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Contovello

Fino alla metà del Duecento tra il confine della signoria di Duino e quello del Vescovado di Trieste esisteva solo il piccolo villaggio di Prosecho o Prosecum.
Agli inizi del Trecento, sulla dorsale prospicente il mare a circa 500 metri dall’abitato e nei pressi della vicina chiesa “de Sancto Ieronimo”, il Comune di Trieste iniziò a costruire un castello per il controllo del mare e delle contrade verso Trieste. L’edificio nominato Castrum montis Collani o Moncolanum si trovava non solo in una posizione dominante ma era collocato in un particolare terreno marnoso-arenaceo che permetteva la coltivazione di vigne e uliveti, fonte di ricchezza per la comunità triestina di allora.
Il 25 febbraio 1369 il castello venne però espugnato rimanendo in mano a una guarnigione di 20 balestrieri veneziani e 30 pedoni trevisani.
Dopo l’assalto del 1380 di una coalizione genovese-friulana e la successiva trattativa di pace, Venezia abbandonò ogni pretesa su Moncolanum e il suo territorio.

Con l’atto di Dedizione all’Austria del 1382, a Trieste subentrarono i delegati e amministratori austriaci che ben presto si misero a presidio della fortezza, da allora identificata come Torre di Moncolano nei pressi del borgo da loro rinominato Prossek, di più facile fonetica e scrittura.

Nel 1413 nei pressi della torre fu deciso di costruire un nuovo centro abitato chiamato come la vicina chiesa e destinato agli slavi dei territori carsici, fatto che provocò malumori e qualche ritorsione da parte degli abitanti di Prosecho.
Con l’atto di acquisto del 1437 per una vigna firmato da un certo Matteo “de Contovello”, appare per la prima volta la scrittura del toponimo anche se lo studioso Mario Doria lo farebbe risalire a un più antico Coltovello o Coltivello che indicava il terreno adatto alle coltivazioni. Gli sloveni invece attribuirono la derivazione del nome da kônta inteso come “valico”, mentre alcuni abitanti del posto asserirono romanticamente che provenisse dal “contar le vele” delle mogli in attesa del ritorno dal mare dei pescatori.

Le mura di Contovello furono costruite dopo i saccheggi e gli incendi di Prosecco da parte di alcune milizie a cavallo provenienti nel 1470 dalla Bosnia.
In seguito a un’altra incursione dei Veneti e a successivi cambi di presidio, nel 1524 la torre fu affidata a Pietro Giuliani, fido segretario dell’arciduca Ferdinando, attestando un nuovo distretto che comprendeva, e di fatto dominava, i 2 villaggi.
Con la cessione al potente uomo di corte Giovanni Gasparo Cobenzel e poi ai suoi eredi, iniziò una serie di lunghi contenziosi con il Comune di Trieste comprese quelle perorate dagli abitanti dei due borghi.
Dopo gli ultimi documenti riguardanti la torre sui quali è stato individuato come ultimo “signore di Prosecco” un certo Giovanni Filippo, figlio di Giovanni Gasparo, le notizie si esauriscono.
Nel frattempo alle mancate manutenzioni della fortezza si aggiunsero dei crolli murari per la caduta di fulmini o di avvenimenti sismici, allora non infrequenti, mentre la progressiva espansione dell’abitato e il riutilizzo dei materiali di costruzione segnarono il lento declino della torre.
Su una mappa delle linee di confine tra Trieste e Duino del 1645 vengono segnati i paesi di Contovello e Prosecco senza più nessun riferimento alla fortezza e dopo l’Ottocento i terreni circostanti vennero definiti “da pascolo”.

Ai nostri giorni, accanto al cimitero di Contovello sopravvivono ancora i ruderi di un muro formato da grossi conci di arenaria addossato a una maceria che un tempo il prof. Lonza ritenne parte di un tumulo preistorico collegato a un antichissimo castelliere. I saltuari scavi hanno effettivamente portato alla luce dei frammenti di ceramiche e di altri materiali riferibili a un arco cronologico molto ampio che avrebbero richiesto una strategia d’indagine oggi divenuta ormai  impraticabile per la presenza di ville e giardini.

