Archivio tag: Marie Thurn und Taxis

Il Castello Nuovo di Duino

Autocertificazione 2921Nel 1472, dopo il dominio dei Walsee, il nuovo castello di Duino passò agli Asburgo, di cui il bavarese Mattia Hofer fu l’ultimo Capitano.
Con il matrimonio delle figlie Lodovica prima e Chiara poi con un Conte della Torre Valsassina iniziò il dominio del ramo lombardo dei Torriani che ingrandirono l’estensione dell’edificio trasformandolo sempre di più in un centro umanistico e culturale. (Nota 1)
Nel corso delle loro discendenze i Signori di Duino contrastarono diverse incursioni turche e divennero pazienti mediatori tra l’Impero e la Serenissima Repubblica di Venezia; furono grandi mecenati, provvidero alle bonifiche delle terre circostanti fondando scuole e conventi.
Autocertificazione 2928Dal matrimonio di Giovanni Battista III, ultimo discendente dei della Torre, con Polissena, figlia del Governatore di Trieste Pompeo Brigido, nacquero tre figlie di cui Teresa Maria Beatrice (1817 – 1893) sposatasi in seguito con il principe Egon Hohenlohe divenne un’importante castellana trasformando la nobile dimora in un vero centro di cultura e arte.
Donna intelligentissima e di grande cultura, ospitò nei salotti del castello illustri personaggi del tempo tra cui Johan Strauss e Franz Listz, che le dedicò una composizione musicale. (nota 2)

Nel quadro di Ludwig Rubelli von Sturmfest dipinto nel 1833 è rappresentato il castello ai tempi del suo massimo splendore e quanto rimaneva dell’antica Rocca.

Ludwig_Rubelli_von_Sturmfest_Castello_de_Duino_1883[1]

La figlia Marie (1855 – 1934), sposatasi con il principe Alexander von Thurn und Taxis (nota 3) ne ereditò le passioni invitando al castello letterati, musicisti, filosofi e poeti tra i quali il boemo Rainer Maria Rilke con il quale intraprese una lunga e affettuosa amicizia. (nota 4)
Alexander von Thurn und Taxis (1881 – 1937) uno dei 4 figli di Marie, nel 1934 ottenne l’italianizzazione del nome in Torre e Tasso e s’impegnò nella ricostruzione del castello dopo il bombardamento del 1917 (nota 5).
lobianco518Nella foto la Sala Cavalieri del Castello prima della sua distruzione
lobianco516Una delle più travagliate storie del castello fu vissuta da Raimondo, figlio di Alexander e Marie de Ligne, personaggio molto conosciuto e amato a Trieste, al quale ci permettiamo dedicare un articolo a parte.

Note:

1. La dinastia lombarda dei Valsassina (vicino Bergamo) dopo le devastazioni del Barbarossa ricostruirono Milano, i canali del Ticino istituendo il primo catasto; parteciparono alla prima Crociata verso Gerusalemme al seguito di Goffredo di Buglione;

2. Lo spartito originale del brano musicale “La Perla”, ispirato a una delle molte poesie scritte da Teresa, è conservato all’Archivio di Stato di Trieste;

3. I Thurn und Taxis appartenevano a un ramo della famosa dinastia dei grandi maestri di posta;

4. La principessa Marie nel libro Ricordo di Rainer Maria Rilke (Ed- Fenice, Trieste, 2005) narrò la lunga amicizia con il poeta; Autocertificazione 2923

5. Dopo il divorzio con la moglie Marie de Ligne, si sposò con l’americana Ella Walker, ricca ereditiera della famiglia produttrice del whisky “Jonny Walker”

Fonti:

Rodolfo Pichler, Il castello di Duino, Memorie, E. Seiser, Trento, 1882;
Ettore Campailla, IL CASTELLO DI DUINO, Editoriale MGS Press, Trieste, 1996;
Giulia Schiberna, Duino, Edizioni Fenice, Trieste, 2003

Rilke a Duino e altrove

Non dovrei permettermi di scrivere alcunché su Rainer Maria Rilke, ritenuto tra i più importanti poeti di lingua tedesca e oggetto di bibliografie planetarie ma sono stata attratta dalla sua complessa e poliedrica personalità e coinvolta dagli aspetti più introspettivi della sua esistenza e dalle nevrosi emerse nei numerosissimi carteggi epistolari.
helmut-westhoff-portrait-of-rainer-maria-rilke-19011[1](Nella foto un ritratto di Rilke dipinto nel 1901 da Helmut Westhoff)

