Alla vigilia della Grande Guerra la crescita marittima e industriale di Trieste sembrava inarrestabile. I traffici del porto tra il 1900 e il 1912 erano cresciuti del 118%, il maggior tasso di crescita del Mediterraneo e il secondo in Europa dopo Le Havre. Il mercato austriaco assorbiva la maggior parte delle merci ma anche l’Ungheria, la Germania meridionale, la Svizzera, parte della Bosnia-Erzegovina e il Regno d’Italia si servivano dei porti triestini così come le compagnie di navigazione dalmate Tripcovich, Martinolich e Gerolimich.
Il Lloyd Austriaco gestiva le linee passeggeri e di posta veloce con Venezia e con le città della Dalmazia e i suoi bastimenti arrivavano fino al Mar Nero e all’Estremo Oriente.
La linea Austro-Americana dei Fratelli Cosulich si era aggiudicata il mercato degli emigranti verso le Americhe, sue erano le ammiraglie della flotta mercantile asburgica, la Martha Washington e la Kaiser Franz Josef, varate nel Cantiere Navale Triestino di Monfalcone creato dagli stessi Cosulich e la Navigazione Libera Triestina con le sue “navi vagabonde” effettuava dei servizi merci in tutto il mondo.
Tutte le attività portuali godevano di forti sovvenzioni statali e particolari tariffe ferroviarie.
Nell’anno di grazia 1913 fu fondata la Società Pilatura del riso e iniziò a operare la Raffineria petroli di San Sabba con forniture di greggio proveniente dai giacimenti di Galizia e Romania, eppure proprio in quell’anno iniziarono a spirare i venti di guerra. Le guerre balcaniche vennero ritenute delle vicende marginali invece i nuovi confini di Grecia, Montenegro, Romania e Bulgaria erano stati ridefiniti proprio a ridosso di quelli dell’Impero.
Una delle cause che originò il disastroso conflitto mondiale fu la nomina di un nobile tedesco, Wilhelm zu Wied, sul trono dell’Albania, creata nel 1813 per bloccare la possibile espansione serba e russa verso l’Adriatico. I subbugli che esplosero dopo pochi mesi costrinsero il debole re a rifugiarsi in Germania e il governo austriaco a controllare le manovre militari in Bosnia. Per quella rischiosa missione fu incaricato l’erede dell’impero austro-ungarico arciduca Francesco Ferdinando che salpato da Trieste assieme alla moglie Sophie Chotek sulla prestigiosa corazzata “Viribus Unitis”, il 28 giugno 1914 sfilò in gran parata per le vie di Sarajevo ritrovandosi in un corteo pieno di terroristi serbi. I proiettili del giovane Gavrilo Princip seguiti al lancio di una bomba che provocò diversi feriti, causarono la morte immediata dei nobili Asburgo.
La storica nave con le loro salme risalì le coste dalmate e istriane per sbarcare sul molo San Carlo tra una folla sbigottita.
Le conseguenze politiche sembravano tuttavia limitate tra Vienna e Belgrado ma le trattative fallirono per le pressioni austro-tedesche che il 21 luglio spinsero la corte di Vienna alla dichiarazione di guerra contro la Serbia provocando a sorpresa l’immediata mobilitazione della Russia.
Ogni tentativo di fermare il conflitto si rivelerà vano: l’Europa si avviava verso una guerra disastrosa che avrebbe causato un’enormità di morti, stragi, violenze e dittature.
La neutralità dell’Italia proclamata il 31 luglio non durò che pochi mesi.
Nell’aprile dell’anno successivo il presidente del Consiglio Antonio Salandra e il ministro degli Esteri Giorgio Sonnino siglarono a Londra un patto segreto secondo il quale l’Italia si impegnava a entrare in guerra a fianco dell’Intesa (Francia, Inghilterra e Russia) ottenendo in caso di vittoria il Tirolo fino al Brennero, il Trentino, l’Istria, parte della Dalmazia, un protettorato sull’Albania più le città di Gorizia e Trieste. La futura frontiera sarebbe stata fissata da monte Nevoso al mare con l’esclusione di Fiume.
Il 23 maggio 1915 venne dichiarata l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa contro Austria-Ungheria-Germania e a Trieste scoppiò il finimondo. Sul palazzo della Luogotenenza verrà innalzata la bandiera imperiale gialla con l’aquila bicipite nera e le tutte le sedi sospettate di attività irredentiste saranno saccheggiate o bruciate provocando le violente sommosse dei facinorosi liberal-nazionalisti che aizzavano la popolazione sconvolta da quell’odio improvviso e devastatore.
Commercianti, impresari, lavoranti di origine italiana abbandonarono Trieste e molte famiglie sospettate di nazionalismo furono deportate in campi austriaci assieme a quelle provenienti dall’Istria, Fiume e Dalmazia.
Il 23 giugno iniziò la prima violenta battaglia sull’Isonzo. L’esercito italiano comandato dall’inflessibile generale piemontese Luigi Cadorna era costretto ad azioni suicide lottando con l’asprezza del terreno e la mancanza d’acqua: i monti Sabotino, Podgora e San Michele diverranno tristemente famosi per l’enorme perdita di vite umane a cui si sommeranno quelle causate da un’epidemia di colera manifestatasi durante un autunno eccezionalmente piovoso.
