
Nonostante la nascita della piccola Lucia il 26 luglio, l’estate del 1907 fu molto tormentata per la famiglia Joyce.
Non solo il loro unico sostentamento consisteva nel modesto stipendio di James alla Berlitz School, mancandogli richieste di lezioni private e di articoli giornalistici, ma si frammisero pure dei problemi di salute.
Afflitto da dolorose febbri reumatiche e da problemi oculistici, Joyce sarà ricoverato per un mese all’Ospedale municipale e a casa ne trascorrerà un altro di convalescenza. (nota 1)
Nora stentava a riprendersi dal parto e dopo essere stata dimessa dall’ospedale con un misero sussidio di 25 corone, sofferse una serie di febbri che la costrinsero a sospendere l’allattamento della bambina.
Sfrattati un’altra volta per morosità, i Joyce furono costretti a traslocare sistemandosi in due camere ammobiliate di una vecchia palazzina del Corso. (nota 2)
La loro vita divenne così sempre più difficile tra la miseria, gli abusi alcolici di James e i malumori di Nora, eppure nonostante tutto la coppia riusciva a rimanere unita se non altro per una forte quanto reciproca attrazione sessuale che allentava i continui litigi.
Superati i problemi di salute, Joyce sarà assunto alla Scuola di Commercio Revoltella migliorando notevolmente la situazione finanziaria della famiglia.
Giorgio e Lucia intanto crescevano tra l’interesse fluttuante del padre, concentrato sui suoi scritti e le svagatezze della madre. Iscritti alla scuola Parini, la frequentarono senza risultati eccelsi ma anche senza difficoltà, anzi, si integrarono benissimo imparando talmente bene il dialetto triestino da parlarlo fluidamente.
(Nella Foto Nora con Giorgio e Lucia nel 1918)
Divenuta una bellissima adolescente, seppur affetta da un leggero strabismo, Lucia iniziò ad avere delle incomprensioni con la madre e dei comportamenti stravaganti. Se le liti, le instabilità della famiglia con i continui trasferimenti di domicilio erano delle concause per il senso di provvisorietà e insicurezza non potevano essere altrettanto imputabili per i disturbi nervosi emersi negli ultimi anni trascorsi a Trieste.
Dopo la definitiva partenza dei Joyce e il trasferimento a Parigi, Lucia troverà delle forme espressive nella danza, cui si dedicò dal 1923 al 1929 per poi frequentare una scuola di disegno, abbandonata per aver deciso di scrivere un romanzo.
A peggiorare ulteriormente le sue condizioni psichiche fu l’infatuazione per il giovane irlandese Samuel Beckett, allora insegnante alla École Normale Supérieure e collaboratore di James Joyce per la traduzione in francese delle pagine già scritte del Finnegans Wake.
Frequentando la loro casa, Samuel si era offerto di accompagnare Lucia in teatri e ristoranti ma oltre a non esserne innamorato, si accorse della sua instabilità ormai rasente la pazzia.
Quando nel 1930 decise di interrompere i loro rapporti, la ragazza scivolò verso un punto di non ritorno. (nota 3)
Fu anche avanzata l’ipotesi, mai confermata, che si fossero aggiunti dei problemi di salute conseguenti a un aborto, comunque fu accertato che dopo la brusca rottura con Beckett Lucia si abbandonerà a una serie di relazioni promiscue. (nota 4)
La sua situazione non migliorerà nemmeno dopo il breve fidanzamento con Alec Ponisovsky, anzi, da allora alternerà momenti di catatonia a lunghe, sconclusionate affabulazioni. (nota 5)
Tormentato dai sensi di colpa James tenterà l’impossibile per prendersi cura della figlia sia occupandosene in prima persona che girando l’Europa alla ricerca di specialisti e di soluzioni alternative al ricovero.
Alla fine del 1936, dopo alcuni tentativi di suicidio, Lucia sarà internata coattivamente in una casa di cura fuori Parigi, dove il padre la raggiungerà ogni settimana.