Il suo nome originale era René Maria e fin da bambino fu convinto dalla madre Sophia Entz di essere l’ultimo rampollo di una nobile stirpe boema (le cui tracce risalivano al 1625) e che il suo ambiente dovesse quindi trovarsi tra gli aristocratici.
Se per il piccolo René le nobili origini rappresentavano un vanto da esibire, non altrettanto dovevano essere graditi gli abiti da femminuccia con cui lo vestiva l’amorevole madre, mai rassegnatasi alla morte a soli 8 mesi della primogenita. Forse ancora peggiori furono le conseguenze delle ambizioni del padre Josef che indirizzandolo a una detestata carriera militare, poi abbandonata a 16 anni, contribuì a innescare quelle sensazioni di inadeguatezza che non lo abbandoneranno più.
Mantenuto da uno zio paterno e successivamente da generose cugine, nel 1895 Rilke riuscirà a ottenere privatamente la maturità liceale seguita da svogliati studi di Legge e Letteratura alle Università di Praga e di Monaco.

La sua vocazione poetica sbocciò dopo l’incontro del 1897 con Lou Andreas-Salomé, un’eccentrica scrittrice tedesca di origini russe, di 14 anni più anziana di lui, conosciuta per un chiacchierato ménage “filosofico” con Nietzsche e Paul Rée prima di sposarsi e dedicarsi anima e corpo agli studi psicanalitici di Sigmund Freud.
Lou e Rilke rimarranno insieme per alcuni anni intensamente vissuti tra le tensioni dello spirito e quelle dei sensi testimoniate nelle liriche a lei dedicate del Libro d’ ore dove il poeta comporrà alcuni versi di insolito romanticismo:
Allora del suo canto le sorgenti / dalla sua rosea bocca dolcemente / si sciolsero e si spinsero sognando / a coloro che son pieni d’amore / e caddero nelle corolle aperte / e affondarono lente in fondo al fiore”.
Sarà ancora dedicate a Lou un’ appassionata poetica:
Spegni i miei occhi: io ti vedrò lo stesso / sigilla le mie orecchie: io potrò udirti / e senza piedi camminare verso te / e senza bocca tornare a invocarti.
Spezza le mie braccia e io ti stringerò / con il mio cuore che si è fatto mano /
arresta i battiti del cuore, sarà il cervello / a pulsare e se lo getti in fiamme /
io ti porterò nel flusso del mio sangue.”

Quell’amore da lei definito “debilitante” per l’amante- bambino si consumò dopo soli quattro anni trasformandosi lentamente in una sincera e affettuosa amicizia che continuò per 25 anni.
Dopo la fine di quella bruciante passione il poeta precipiterà in una sorta di “desertificazione interiore” dalla quale riuscirà a uscirne faticosamente e forse mai del tutto.
Fosti la più materna delle donne” le scriverà in una delle numerosissime lettere a testimonianza del loro indissolubile legame “Fosti un amico, come lo sono gli uomini. Una donna, sotto il mio sguardo. E ancora più spesso una bambina. Fosti la più grande tenerezza che ho potuto incontrare. L’elemento più duro contro il quale ho lottato. Fosti il sublime che mi ha benedetto. E diventasti l’abisso che mi ha inghiottito”. (Nota 1)

Rilke riprenderà così a viaggiare tra l’Italia, l’Austria, la Svizzera, la Germania e la Russia, alla ricerca di quella ispirazione che sembrava per sempre perduta.
Approdato a Worpwede, villaggio di artisti nei pressi di Brema, nell’aprile del 1901 si unirà in un breve matrimonio con l’allieva di Rodin Clara Westhoff, presto abbandonata nonostante la nascita della figlia Ruth. (nota 2)
Le donne saranno un punto fondamentale nella vita del poeta ma nessuna riuscirà a staccarlo dalla sua esigenza di una totale libertà che gli garantisse la creatività artistica e se i legami intellettuali riusciranno a prolungarsi nel tempo, molto più brevi saranno quelli passionali vissuti con la pianista Magda von Hattinberg e con la pittrice Baladine Klossowska.

Dopo ulteriori pellegrinaggi tra L’Europa e la Russia, Rainer approderà a Parigi dove gli sarà offerto un lavoro di segretario presso lo studio del maestro August Rodin (nota 3) presto interrotto per uno spiacevole malinteso.

