 1624, in lamina d’argento ornata a sbalzo, è conservata nella cappella di Sant’Antonio dietro un elaborato cancello fuso nel 1650 a Lubiana.
Nella navata centrale della Cattedrale i restauri degli anni Trenta riuscirono a far emergere solo pochi frammenti degli affreschi trecenteschi presenti anche sulle colonne. Fu deciso così di decorare l’abside con un mosaico moderno eseguito da Guido Cadorin nel 1933 che rappresenta “L’Incoronazione della Vergine” e i “Martiri tergestini”. L’attuale altare maggiore, sistemato nel 1967 secondo i dettami del Concilio Vaticano II, è in marmi policromi. Dal soffitto trilobato della navata scende un grande lampadario in bronzo dorato di manifattura boema del XIX secolo che era destinato a ornare la sala del trono del palazzo messicano dell’imperatore Massimiliano e che fu donato da Francesco Giuseppe nel 1867 dopo la fucilazione del fratello a Queretaro.
Gli scavi archeologici eseguiti nel pavimento della Cattedrale tra il 1949 e il 1952 e ancora nel 1967, hanno riportato alla luce ampi tratti dei preziosi mosaici paleocristiani che, restaurati e completati con integrazioni ben marcate, sono stati sopraelevati per renderli visibili nell’attuale pavimentazione. I “tappeti rettangolari” formati da motivi floreali e diversi disegni geometrici con tessere bianche, nere e rosate fanno risalire il mosaico al V secolo.
La chiesetta di San Michele Arcangelo
Durante i radicali lavori di restauro degli edifici sacri sul colle di San Giusto, la Sopraintendenza ai Monumenti intervenne anche sul recupero dell’edificio di fianco alla Cattedrale che comprendeva anche i terreni intorno al duomo fino all’area dell’attuale Orto Lapidario ed erano adibiti a cimitero. Nel 1825 il camposanto venne soppresso e la costruzione assunse il ruolo di cappella mortuaria fino al 1924.
Con i riadattamenti del 1929 si volle dunque recuperare la struttura originale trecentesca della chiesetta di San Michele Arcangelo liberando le pareti da tutte le sovrastrutture ottocentesche. Abbattuta la casa del custode e chiuse le porte e le finestre ogivali, si lasciò in vista la muratura originale in arenaria con l’occhio circolare sulla facciata e il piccolo campanile a cui furono aggiunte la campana in bronzo e una croce di ferro. Tutte le ossa recuperate nell’antico cimitero vennero gettate in una cripta sotterranea apparsa alla base laterale dell’edificio.
Dopo gli scavi del 1936 furono asportate tutte le ossa che ingombravano la cripta facendo emergere le tre volte a botte sorrette da due arcate su quattro colonne che appoggiavano sulla roccia viva. Su una colonna fu inserito un capitello a foglie d’acanto recuperato dai resti romani recuperati sul colle.
(SAN GIUSTO ritratto di una cattedrale, Civici Musei di Storia e arte, 2003, a cura di Marzia Vidulli Torlo)
Il mosaico nella navata di San Giusto