“Schizofrenica, con elementi pitiatici, catatonica, nevrotica con ciclotimia, schizofrenica” saranno le diagnosi più frequenti dei molti medici che la visiteranno. (nota 6)
Scoppiata la guerra, mal ridotto in salute e profondamente depresso, alla fine del 1940 James sarà costretto a trasferirsi a Zurigo con Nora e il figlio Giorgio con l’intenzione di trasferirvi anche Lucia.
Il 9 gennaio 1941, a poche settimane dal suo arrivo, in preda ad atroci dolori sarà operato per la perforazione di un’ulcera duodenale. Nella notte del 12 le sue condizioni precipiteranno e alle 2.15 del giorno 13 passerà dal coma alla morte.
Lucia apprenderà la notizia da un giornale e solo dopo parecchio tempo dirà a un visitatore: «Cosa sta facendo sotto terra quell’imbecille? Quando si deciderà di andarsene? Ci sta guardando tutto il tempo» (nota 7), uno sbottare che spiega molto del suo sentirsi ancora perseguitata dalla figura paterna.
In balia di una madre e un fratello che si disinteresseranno di lei (nota 8), accudita solo da un paio di amiche, Lucia sarà trasferita al St. Andrew’s Hospital di Northampton (Inghilterra).
(Nella foto l’ospedale psichiatrico)
Dopo la morte avvenuta a 75 anni il 12 dicembre 1982, sarà sepolta nel cimitero della città, lontana da tutti i Joyce.
NOTE:
1. Nel testo JAMES JOYCE Gli anni di Bloom il professor John McCourt avanza l’ipotesi che lo scrittore potesse essere stato afflitto dalla sifilide, il cui esordio potrebbe risalire al maggio dello stesso anno e le cui conseguenze si sarebbero manifestate con altre ricadute nel corso della vita;
2. Al primo piano del palazzetto tra il Corso e via Santa Caterina; qui James Joyce scrisse l’episodio “I Morti” dell’ Ulisse;
3. Negli anni successivi Beckett manterrà comunque un rapporto epistolare anche se discontinuo con Lucia;
4. Dal testo di C.L. Shloss, Lucia Joyce. To Dance in the Wake;
5. Ivi
6. Ivi
7. Ivi
8. Nora Barnacle morirà a Zurigo nel 1951
FONTI:
John McCourt, JAMES JOYCE Gli anni di Bloom, A.Mondadori Ed., Milano, 2004
Per le note relative al testo cit. della Shloss:
http://www.humantrainer.com/articoli/danza-drammatica-padre-figlia.html
Come si è scritto nel precedente articolo, il 27 maggio 1955 il professor Stanislaus Joyce volle congedarsi dalla sua lunga carriera universitaria con la lettura di “The meeting of Svevo and Joyce,” un breve testo che ripercorreva l’incontro a Trieste dei due scrittori e l’intreccio delle vicende che li portarono alla loro straordinaria fama letteraria.
Dopo l’uscita nel 1922 dell’ Ulisse e nel 1927 delle Poesie da un soldo, con una stesura protratta per 16 anni, nel 1939 James Joyce pubblicherà Finnegans Wake che fu accolto da durissime critiche.![4720658236_2d68ee926e[1]](https://quitrieste.it/wp-content/uploads/2016/08/4720658236_2d68ee926e1-300x200.jpg)
Stanislaus, secondogenito dopo James, nacque nel 1884 a Dublino dove passati i tempi di agiatezza, visse anni difficili assieme agli altri 10 fratelli e sorelle.
Nell’autunno del 1905 il giovane Stanislaus decise di raggiungere il fratello James a Trieste (nota 1) accettando un impiego come insegnante d’inglese alla Berlitz School (nota 2) dove in seguito divenne vice direttore.![berlitz_school-trieste-turismoletterario[1]](https://quitrieste.it/wp-content/uploads/2016/08/berlitz_school-trieste-turismoletterario1-198x300.jpg)
Dopo il 1919 i 2 fratelli si riunirono per un breve quanto turbolento periodo in via Sanità (oggi via Diaz 2) dove viveva la sorella Eileen con il marito Frantisek Schaurek e i loro 2 figli.