Alloggiato in due modeste stanze in rue Varenne, in perenne attesa di ricevere i proventi dei suoi libri per campare, scriverà i Quaderni di Malte Laurids Brigge (nota 4) un romanzo a mezza via tra un diario autobiografico e un percorso retrospettivo con una serie di dissertazioni che alcuni critici definiranno “dissociative” ma che riveleranno il disperato smarrimento del poeta:
Non si ha più nulla e nessuno, si va per il mondo con una valigia e una cassa di libri, in fondo senza curiosità. Che vita è questa, in fondo, senza casa, senza oggetti ereditati, senza cani. Si avessero almeno i ricordi…” (nota 5)

In seguito a un fortuito quanto fortunato incontro a Parigi con la principessa Marie von Thurn und Taxis nel dicembre 1909 e alla successiva corrispondenza tra loro intercorsa, il 20 aprile 1910 Rilke sarà invitato al castello di Duino, sulle ultime falesie della costiera triestina.
painting1.1So di aver pensato che ci doveva essere da qualche parte un castello e dovunque esso fosse, sarebbe stato proprio quello che io allora avevo cercato” (nota 6) scrisse alla principessa, lusingato di essere ospitato in una così splendida e nobile dimora.

Dopo il breve soggiorno nell’aprile del 1910 , il poeta soggiornerà nuovamente al castello dall’ottobre 1911 al maggio del 1912; qui inizierà la stesura delle Elegie duinesi che si protrarrà per oltre dieci anni affiancata da varie profusioni letterarie ed epistolari a testimonianza della sua esistenza errabonda e inquieta, vissuta nella costante ricerca di quel “nessun dove” che cercava “da qualche parte nel profondo”.
Quest’anno sono ospite qui, in questo castello e solido castello (al momento completamente solo) che mi trattiene un po’ come un prigioniero, e del resto non può fare altrimenti” confiderà a Lou.
Infatti ti per quanto la memoria storica dei suoi lunghi soggiorni sulla costiera carsica vanti l’ispirazione delle sue celebri Elegie al fascino dell’antico castello sul mare, Rilke non lo amò mai veramente apprezzandone piuttosto la ricca biblioteca e le frequentazioni dei suoi coltissimi salotti dove poteva incontrare il fior fiore di nobili e letterati.
In una lettera del marzo 1912 Rilke si lamentava della desolazione che lo opprimeva e del pessimo clima della zona, incolpandolo (ma ironicamente compiacendosene) dello stato della sua salute. “Questa costante alternanza di bora e scirocco non fa bene ai miei nervi e perdo le forze nel subire ora l’una ora l’altra”.
E ancora: “È vero, Duino non mi ha mai fatto bene, quasi ci fosse qui troppa elettricità dello stesso segno che mi sovraccarica, proprio il contrario della sensazione che sento al mare” (nota 7)
Più spesso il poeta ammetteva però che i suoi malesseri provenissero da un male dell’anima, da un’irrequietezza incapace di fermarsi in un luogo e un’inquietudine che gli impediva di trovare una ragione per cui lottare: “Trovarmi un giorno riordinato sarebbe forse ancora più disperante di questo disordine” ammetteva poi, quasi negando una possibile soluzione alle sue sofferenze.

In alcuni frammenti dei suoi epistolari emergevano spesso anche malesseri di origini sconosciute, causati da un sistema nervoso molto sensibile o da una fisicità troppo reattiva.

E’ possibile che la costante distrazione interiore in cui vivo sia in parte dovuta a cause fisiche, è una rarefazione del sangue, e ogni volta che ne prendo atto mi rinfaccia di averla lasciata progredire fino a un punto così estremo” (nota 8) confidava ancora a Lou nel corso del lungo soggiorno nel castello di Duino messogli a disposizione della generosa principessa Marie.

Non troverà pace nemmeno nella solitaria fortezza di Muzot dove sceglierà di vivere nel 1921 ritenendo benefico il clima mite e secco del Vallese ma dove poi si sentirà chiuso e stregato come in un “cerchio malefico”.
Dentro il castello ci si immagina la favola di qualcuno estremamente vitale che trattiene la propria vita come alito prezioso che non deve mischiarsi all’aria nella sua ordinaria funzione poiché c’è qualcosa di invisibile accanto a lui a cui insufflerà lo spirito” immaginerà Lou Salomé in una delle ultime drammatiche lettere. muzot-1[1]

Il disamore per l’opera non realizzata intacca ora anche il mio corpo, come una ruggine, persino il sonno nega il suo sollievo, nel dormiveglia le tempie pulsano come passi pesanti che non trovano pace” scriverà Rilke nelle ultime pagine del Testamento del 1925.