Dopo altri 4 sanguinosi attacchi sulle linee del fiume e nonostante l’esercito fosse decimato e provatissimo furono conquistati il massiccio del Pasubio e i monti Nero, Vrata, Polonik e raggiunto l’altopiano di Doberdò.
Dall’inizio della guerra le perdite italiane conteranno 246.400 tra morti e feriti.
Nei primi mesi del 1916, dopo la quinta battaglia dell’Isonzo, le truppe austro-ungariche riusciranno a conquistare le posizioni attorno Oslavia, davanti Gorizia avanzando lentamente verso il Trentino.
Fu un inverno durissimo. I soldati dovevano marciare su cime, forcelle d’alta quota e sentieri ghiacciati o colmi di neve fresca, allestire scale, passerelle, baracche di fortuna e scavare piccole caverne per proteggersi dal gelo. Continue tempeste di neve e slavine paralizzavano le operazioni belliche causando uno spaventoso numero di morti per assideramento.
Le offensive e controffensive svoltesi tra giugno e luglio su Arsiero e Asiago saranno sferrate fra i due eserciti ormai decimati.
Ben peggiori furono però i combattimenti sul fronte del Carso dove il 29 giugno le truppe italiane subiranno un vile attacco notturno con gas asfissianti perdendo 6000 soldati.
Finalmente ad agosto nelle trincee devastate giunsero nuove reclute e armi d’artiglieria e si riusciranno a conquistare i monti San Michele e Sabotino mentre la Terza Armata, condotta da Emanuele Filiberto d’Aosta, occuperà Gorizia costringendo alla ritirata l’esercito nemico.
Dal 14 settembre il generale Cadorna ritenendo favorevoli le circostanze per la liberazione di Trieste ordinerà nuovi attacchi dalle colline del Carso ma alla fine di ottobre saranno sospese ulteriori azioni per l’alto numero di caduti.
Intanto nel castello di Schönbrunn il 21 novembre 1916 dopo quasi settant’anni di regno moriva a 86 anni Francesco Giuseppe. Quando la corona di Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria passò al nipote ventinovenne Carlo I vennero proposte delle trattative di pace ma il 31 dicembre gli stati dell’Intesa le rifiutarono categoricamente.
Nella riunione dello Stato maggiore degli Imperi Centrali nel gennaio 1917, il generale Konrad propose una nuova offensiva contro l’Italia: 23 divisioni avrebbero operato nel Trentino, 19 sul Carso.
In aprile sarà combattuta l’ennesima offensiva su tutto il fronte dell’Isonzo, a luglio Cadorna chiederà l’invio di 40 cannoni, ulteriori 10 divisioni di soldati e di truppe del corpo degli alpini, ma alla fine di agosto, quando l’altopiano di Bainsizza a nord di Gorizia verrà conquistato a prezzo di grandi sacrifici, le operazioni sul Carso saranno improvvisamente sospese.
Ma una dolorosa pagina della nostra storia doveva ancora essere scritta con il sangue dei nostri soldati sparso nell’umiliante sconfitta di Caporetto.
La controffensiva austro-ungarica venne affidata al generale prussiano Otto von Below che dopo aver scoperto il tentativo di armistizio avanzato dall’imperatore Carlo I, la organizzò con precisione e la massima segretezza.
L’attacco fu sferrato all’alba del 24 ottobre davanti Tolmino con penetrazioni oblique e lanci di gas asfissianti che sorpresero le prime linee provocando oltre 10.000 morti e una drammatica ritirata dell’esercito residuo ridotto allo stremo delle forze.
Il 1° novembre tutte le unità saranno adunate alla destra del Tagliamento.
Rimosso Luigi Cadorna, l’esercito italiano con l’apporto di reparti alleati fu affidato al generale napoletano Armando Diaz che in tempi rapidissimi ricostituì la dotazione bellica e riorganizzò l’esercito con postazioni di difesa sul Piave più profonde e scaglionate.
Tra il 14 e il 15 giugno 1918 inizierà la battaglia del Solstizio su un fronte di 100 chilometri lungo tutta la linea del Piave. Dopo alterne vicende e una prima vittoria, a luglio l’esercito riuscirà a conquistare il monte Grappa e Vittorio Veneto costringendo alla resa le forze nemiche il 31 ottobre.
Il 3 novembre sarà firmato l’armistizio a villa giusti a Padova, il 4 novembre cesseranno tutte le ostilità.
L’Impero austro-ungarico è crollato.
Già dalla mattina del 30 ottobre a Trieste iniziarono a correre voci dell’arrivo di navi italiane sulla costa istriana. Nonostante la città fosse ancora sotto il rigido governo del Lungotenente e presidiata da pattuglie austriache, a mezzogiorno un gruppo di giovani invase Piazza Grande sventolando la bandiera bianca, rossa e verde. Dopo pochi istanti le strade saranno invase da una marea di bandiere, fiori e martelli per abbattere le aquile imperiali dagli uffici pubblici.
Alle 19.30 sarà ufficialmente comunicata la liberazione di Trieste.
Il 3 novembre si profileranno all’orizzonte le navi della Marina Militare. Dal cacciatorpediniere “Audace”, attraccato per primo sul molo San Carlo, scenderà il generale Carlo Petitti di Roreto destinato ad assumere la carica di governatore della Venezia-Giulia.
Pochi giorni dopo un enorme tricolore e la bandiera rossa con l’alabarda bianca sventoleranno sui piloni di piazza Unità d’Italia tra la folla in delirio.
(Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia – 130 anni, Il Piccolo, 2012)