Le trattative di tutti gli incartamenti di James Joyce raccolti nel corso degli anni, saranno svolte da Nelly Lichtensteiger, vedova di Stanislaus, che si assicurerà così una sicurezza finanziaria per sé e il piccolo James.
Fonti:
Preso subito contatto con le cortigiane e i cicisbei del bel mondo cittadino, lo sfrontato cavaliere veneziano ricevette però il rifiuto alle sue avances da una bellissima giovane di nome Zanetta. Ormai 47enne, il Casanova dovette accontentarsi di una contadinella goriziana senza però rinunciare, da buon avventuriero, a ingraziarsi le autorità locali con ogni sorta di traffici e sotterfugi.
Nell’attesa della grazia da parte del Consiglio dei Dieci di Venezia dopo la sua avventurosa fuga dai Piombi, era costretto a scrivere indefessamente cercando di procurarsi del denaro con cui vivere. Ma la grazia non giunse affatto e nell’autunno del 1774 abbandonò Trieste continuando la sua odissea esistenziale fino alla morte.
Già di pessimo umore si offese moltissimo quando ricevette in dono dalle autorità municipali un cavallo lipizzano poiché la larga e possente schiena della pregiata razza equina non gli avrebbe permesso una dignitosa monta a causa della sua altezza (1,55 m.) e delle sue gambe troppo corte. Durante la brevissima permanenza in città ebbe comunque modo di compiacersi osservando le fortificazioni costiere erette da Maria Teresa d’Austria.
(Halupca-Veronese, Trieste nascosta, Lint, 2009)



Il grande poeta in occasione della sua visita a Miramare omaggerà però il fascino del suo bianco castello e la memoria del “puro, forte, bel Massimiliano” nella stupenda elegia delle Odi barbare “Miramar” (1878).
Per quanto la memoria storica dei suoi lunghi soggiorni triestini vanti l’ispirazione delle sue Elegie duinesi alle suggestive atmosfere delle bianche falesie e al fascino dell’antico castello sul mare, Rilke non lo amò mai veramente apprezzandone piuttosto la ricca biblioteca e le frequentazioni dei suoi coltissimi salotti dove poteva incontrare il fior fiore dei letterati. In una lettera del marzo 1912 a Lou Salomé, sua ex-amante e divenuta poi una sincera e affettuosa amica, Rilke si lamentava infatti della desolazione che lo opprimeva e del pessimo clima della zona, incolpandolo (ma ironicamente compiacendosene) dello stato della sua salute. “Questa costante alternanza di bora e scirocco non fa bene ai miei nervi e perdo le forze nel subire ora l’una ora l’altra” scriveva nella lettera a Lou. E ancora: “È vero, Duino non mi ha mai fatto bene, quasi ci fosse qui troppa elettricità dello stesso segno che mi sovraccarica, proprio il contrario della sensazione che sento al mare”(1). Nella sua vita errabonda Rilke, ormai gravemente ammalato, troverà la sua pace nel clima mite e secco del Vallese (Svizzera), recluso nel suo castelletto-fortezza di Muzot.
Fonte: R. M. Rilke e Lou Andreas Salomé, Epistolario 1897-1926, La Tartaruga edizioni, Milano, 1975
Conosciuta per aver ospitato in una delle sue case l’illustre scrittore James Joyce (nota 1), la via Bramante vanta un’antichissima origine. Sulle sue tracce esisteva infatti una trafficata strada che dal portale della cinta muraria ancora, ancora oggi visibile dalla via San Giusto, s’incurvava verso l’attuale via Tiepolo per proseguire, attraverso murature difensive, verso l’Istria.
La relazione dei ritrovamenti archeologici sugli “Scavi del Bosco Pontini” (un tempo molto più vasto rispetto all’odierno giardino Basevi), illustrati da Pietro Sticotti nel 1908 (nota 2), rivelarono l’esistenza di un florido quartiere romano sotto le case limitrofe alla scala Joyce di via Bramante. Gli studi dell’architetto Cornelio Budinis stabilirono che lì si trovasse un’officina per la lavorazione del ferro divisa in due distinti locali: l’uno rivestito dal pavimento in mosaici bianchi e neri, l’altro in lastrico di pietra con un tetto sostenuto da 4 pilastri.