Si potrebbe supporre che la grave malattia che lo condusse a miglior vita a soli 51 anni avesse dato i primi segnali ben prima del ricovero del 1923 al sanatorio di Val-Mont cui ne seguirono altri fino all’infausta diagnosi del 1926, ma solo nelle lettere spedite agli amici negli ultimi mesi di vita emergerà il suo rammarico e tutta la sua infinita tristezza verso una realtà ormai senza futuro.

Alla dolce principessa Marie che tanto lo aveva sostenuto e conclusa la sofferta stesura delle mitiche “Die Duineser Elegien“ Rilke, consapevole della sua imminente morte, le donerà la proprietà del manoscritto (nota 9) con una dedica che apparirà su tutte le edizioni dell’opera.lobianco872

Sulla sua lapide del suo sepolcro accanto alla chiesetta sulla collina di Raron, Rilke farà incidere lo stemma di famiglia e la frase: “Rosa, contraddizione pura, desiderio di essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre.” Chissà cosa avrà voluto dire. Rainer-Maria-Rilke-Grab[1]

Note:

1. Rainer Maria Rilke – Lou Andreas Salomé, Epistolario 1897 – 1926, La Tartaruga edizioni (Baldini&Castoldi), Milano 2002;
2. Sarà Ruth Rilke a curare tutto l’espistolario del padre
3. Lo studio dello scultore si trovava all’Hotel Biron, riadattato nel 1919 come Museo Rodin;
4. pubblicato nel 1910;
5. Epistolario, ibid;
6. Marie von Thurn und Taxis, Ricordo di Rainer Maria Rilke, Edizioni Fenice, Trieste 2005;
7. Epistolario, ibid;
8. Epistolario, ibid;
9. Conservato presso l’Archivio di Stato di Trieste.

Cronache storiche di Trieste

Giacomo Casanova (Venezia 1725 – Dux 1798) giunto a Trieste il 15 novembre 1772 dopo una lunga e avventurosa permanenza in Polonia, pernottò una stanza nella Locanda Grande di Trieste.
Preso subito contatto con le cortigiane e i cicisbei del bel mondo cittadino, lo sfrontato cavaliere veneziano ricevette però il rifiuto alle sue avances da una bellissima giovane di nome Zanetta. Ormai 47enne, il Casanova dovette accontentarsi di una contadinella goriziana senza però rinunciare, da buon avventuriero, a ingraziarsi le autorità locali con ogni sorta di traffici e sotterfugi.
Nell’attesa della grazia da parte del Consiglio dei Dieci di Venezia dopo la sua avventurosa fuga dai Piombi, era costretto a scrivere indefessamente cercando di procurarsi del denaro con cui vivere. Ma la grazia non giunse affatto e nell’autunno del 1774 abbandonò Trieste continuando la sua odissea esistenziale fino alla morte.
(Rivista La Bora, Trieste, 1978)

 

Napoleone Bonaparte (Ajaccio 1769 – Isola di Sant’Elena 1821) ventottenne e già generale del Corpo d’armata fu di passaggio a Trieste il 29 e 30 aprile 1797.
Dallo storico balcone di palazzo Brigido (attualmente in via Pozzo del Mare, 1) affacciato su Piazza Grande (oggi dell’Unità) assistette a un’improvvisata parata militare in suo onore con un terribile mal di denti.
Già di pessimo umore si offese moltissimo quando ricevette in dono dalle autorità municipali un cavallo lipizzano poiché la larga e possente schiena della pregiata razza equina non gli avrebbe permesso una dignitosa monta a causa della sua altezza (1,55 m.) e delle sue gambe troppo corte. Durante la brevissima permanenza in città ebbe comunque modo di compiacersi osservando le fortificazioni costiere erette da Maria Teresa d’Austria.
(Halupca-Veronese, Trieste nascosta, Lint, 2009)

René de Chateaubriand (Saïnt-Malo 1768 – Parigi 1848) l’illustre precursore del romanticismo francese, giunse a Trieste a mezzanotte del 29 luglio 1806.