Per la disposizione delle stradine, la compattezza dell’abitato in forma allungata e le case allineate entro un perimetro definito, il cuore di Contovello presenta però ancora oggi le caratteristiche di un paese medievale di cui rimane ancora la porta di accesso con le caratteristiche pietre squadrate dell’arenaria.
Tra i viottoli, gli antichi masegni e le balconate in legno, si aprono piccoli cortili con linde casette riadattate e ricolme di fiori.
Nell’antica chiesa in stile gotico-romanico di San Gerolamo, eretta nel 1606 e consacrata nel 1634, si trova l’altare appartenuto alla cappella di Santa Maria di Grignano, soppressa nel 1785, un notevole soffitto affrescato e numerose statue di fattura locale. Nel 1912 sono state aggiunte 4 bellissime finestre istoriate.
Dal prospiciente belvedere si gode una strepitosa vista che spazia dalle colline istriane fino alle lagune venete mentre sui declivi della collinetta si notano le verdi vigne destinate alla coltivazione del nostro pregiato “Prosecco”.
A metà della strada che porta a Contovello, nell’avvallamento che confina con un fittissimo bosco, si trova il piccolo laghetto delle paperelle, oggi risistemato con l’aggiunta di romantiche ninfee.

Sulla strada provinciale, sulla curva prima di Prosecco, c’è una piccola cappella gotica dedicata alla Madonna della Salvia, dal nome dei suoi nobili possessori terrieri. Gli affreschi del presbiterio e le iscrizioni latine farebbero risalire la costruzione al XV secolo o agli inizi del XVI.

E’ proprio bellissimo questo angolo di Carso così verde e così pieno di storia…

Fonti:
Fulvio Colombo, Dal Castello di Moncholano alla Torre di Prosecco, estratto dall’ “Archeografo Triestino”, 1998;
Dante Cannarella, Guida del Carso Triestino, Ed. Svevo, Trieste, 1975;
Fulvio Colombo, Prosecco, patrimonio del Nordest, luglio editore, Trieste, 2014

Prosecco, il territorio, il vino

Fin dalla metà del Duecento il toponimo “Prosech” o “Prosecum” ma anche nel più moderno “Proseco” si è sempre riferito a un piccolo centro confinante a nord con la signoria di Duino e verso sud-est con il territorio del Vescovado di Trieste.
Le prime citazioni del luogo provengono dall’atto di locazione per 4 vigne con un certo Romano, di professione muratore, stipulato nell’anno 1289 e rinnovato nel 1308. Da un documento del 1344 si apprese che tale Romano era figlio di un Michaelis de Prosecho, presupponendo l’esistenza delle vigne in epoca retrodatata alla metà del secolo XIII. Altri documenti del 1311 attestano l’esistenza di vigneti sulla zona barcolana in proprietà dei signori Muchor, Vidrich e Larencio Colorico tutti “de Prosecho”.
E’ dunque certo che le coltivazioni viticole fossero collocate lungo i pendii soleggiati e digradanti verso il mare, quindi al riparo dei freddi venti di bora, e soprattutto dove si trovava un terreno marnoso terreno marnoso-arenaceo favorevole alla maturazione di uve molto particolari.
Nel Trecento questo vino si chiamava “Ribuolla” o “Raibiola” e veniva coltivato anche nei pressi del centro di Trieste e poiché costituiva un’attività molto redditizia era soggetto a precisi regimi tributari dovuti a Venezia (fin dal 1202) e dopo il 1382 al duca d’Austria. L’imperatore Federico III d’Asburgo (1415 – 1493) ne pretese addirittura le migliori produzioni d’annata, ufficialmente per curare i malati.
Altrettanto entusiasta ne fu l’arciduca Massimiliano d’Austria (1459 – 15199 che proibì l’introduzione nel nostro territorio di altre qualità di uva e vitigni per evitare il rischio di contaminazioni.
Dalle quantità di orne di vino che venivano consegnate si può senz’altro presumere l’eccellenza di questo vino fornito esclusivamente dalle uve del nostro territorio.
Ma se si trattava di Ribolla, come e quando si trasformò in Prosecco?
Agli inizi del Trecento il Comune di Trieste sulla sommità della collina, a circa 500 metri dall’abitato di Prosecco e vicino al cimitero di Contuel, costruì un castello nominato Castrum montis Collani o Moncholano destinandolo al controllo delle strade e delle aree produttive.
Per la posizione strategica del luogo, collocato alla confluenza della “via publica romana” con la strada che dal valico di Contovello portava a Trieste, sia i forestieri che i confinanti duinesi, ancora soggetti a un regime feudale, iniziarono ad acquistare terreni nella zona allargando sempre di più le coltivazioni del pregiato vino.
Considerata l’attività di presidio, il castello era di dimensioni piuttosto ridotte e già alla fine del Trecento venne definito Torre di Moncholano.
Con l’atto di Dedizione all’Austria del 1382, a Trieste subentrarono i delegati e amministratori austriaci e dopo pochissimo tempo sulle note-spese per il castello e la sua guarnigione fu apposto il nome di Prossek, evidentemente di più facile fonetica e scrittura.
Nel luglio del 1413 fu deciso di costruire un nuovo centro abitato vicino alla Torre chiamato prima “Villa San Gerolamo” per la vicinanza con l’omonima chiesa, e successivamente Contovello. Alla fine del Quattrocento il toponimo Moncholano scomparve dai documenti divenendo Castello di Prosecco.

