Fu un incontro davvero fatale quello tra Scipio Slataper e le tre giovani amiche Anna Pulitzer, Elody Oblath e Luisa Carniel, i cui destini si intrecceranno nel corso delle loro vite con alterne e a volte tragiche vicende.
Se nel suo libro Confessioni e lettere a Scipio Elody ripercorrerà gli anni dell’affettuosa amicizia con il poeta (nota 1), la documentazione epistolare tra Slataper e Anna sarà brevissima quanto premonitrice del dramma che ne seguì.
I due giovani, 21 anni lui, 19 lei, s’incontrarono a Trieste nel gennaio del 1909 e come ci riferisce la storia, fu subito amore. Ma fu davvero così grande e poetica quella storia tanto esaltata nelle pagine delle Lettere alle tre amiche e de Il mio Carso?
“Anna Anna sai che tu ami un poeta? Averti trovata è ormai la prova della mia vittoria. C’è un buon demone che mi vuol bene e tu mi puoi già incoronare” scriveva Slataper alla Pulitzer nel febbraio del 1910 e già ci sorgono dei dubbi.
“Desiderai ardentemente di averla. Le preparavo un letto di gioia nella mia anima. Raccoglievo tutti i miei pensieri belli come petali di rosa per il suo guanciale.
Mi addestravo le mani sul musco e su l’erba dei prati per toccarla. Succhiavo fiori per poterle parlare. Aprivo la bocca al sole per darle un bacio. Gioietta tu sei qui… (nota 2) donna più divina di quello che io potessi sognare… Bisogna che tutto il mondo sia rifatto dal mio desiderio” raccontava con enfasi Scipio a Elody senza minimamente immaginare quanto lei soffrisse.
“Tu riposi sul mio viso e i tuoi capelli e le tue mani mi difendono” scriveva ad Anna nell’aprile del 1910.
“Stasera penso che ormai tu sai tutto e che io non posso più dir niente. Il bacio ha svelato tutto e io mi sento tutto nudo davanti a te. Anche tu anche tu; e hai nascosto il viso sul mio cuore, e ti coprivo con le mie mani. E ormai è un ritmo divino tra noi, come acqua che va al cielo e discende chiara sulla terra. Non c’è più disopra né disotto, ma tutto è buono e io posso accarezzare tutto.”
Non si percepisce forse tra le righe un’inquietante attenzione verso sé stesso anziché una delicata tenerezza verso la giovanissima donna che stringeva tra le sue braccia?
“Io capisco che qualcuno entrando non osi guardare. Qua dentro c’è una forza che obbliga tutti gli altri a rivolger lo sguardo dentro di essi e temere. Un dio è presente, e tutti pregano.” Quale irruenza, quanto Ego sconfinato! Non ci si sorprende se la povera Anna fosse turbata da quell’amore così irruento e carnale, e se giorno dopo giorno ne fosse rimasta sconvolta.
Nella notte tra il 2 e 3 maggio 1910, chiusa nella sua stanza, sola e piena d’angoscia, in piedi davanti lo specchio, con la pistola puntata sulla tempia, Anna-Gioietta farà esplodere quel proiettile mettendo fine alla sua giovane vita.
La sera di quello stesso giorno Scipio sarà sconvolto e pieno di rabbia:
“Lei diceva sempre: Tu non sai cosa è stato nella mia vita. Ma io non potevo sapere. Lei non m’aveva detto niente. Perché non m’ha detto tante cose? Poteva tenersi per sé tutto il dolore passato ora che mi amava? Credeva io fossi debole per sopportarlo? Che non glielo sapessi sciogliere?” scriveva all’amica Luisa Carniel (nota 3).
“Odio la sua morte perché m’obbliga alla vita, a vivere con questo male eterno nell’anima. Lei sapeva questo: e s’è ammazzata lo stesso. E sapeva che dopo la sua morte avrei gustato a goccia a goccia tutto il suo dolore, dopo la sua morte, quando io non posso far più nulla.”
Struggendosi nei ricordi, incupito dalle notti insonni e dai sensi di colpa, rifiutando il conforto degli amici e della famiglia, nell’estate del 1911 deciderà di stabilirsi in una modesta casa nell’altopiano di Ocisla, alternando le forsennate corse per campi e ruscelli con la stesura de Il mio Carso.Qui il poeta rielaborerà la tragica morte di Anna-Gioietta rivivendo quell’amore spezzato in alcune indimenticabili pagine del libro:
“Ella è in una tomba nella pietra liscia, nella bara, serrata con viti. Ella è con le mani distese lungo i fianchi. Di fuori c’è un nome e due date. Bisognerebbe strappare quella lapide. Bisogna portare tutti i ginepri del Carso sulla sua tomba”.
“Era una pianta di timo. Sei venuto quassù, portato dal suo profumo. L’accarezzavi tanto. Le volevi bene. Era un dolce pianta di timo. Snella, con un ciuffo lieve, odorosa: tu l’hai strappata perché non hai capito cos’era. Tu non l’hai capita perché sei un letterato. L’avresti radicata più fonda nella terra, nessuno più l’avrebbe potuta strappare”.
La carnalità dei loro amplessi verrà così sovrapposta al contatto con la nuda terra, le sensazioni tattili del corpo di lei con quelle della natura e i profumi di timo e ginepro all’odore di quel ciuffo delicato come l’erba.
E venne anche il tempo dei rimorsi, dell’umiltà, dell’ammissione di essere un uomo, non solo il poeta che avrebbe voluto essere:
“Lei non doveva morire. Credeva che io fossi tutto forza e bontà. Io non sono forte. Io ho bisogno di amare come tutti gli uomini. Io voglio la vita piena, completa, col suo fango e i suoi fiori. Io voglio bene alla carne sana, piena di sangue e di prosperità. […] Io avrei dovuto vigilare nel suo sonno come un cane nella camera del padrone perché nessuno v’entri.”
Gli si pure perdonano i suoi eccessi davanti a queste righe che ci commuovono:
“Eri fresca e odorosa come l’alba. […] Cantavi a bassa voce, limpida come un filo d’acqua tra l’erbe. Dolce creatura! E quando chinavi la testa sulla mia spalla , io ti tenevo il mento nella mano, ti accarezzavo le guance e i fini capelli, e una tenerezza tremante mi prendeva…”
Così ci si sorprende quando lo Slataper nella stesura finale de Il mio Carso inserirà un breve appunto (nota 4) che stravolgerà il senso di quella storia che ci ha fatto così tanto sognare:
“Non ho mai amato veramente Anna. Ho terribile rimorso e schifo delle pagine false che le scrivevo. Io capisco tanto bene come peccai verso di lei” fu la sua inaspettata confessione.
Infatti dopo la lunga estate del 1911 trascorsa in Carso, in una lettera datata 21 ottobre dello stesso anno, Scipio scriverà all’amica Luisa/Gigetta:
“Penso a te e ti bacio perché ho finito ora Il mio Carso.”
Scipio e Luisa Carniel si sposeranno nel settembre del 1913 e rimarranno uniti per soli due anni. Ma questa è un’altra storia.
Note:
1. Elody fu molto innamorata di Scipio e sofferse per il suoi legame con Anna e il successivo matrimonio con l’amica Luisa Carniel;
2. Così lo Slataper chiamò sempre Anna Pulitzer;
3. Gigetta fu il soprannome/pseudonimo di Luisa Carniel;
4. L’appunto è datato 5 settembre 1912.
Fonti:
Scipio Slataper, Lettere alle tre amiche, Edizioni Alet, Padova, 2007;
Scipio Slataper, Il mio Carso, RCS Libri, Milano, 2000.