Accanto ai locali del fabbro ferraio c’erano quelli del pistorium, granaio d’approvvigionamento delle legioni romane, provvisto di un forno a volta e una finestrella per l’uscita dei fumi. Lo stanzone era dotato di macine a mano, conche per mondare il grano e un bancone per le vendite, manufatti che nel corso dei secoli si sono sorprendentemente salvati. Nella corte adiacente furono rinvenuti il pavimento di arenaria, frammenti della muratura bianca con una striscia decorativa dipinta in rosso e di lato le cantine scavate nella roccia per un’ottimale conservazione delle scorte. L’acqua era assicurata dai vicini due pozzi ciascuno con il canale di scolo diretto verso il mare.
Ceduto in locazione nel marzo 1898 al governo austro-ungarico l’importante struttura fu adibita a Osservatorio Zentralanstalt für Meteorologie und Geodynamik dotato di un sismografo di tipo Rebeur-Ehrlet e di un potente telescopio astronomico.![image[2]](https://quitrieste.it/wp-content/uploads/2014/07/image2-300x202.jpg)

![basevi[1]](https://quitrieste.it/wp-content/uploads/2014/07/basevi11.jpg)

Giunto a Trieste il 15 novembre 1772 pernottò una stanza nella Locanda Grande di Trieste. Preso subito contatto con le cortigiane e i cicisbei del bel mondo cittadino, lo sfrontato cavaliere veneziano ricevette però il rifiuto alle sue avances da una bellissima giovane di nome Zanetta. Già anziano e malato, il Casanova dovette accontentarsi di una contadinella goriziana senza però rinunciare, da buon avventuriero, a ingraziarsi le autorità locali con ogni sorta di traffici e sotterfugi. Nell’attesa della grazia da parte del Cosiglio dei Dieci di Venezia dopo la sua avventurosa fuga dai Piombi, scriveva indefessamente cercando di procurarsi del denaro con cui vivere.
Ventottenne e già generale del Corpo d’armata fu di passaggio a Trieste il 29 e 30 aprile 1797. Dallo storico balcone di palazzo Brigido (attualmente in via Pozzo del Mare, 1) affacciato su Piazza Grande (oggi dell’Unità) assistette a un’improvvisata parata militare in suo onore con un terribile mal di denti. Già di pessimo umore si offese moltissimo quando ricevette in dono dalle autorità municipali un cavallo lipizzano poiché la larga e possente schiena della pregiata razza equina non gli avrebbe permesso una dignitosa monta a causa della sua altezza (1,55 m.) e delle sue gambe troppo corte. Durante la brevissima permanenza in città ebbe comunque modo di compiacersi osservando le fortificazioni costiere erette da Maria Teresa d’Austria.
L’illustre precursore del romanticismo francese, giunse a Trieste a mezzanotte del 29 luglio 1806. Alloggiato nella centrale Locanda Grande contattò il console Louis Maurice Séguier per trovare una nave diretta a Smirne. Durante la sua breve permanenza Chateaubriand ebbe comunque modo di conoscere la borghesia triestina (fu ospite del Governatore austriaco e di Pietro Sartorio) e di visitare San Giusto omaggiando la tomba delle figlie di Luigi XV, rifugiate a Trieste nel 1799 dopo la fuga da Parigi. Il letterato visconte partì all’alba del 2 agosto: il suo viaggio sarebbe durato un anno.
Giunse a Trieste il 25 novembre 1830 con la nomina di console di Francia. Pernottato l’albergo “Zum schwarzen Adler” di via San Spiridione 2, lo sconosciuto ospite fu però subito notato dalla polizia asburgica che con serrati pedinamenti rese alquanto sgradevole il suo soggiorno. A peggiorarlo contribuirono anche le sferzanti folate di bora, i mancanti successi amorosi con la cantante Carolna Ungher e madame Goeschen e inoltre le non apprezzate tradizioni culinarie servite a suo dire da camerieri “levantini”. Il soggiorno di Stendhal durerà comunque solo tre mesi e dopo aver ricevuto la nomina di ambasciatore partì per Civitavecchia il 24 dicembre 1830. Da qui, dopo un’altra cocente delusione, deciderà di tornarsene ai suoi quartieri parigini.