Agli inizi del Cinquecento, quando si diffuse progressivamente la stampa con la riscoperta dei grandi classici, entrò negli onori delle cronache cittadine un illustre personaggio, Pietro Bonomo, (145 – 1546) segretario e consigliere di 3 sovrani austriaci: Federico III, Massimiliano I e Ferdinando I.

Poeta e uomo di grande cultura Bonomo studia la Naturalis Historia del prolifico Plinio il Vecchio (23 – 79 d.c.) interessandosi particolarmente, e non a caso, alla storia del leggendario vino pucino amatissimo dai romani e molto apprezzato da Livia, moglie del potente imperatore Ottaviano Augusto, che si assicurò così una lunga oltreché piacevole vita (Nota 1)
La storia fu riportata poi dal famoso medico Galeno (129 – 216 d.c.) che contribuì a diffondere la fama terapeutica del vino Pucino proseguita poi anche nei secoli successivi.

I Bonomo erano infatti proprietari di ampi vigneti vicino al Castello di Prosecco e il fatto che Plinio si riferisse ai vigneti del Castrum Pucinum intorno all’abitato di Duino e che la prelibata bevanda derivasse da uve rosse (Nota 2) divenne irrilevante davanti alla possibilità di compiere un’autentica operazione di marketing ante-litteram proclamando che fosse proprio il dolce e delicato Prosecco l’erede dello storico Pucino.
Tale asserzione fu incredibilmente condivisa da quasi tutti gli eruditi dell’epoca e il brand Prosecco iniziò la sua inarrestabile fortuna.
Pietro Bonomo dedicò perfino dei versi in onore di questo vino che a sua volta venne menzionato anche da altri compiacenti letterati e in seguito addirittura esaltato dal vescovo umanista Andrea Rapicio nel suo poema Histria del 1556. (nota 3)
Divenuto vescovo di Trieste nel 1502, Bonomo distribuì generosamente il suo vino alla corte di Vienna tentando pure, ma senza fortuna, di farsi concedere la custodia del castello di Prosecco che invece nel 1524 l’arciduca Ferdinando concesse con tanto di solenne cerimonia al suo segretario di Trieste Pietro Giuliani.
Nel documento apparve la scritta: “Chastelo montis Pucini, vulgariter nuncupato turri Porsechi sive Contovelli” rivendicando così l’antica discendenza da quel famoso Pucino che dalla metà del Cinquecento venne identificato assieme a quella del Prosecco (denominato Proseck o Prosecho) come identificazione geografica comprendente assieme la zona sui declivi costieri anche quella di Grugnano.
Ancora a metà dei Seicento il vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Tommasini nei Commentari storico-geografici della provincia dell’Istria attestava che l’antico vino coltivato nelle vigne tra Giovanni da Duino, Santacroce e Grignano era identificato proprio con il pregiato Prosecco.
Verso la fine del secolo XVII il ricercatore- scrittore storico Johann Weichard Valvasor (1641 – 1693) stabilì che il Prossegker-vein o vino di Prosecco si identificasse con la Ribolla, Reinfall in tedesco, Rifolium nelle antiche carte o anche Raywol in scritta arcaica.