Alloggiato nella centrale Locanda Grande contattò il console Louis Maurice Séguier per trovare una nave diretta a Smirne.
Durante la sua breve permanenza Chateaubriand ebbe comunque modo di conoscere la borghesia triestina (fu ospite del Governatore austriaco e di Pietro Sartorio) e di visitare San Giusto omaggiando la tomba delle figlie di Luigi XV, rifugiate a Trieste nel 1799 dopo la fuga da Parigi.
Il letterato visconte partì all’alba del 2 agosto: il suo viaggio sarebbe durato un anno. (La Bora)

Stendhal, ovvero il grande romanziere Henry Beyle (Grenoble 1783 – Parigi 1842) arrivò a Trieste il 25 novembre 1830 con la nomina di console di Francia.

Pernottato l’albergo “Zum schwarzen Adler” (oggi in via San Spiridione 2), lo sconosciuto ospite fu però subito notato dalla polizia asburgica che con serrati pedinamenti rese alquanto sgradevole il suo soggiorno. A peggiorarlo contribuirono anche le sferzanti folate di bora, i mancanti successi amorosi con la cantante Carolna Ungher e madame Goeschen e inoltre le non apprezzate tradizioni culinarie servite a suo dire da camerieri “levantini”. Il soggiorno di Stendhal durerà comunque solo tre mesi e dopo aver ricevuto la nomina di ambasciatore partì per Civitavecchia il 24 dicembre 1830. Da qui, dopo un’altra cocente delusione, deciderà di tornarsene ai suoi quartieri parigini.
(Trieste nascosta, ibid.)

Eleonora Duse (Vigevano 1858 – Pittsburg 1924) appena diciottenne ma già animata dal furor sacro della recitazione, nel 1876 venne scritturata a Trieste come seconda attrice nella compagnia di Adolfo Drago.

Tutt’altro che avvenente e troppo enfatica per il gusto del tempo, la Duse raccolse un amaro fiasco per di più rafforzato dai rimbotti del regista e dei colleghi. Nel 1884, già affermata come attrice, ritornò a Trieste con un ingaggio per tutta la stagione di prosa ma continuò a essere contestata da una parte del pubblico per la sua recitazione e le sue pose ancora eccessive. Con apprezzabile autocritica la Duse seppe tuttavia correggere le sue impostazioni troppo marcate e in seguito riuscì a trasmettere grandi emozioni attraverso i personaggi dell’ Adriana Lecouvreur e de La Locandiera. Quando due anni dopo ritornò con la Compagnia della Città di Roma, esplose anche a Trieste il più sfrenato entusiasmo consacrando Eleonora Duse alla sua fama immortale.
(La Bora)

Giosuè Carducci (Valdicastello 1835 – Bologna 1907) organizzò un furtivo viaggio a Trieste assieme a Lina (Carolina Cristofori), sua musa ispiratrice e moglie di un funzionario statale di Rovigo nonché madre di 3 figli.

I due amanti giunsero il 7 luglio 1878 occupando in incognito una stanza dell’albergo “Buon Pastore” (attuale “Hotel Continentale” di via San Nicolò). Ma già il giorno dopo vennero scoperti da un cronista del giornale “L’Indipendente” e la notizia della loro presenza si sparse in un battibaleno. Accompagnati da Attilio Hortis e Giuseppe Caprin, la coppia visitò la città sempre applauditi da una folla festante e chiassosa che non li entusiasmò affatto. Dopo soli quattro giorni il Carducci senza dar a vedere la sua contrarietà partì fra i gioiosi arrivederci dei triestini, ma a Trieste non ritornò mai più.
Il grande poeta in occasione della sua visita a Miramare omaggerà però il fascino del suo bianco castello e la memoria del “puro, forte, bel Massimiliano” nella stupenda elegia delle Odi barbare “Miramar” (1878).
(Trieste nascosta, ibid.)

 

 

James Joyce (Dublino 1882 – Zurigo 1941) l’eccentrico scrittore irlandese arrivò a Trieste nel 1905 facendo immediatamente notare la sua presenza alla polizia. Appena sceso dal treno con la sua fedele Nora Barnacle, nel giardino della stazione centrale s’imbatté casualmente in una zuffa tra marinai inglesi e austriaci e pensando bene di aiutare i suoi compatrioti si buttò nel mucchio. Joyce trascorrerà così la sua prima notte a Trieste in galera mentre Nora attenderà pazientemente il suo ritorno seduta in una panchina.
(La Bora).