Appena diciottenne ma già animata dal furor sacro della recitazione, Eleonora Duse venne scritturata nel 1876 come seconda attrice nella compagnia di Adolfo Drago. Tutt’altro che avvenente e troppo enfatica per il gusto del tempo, la Duse raccolse un amaro fiasco per di più rafforzato dai rimbotti del regista e dei colleghi. Nel 1884, già affermata come attrice, ritornò a Trieste con un ingaggio per tutta la stagione di prosa ma continuò a essere contestata da una parte del pubblico per la sua recitazione e le sue pose ancora eccessive. Con apprezzabile autocritica la Duse seppe tuttavia correggere le sue impostazioni troppo marcate e in seguito riuscì a trasmettere grandi emozioni attraverso i personaggi dell’Adriana Lecouvreur e de La Locandiera. Quando due anni dopo ritornò con la Compagnia della Città di Roma, esplose anche a Trieste il più sfrenato entusiasmo consacrando Eleonora Duse alla sua fama immortale.
Il celebre poeta organizzò un furtivo viaggio a Trieste assieme alla sua musa ispiratrice Lina (Carolina Cristofori in Piva, madre di 3 figli e moglie di un funzionario statale di Rovigo). I due amanti giunsero il 7 luglio 1878 occupando in incognito una stanza dell’albergo “Buon Pastore” (attuale “Hotel Continentale” di via San Nicolò). Ma già il giorno dopo vennero scoperti da un cronista del giornale “L’Indipendente” e la notizia della loro presenza si sparse in un battibaleno. Accompagnati da Attilio Hortis e Giuseppe Caprin, la coppia visitò la città sempre applauditi da una folla festante e chiassosa che non li entusiasmò affatto. Dopo soli quattro giorni il Carducci senza dar a vedere la sua contrarietà partì fra i gioiosi arrivederci dei triestini, ma non ritornò mai più a Trieste.
L’eccentrico scrittore irlandese arrivò a Trieste nel 1905 facendo immediatamente notare la sua presenza alla polizia. Appena sceso dal treno con la sua fedele Nora Barnacle, nel giardino della stazione centrale s’imbatté casualmente in una zuffa tra marinai inglesi e austriaci e pensando bene di aiutare i suoi compatrioti si buttò nel mucchio. Joyce trascorrerà così la sua prima notte a Trieste in galera mentre Nora attenderà pazientemente il suo ritorno seduta in una panchina. (Da La Bora, ibid)
L’inquieto e tormentato poeta boemo approdò a Trieste nel 1910 come ospite della principessa Marie Thurn und Taxis nel Castello di Duino. Per quanto la memoria storica dei suoi lunghi soggiorni triestini vanti l’ispirazione delle sue “Elegie duinesi” alle suggestive atmosfere delle bianche falesie e al fascino dell’antico castello sul mare, Rilke non lo amò mai veramente apprezzandone piuttosto la ricca biblioteca e le frequentazioni dei suoi coltissimi salotti dove poteva incontrare il fior fiore dei letterati. In una lettera del marzo 1912 a Lou Salomé, sua ex-amante e divenuta poi una sincera e affettuosa amica, Rilke si lamentava infatti della desolazione che lo opprimeva e del pessimo clima della zona, incolpandolo (ma ironicamente compiacendosene) dello stato della sua salute. “Questa costante alternanza di bora e scirocco non fa bene ai miei nervi e perdo le forze nel subire ora l’una ora l’altra” scriveva nella lettera a Lou. E ancora: “È vero, Duino non mi ha mai fatto bene, quasi ci fosse qui troppa elettricità dello stesso segno che mi sovraccarica, proprio il contrario della sensazione che sento al mare” (nota 1).
(1) Fonte Epistolario 1897-1926, La Tartaruga edizioni, Milano,2002