Dopo il Settecento per garantire la qualità del Prosecco fu fissata la data delle vendemmie al 18 ottobre per far maturare al punto giusto le pregiate uve la cui produzione continuò sui pendii marnoso-arenacei sotto Contovello e in parte sul tratto costiero del territorio comunale mentre il vecchio castello (o torre) di Moncholano, ormai privo di una funzione difensiva e mai trasformato in residenza signorile, venne abbandonato andando lentamente in rovina.

Con la proclamazione del Portofranco del 1719 e la progressiva espansione delle aree urbane con i diversi interessi di Trieste, i vitigni che ancora esistevano intorno al centro abitato poco a poco scomparvero. Pur continuando la produzione del prosecco essenzialmente sui pendii marnoso-arenacei sotto Contovello e in parte sul tratto costiero del territorio comunale, gli interessi di Trieste vennero sempre più convogliati sui traffici marittimi.
Inoltre come spesso accade, la fortuna di questo vino dovette fare i conti con le  invidie  e soprattutto con le inevitabili adulterazioni. Così il ricercato Prosecco, definito dal Mattioli “lucido, color dell’oro, odorifero e di gusto graditissimo” interessò gli imprenditori di altre terre confinarie come il nobile Ferdinando Giuseppe d’Attems che importò alcuni vitigni a Lucinico e Podgora, ottenendo un vino giovane, dal sapore più dolce e delicato ben presto molto apprezzato.

La potente Venezia intanto, per incrementare le importazioni e alzare i prezzi, pretese dei trattamenti per stabilizzare il vino durante i trasporti iniziando di fatto una serie di inarrestabili contaminazioni.

Verso la metà del Settecento in Veneto si verificarono degli eventi molto simili a quelli che costituirono la fortuna del vescovo Pietro Bonomo, ossia un nobile canonico di nome Jacopo Ghellini produsse un vino di qualità che venne esaltato dal poeta Aureliano Acanti con versi molto accattivanti:
Ed or ora immolarmi voglio il becco con quel melaromatico Prosecco. Di Monteberico questo perfetto Prosecco eletto ci dà lo splendido Nostro Canonico” e se pur il vino fosse dichiarato “un po’ fosco e torbido” fu definito “un balsamo puro e sano, sguaiato, impazzato che non potrebbe essere cambiato con l’Ambrosia degli Dei”.
Come dunque resistere a questo vino addolcito con il miele e con un’ accattivante quanto sostenuta gradazione alcolica? Infatti dopo il 1770 fu importato sulle colline di Conegliano dando inizio alle grandi coltivazioni viticole.

Il Prosecco diventa veneto

Un ulteriore evoluzione dell’ormai noto vino fu apportata a Conegliano da Antonio Carpenè (1838 – 1902) fondatore della Società enologica e del Consorzio agrario di Treviso. Con la riduzione del contenuto alcolico, un’ elaborazione chimica per renderlo più secco, e una consistente produzione, il Prosecco divenne un ambito prodotto da tavola che definito “ambrato, asciutto e leggermente aromatico” e con l’etichetta “Prosecco 1870” ottenne un lusinghiero successo all’Esposizione internazionale di Vienna.
Brevettato il nuovo metodo vinicolo, nel 1876 Carpenè fondò con il socio Angelo Malvolti la floridissima azienda dall’inconfondibile brand presentato come “PROSECCO Vino pregiato Amabile dei Colli di Conegliano”.
Il destino della viticoltura triestina fu così segnato e con l’ascesa dei vini veneti la produzione del Prosecco triestino si ridusse sempre di più fino a uscire di scena.