Rainer Maria Rilke (Praga 1875 – Val-mont 1926) L’inquieto e tormentato poeta boemo approdò a Trieste nel 1910 come ospite della principessa Marie Thurn und Taxis nel Castello di Duino.
Per quanto la memoria storica dei suoi lunghi soggiorni triestini vanti l’ispirazione delle sue Elegie duinesi alle suggestive atmosfere delle bianche falesie e al fascino dell’antico castello sul mare, Rilke non lo amò mai veramente apprezzandone piuttosto la ricca biblioteca e le frequentazioni dei suoi coltissimi salotti dove poteva incontrare il fior fiore dei letterati. In una lettera del marzo 1912 a Lou Salomé, sua ex-amante e divenuta poi una sincera e affettuosa amica, Rilke si lamentava infatti della desolazione che lo opprimeva e del pessimo clima della zona, incolpandolo (ma ironicamente compiacendosene) dello stato della sua salute. “Questa costante alternanza di bora e scirocco non fa bene ai miei nervi e perdo le forze nel subire ora l’una ora l’altra” scriveva nella lettera a Lou. E ancora: “È vero, Duino non mi ha mai fatto bene, quasi ci fosse qui troppa elettricità dello stesso segno che mi sovraccarica, proprio il contrario della sensazione che sento al mare”(1). Nella sua vita errabonda Rilke, ormai gravemente ammalato, troverà la sua pace nel clima mite e secco del Vallese (Svizzera), recluso nel suo castelletto-fortezza di Muzot.
Dopo però aver concluso la lunga e sofferta stesura delle Die Duineser Elegien e consapevole della sua imminente morte, pieno di riconoscenza per la dolce e romantica principessa Marie che tanto generosamente lo aveva ospitato e sostenuto, le donerà la proprietà del manoscritto (attualmente conservato nell’Archivio di Stato di Trieste) con una dedica che apparirà su tutte le edizioni dell’opera.
Fonte: R. M. Rilke e Lou Andreas Salomé, Epistolario 1897-1926, La Tartaruga edizioni, Milano, 1975

Elegie rilkiane

Concluso il Libro d’ ore, liriche sospese tra le tensioni dello spirito e quelle dei sensi, intensamente vissute con Lou Salomé, il poeta Rainer Maria Rilke cerca nuove espressioni letterarie. Le vicende del pellegrino errante dei Quaderni di Malte Laurids Brigge testimoniano l’inizio di un percorso retrospettivo ma segnano anche una successiva “desertificazione interiore” che arresta la sua creatività.
In seguito all’incontro a Parigi con la principessa Marie von Thurn und Taxis nel dicembre 1909 e alla corrispondenza tra loro intercorsa, il 20 aprile 1910 Rilke raggiunge il castello di Duino, sulle ultime falesie della costiera triestina.
“So di aver pensato che ci doveva essere da qualche parte un castello e dovunque esso fosse, sarebbe stato proprio quello che io allora avevo cercato” rispose compiaciuto all’invito.

lobianco768Alloggiato nella stanza d’angolo tra la cappella e la sala affacciata sulla balconata sospesa sul mare, il poeta rimane immediatamente affascinato dall’atmosfera dell’antico maniero che dalla bianca scogliera domina il golfo tra le lagune venete e le vicine terre d’Istria.
Quando l’anno successivo la principessa Marie lo ospiterà per tutto l’inverno, riaffioreranno in Rilke quelle emozioni che sembravano perdute e si ritroverà immerso nelle memorie del leggendario castello aldilà dei confini del Leidland, dove la vita e la morte si compenetrano nelle segrete trame dell’esistenza.
La sofferta stesura delle Elegie duinesi si protrarrà per oltre dieci anni affiancata da varie profusioni letterarie ed epistolari a testimonianza della sua esistenza errabonda e inquieta, vissuta nella costante ricerca di quel “nessun dove” forse trovato nella silenziosa fortezza svizzera di Muzot.