Dopo un lungo periodo di storia e le alterne vicende che mutarono il nostro territorio, fu ripreso un certo interesse verso lo storico vino prodotto nel Consorzio fondato a Conegliano che con gli anni Sessanta acquisì il titolo di Denominazione Controllata (DOC) estendendosi poi ad altre province del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.

Con gli anni Settanta il Prosecco venne inserito nell’elenco dei “Vini da tavola a Indicazione Geografica” (IGT) con un progressivo incremento delle produzioni.
Il successo per il vino con le bollicine, riproposto per un certo periodo addirittura in lattine, fu riprodotto persino nel lontano Brasile con la dicitura “Prosecco espumante natural brut 2007” presentato entusiasticamente ai Vinitaly di Verona nel 2008. E a questo punto esplose il “casus belli

La guerra del Prosecco
L’informazione inizia così a interessarsi della questione in merito al Prosecco, anche perché era entrato ormai nell’interesse delle Regioni, in primis ovviamente quella del Veneto con a capo Luca Zaia, nel frattempo nominato Ministro dell’Agricoltura.
Dopo il caso del Prosecco brasiliano, l’imprenditore vicentino Gianni Zonin rilasciò un’intervista sul Correre Vinicolo (nota 4) riportata poi su tutti i media e che sollevò la questione della salvaguardia del celebre brand con la sua ricollocazione delle sue origini, cioè:
In quel territorio vicino Prosecco dove era nato e dove era prodotto fin dai tempi della Roma antica”. Quindi il nome del vino doveva essere identificato con la zona d’origine ridefinendo i confini della DOC”. 

Così, l’efficace sinergia tra i Ministero, la Regione Veneto, Friuli Venezia Giulia, i Consorzi di categoria e di tutela insieme alle Amministrazioni locali nel luglio del 2009 ha riordinato la classificazioni della Denominazione Origine Controllata e ha stabilito che nell’etichetta poteva essere aggiunto il nome di Trieste e di Treviso con il riconoscimento della DOCG (origine garantita) per la specificazione “Superiore di Cartizze”.
Un insperato successo per la nostra città che nel 2011 ha visto cancellata la definizione del Prosecco come vitigno anziché come vino derivato esclusivamente da uve “glera” sulle zone costiere triestine e già identificate sulle documentazioni del Cinquecento.

Insomma una bella occasione per Trieste: una leggenda, un mito da assecondare e il rilancio di un brand prestigioso con il nome della nostra città.
E allora Prosit Trieste!

NOTE:

(1) Carnorum haec regio iunctaque lapudum, amnis Timavus, castellum nobile vino Pucinum, Tergestinus sinus, colonia Tergeste, XXXIII ad Aquileia;

(2) “Nasce nel seno del mare Adriatico non lontano dalla sorgente del Timavo, su un colle sassoso; il soffio del mare ne cuoce poche anfore, medicamento che è superiore ad ogni altro. […] La vite del Pucino è di colore nerissimo. I vini de Pucino cuociono nel sasso”.

(3) “Te veneriamo o padre Pucino, che a Livia serbasti tanto a lungo una volta i suoi anni felici di vita / Questo è merito tuo, o Pucino, che abiti i colli aridi e l’alte rupi scoscese e i lidi giapidi / e ch’ogni altro frutto sorpassi in valore ed in fama

(4) Il Corriere vinicolo, anno 81, n. 14 del 7 aprile 2008;

FONTI:

Fulvio Colombo, Prosecco, patrimonio del Nordest, luglio editore, Trieste, 2014;
Dante Canarella, Guida del Carso Triestino, Edizioni Svevo, Trieste, 1975;
Carlo Chersi, Itinerari del Carso Triestino, Stab. Tipografico Nazionale, Trieste, 1962;