Nella foto tratta dal libro Dottor Serafico, Editoriale Lloyd e LINT, Trieste, 1999 la principessa Marie Thurn und Taxis e Rainer Maria Rilke all’epoca del loro incontro.

lobianco267

“Castello di Duino – aprile 1910″

“Rilke si risvegliò prendendo lentamente coscienza di dove fosse.
Sentendosi ottimamente riposato da quello che doveva essere stato un buon sonno, si alzò, raggiunse la finestra, e scostando il lembo di una tenda, vide i primi chiarori dell’alba. Chiudendo il bavero della vestaglia sul petto, aprì di poco l’anta, curioso di scorgere il panorama e prendere contatto con il paesaggio. Investito dall’aria odorosa di mare e dall’emozione di quelle felici visioni, decise di sfidare i gelidi albori e afferrare il respiro del giorno nascente.
Si vestì frettolosamente e indossato il cappotto, scese in silenzio cercando l’uscita verso la terrazza intravista al piano sottostante.
Appena giunse nel ballatoio del primo piano, fu fermato dalla voce di un uomo che risaliva la scalinata dal pianoterra.
– Buongiorno dottor Rilke! Avete bisogno di qualcosa?
– Scusate il disturbo, volevo prendere una boccata d’aria. Per la verità non sono abituato ad alzarmi così presto, ma neppure a vedere un’aurora come questa! Pensavo di raggiungere la terrazza ecco, ma non sembra cosa facile in un castello.
– Lo è invece, non hanno catene le porte verso il mare. Del resto chi volete che entri? Da qui si può solo uscire. Seguitemi, prego, siete ben coperto? Fa ancora freddo a quest’ora: le lagune portano un’aria umida e pungente.
Precedendo Rilke di qualche passo, attraversò il salone, e scostato il tendaggio, aprì un’anta della portafinestra.
– Desiderate che aspetti o magari potete chiudere Voi? Come vedete è molto semplice. Io dovrei scendere dai cavalli.
– Grazie mille, signor Carlo, scusatemi ancora.
Quando l’uomo si allontanò, Rainer uscì sulla grande balconata e si trovò sotto la volta indaco del cielo. Verso ponente, risplendeva ancora la luce rossastra di Marte, mentre la falce di luna impallidiva dietro le colline dell’Istria.
Accostatosi alla balaustra, scorse lo strapiombo della scogliera ancora nell’ombra. Decine di gabbiani si alzavano in volo per poi ricadere planando sulle onde che si rincorrevano verso le coste.
Un sibilo di vento proveniente dalle lagune attirò il suo sguardo verso una rocca avvolta da una folta vegetazione. Da un covo pietroso si levò all’improvviso il corpo di uno sparviero che, come spinto da una forza innaturale, eseguì una volata ad arco per poi precipitare in picchiata vicino a lui. Per un attimo Rainer ne incrociò il terribile occhio rosso e d’istinto indietreggiò impaurito, ma l’uccello, con un rapido battito d’ali, si rialzò virando, e scomparve tra i boschi alle spalle del castello.
Verso occidente, aldilà del promontorio roccioso da cui era apparso il rapace, le isole lagunari si allungavano come una barriera naturale del golfo, mentre dietro a esse, la distesa pianeggiante si perdeva fino ai monti alpini ancora innevati, che nella foschia del mattino, sembravano irreali e come sospesi fra il cielo e la terra.
“Profili di vette, creste di tutto il Creato, rosse d’aurora….”(1)
Levando lo sguardo verso un assembramento di rondini di mare, ascoltò i loro striduli canti e il rumore ritmico delle onde. L’eco dei suoni si perdeva verso la scogliera e la lontana città bianca.
Ogni cellula del suo corpo era protesa a cibarsi di una nuova linfa che sentiva scorrere.
“ Getta le tue braccia al vento! Agli spazi che respiriamo….” (2)
Assorto e perduto, sentì offuscarsi quella visione sotto l’umido degli occhi.

Rientrato nella sua stanza si sedette al tavolo, dove trovò già predisposto il necessario per scrivere.
Dopo una decina di pagine, s’avvide del giorno ormai fatto.
Non avrebbe voluto interrompere quel flusso di sensazioni che sgorgavano più veloci di quanto la sua penna scorresse sul foglio, ma non intendeva ritardare la colazione con la principessa Marie, dopo la sua deludente presenza della sera prima.
A malincuore posò la penna e ripose gli scritti nella cartella verde.”

1 – 2 “Elegie duinesi
(tratto da “Le terre di Leidland” inedito di Gabriella Amstici)