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Il Lloyd Austriaco

La maggiore impresa armatoriale di Trieste fu il Lloyd Austriaco, una società di navigazione fondata il 2 agosto 1836 che ebbe una grande influenza per i commerci e le industrie.
L’attività vera e propria iniziò nel maggio del 1837 con il viaggio inaugurale della vaporiera “Arciduca Ludovico” solida nave della nuova linea d’Oriente con una stazza di 320 tonnellate e una forza motrice di cento cavalli vapore.
Autocertificazione 2126L’anno successivo il Governo di Vienna accordò al Lloyd l’esenzione delle tasse erariali in tutti i porti della Monarchia, il divieto di navigazione dei piroscafi stranieri sulle coste dell’Adriatico e tutti gli introiti derivanti dal trasporto della corrispondenza.

In una decina di anni la flotta del Lloyd Austriaco riuscì a possedere 388 velieri e 24 piroscafi di cui il più grande era l’ “Austria” con 360 cavalli-forza.
Autocertificazione 2127Nell’attesa del perfezionamento e dello sviluppo delle navi a vapore, sulle rotte marittime di lungo corso navigavano ancora i velieri portando grandi quantità di granaglie dal Levante e il Mar Nero, di prodotti vari dalla Siria e dall’Egitto e di carbone e ferro dall’Inghilterra.
Nella foto un tipico vapore del lloyd destinato ai viaggi per l’Oriente
Foto pag 190
La marina del Litorale traeva pure degli ottimi guadagni con i commerci di grano, cotone e petrolio tra il Nord America a l’Europa e di vini, farine tra il Sud America e i vari porti europei.
Inoltre la guerra di Crimea scoppiata nel 1853 non solo arricchì gli armatori triestini con i continui rifornimenti nelle zone belliche ma li indusse a noleggiare navi e bastimenti disponibili su tutto il Litorale austriaco movimentando un colossale giro di denaro che originò il moto: “Guerra lontana, affari d’oro”.

Nello stesso anno il Lloyd decise di allestire un proprio arsenale sulla costiera di Sant’Andrea dove per i successivi decenni sarebbero state costruite le più belle e agili navi per solcare le acque del Mediterraneo destinate a ottenere una fama mondiale.
Nella foto la litografia da un disegno dal vero di V. Stranski che rappresenta la posa della prima pietra dell’ Arsenale del Lloyd alla presenza dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo:
Autocertificazione 2128Alla fine del 1866 la marina austriaca contava ben 495 velieri a lungo corso ma si trovò a fronteggiare la concorrenza dei piroscafi che con il perfezionamento delle macchine a vapore divennero concorrenziali.

Dopo l’apertura del canale di Suez nel 1869 i velieri si trovarono in grande difficoltà anche per le ingenti spese di rimorchio e quando venne introdotta la macchina a triplice espansione furono lentamente costretti al disarmo.

Iniziò così un vasto programma di rinnovamento della flotta e il Lloyd iniziò a costruire e ad affittare piroscafi a scafo metallico e di maggiore tonnellaggio per poter affrontare i mercati dell’India e dell’Estremo Oriente. Già l’anno successivo venne istituita la linea Trieste-Bombay successivamente prolungata verso Calcutta, Singapore e Hong Kong.

Nel 1880 venne posta la prima pietra del monumentale palazzo di piazza Grande come sede centrale del Lloyd; progettato dall’architetto Enrico Ferstel fu concluso nel 1883.
55[1]Dopo soli 3 anni la Società vantava 86 navi proseguendo senza sosta con allestimenti di grande tonnellaggio e l’impiego di macchine a triplice espansione con l’uso dell’acciaio al posto del ferro per rendere gli scafi più leggeri.
Nella foto un varo navale nell’Arsenale del Lloyd alla fine dell’Ottocento:
Autocertificazione 2129Nel primo decennio del Novecento la flotta fu rinnovata e ulteriormente ingrandita divenendo una delle maggiori compagnie di navigazione del mondo.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale il Lloyd Austriaco si trovava all’apice della sua floridezza.

Fonte e foto: Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1972

I primi piroscafi a vapore

Nel periodo delle tre occupazioni francesi avvenute tra il 1797 e il 1812 le agevolazioni del Porto Franco furono soppresse e la moneta ebbe una repentina svalutazione provocando una battuta d’arresto in tutti i traffici commerciali.
Dopo il ritorno del dominio austriaco il 13 ottobre 1813 con il ripristino del Porto Franco, l’Impero dovette affrontare la ricostruzione della marina mercantile e il riadattamento delle navi devastate dai corsari che avevano imperversato l’Adriatico.
Il porto si estendeva allora dal molo San Carlo (nota 1) fino al Molo Teresiano (nota 2) di Campo Marzio e comprendeva anche il Canal Grande (nota 3) dove potevano stazionare anche 30 bastimenti.
Nelle stampe l’imbocco del Canal Grande alla fine del Settecento e il ponte-levatoio in legno dipinto di rosso all’inizio dell’Ottocento: Autocertificazione 2065

Autocertificazione 2066Mentre in altri stati marittimi la navigazione a vapore aveva già un notevole sviluppo, l’Austria non possedeva ancora un solo piroscafo in grado di viaggiare contro corrente.
Nel novembre del 1817 il governo di Vienna diramò allora l’invito a organizzare una linea di navigazione con la garanzia di un esercizio esclusivo ed esente da dazi.
Tale opportunità fu colta da John Allen, un americano di Filadelfia stabilitosi in quegli anni a Trieste, che deciso a iniziare un regolare servizio con Venezia, commissionò allo squero Panfili un battello con l’alimentazione a carbone.
Dopo un anno, il 2 novembre del 1818, avvenne il varo del primo piroscafo a vapore al quale fu dato il nome di “Carolina” in onore dell’imperatrice Carolina di Baviera, IV consorte dell’imperatore Francesco I (1768-1835).
Autocertificazione 2061Nel primo viaggio di prova molti assistettero al giro in mare del “prodigioso vascello” come allora fu definito, ma pochissimi ebbero il coraggio di salirvi. Quando la sicurezza del mezzo fu certa, la seconda uscita in mare accolse una sessantina di passeggeri entusiasmati dalla velocità di quel mezzo capace di percorrere 18 miglia in 2 ore.
Poco dopo iniziò il regolare servizio con Venezia e nel 1821 un socio di John Allen fece allestire un secondo piroscafo di maggiore dimensione e rivestito in rame, con una portata di 100 tonnellate e lo spazio per trasportare 4 carrozze. (nota 4)
Nonostante la durata dei viaggi da Trieste a Venezia fosse di ben 11 ore e mezza, la linea ebbe uno strepitoso successo e i collegamenti furono via via più frequenti.

Nella stampa l’antico molo San Carlo dove attraccavano sia navi mercantili che passeggeri
Autocertificazione 2063Il Canal Grande con il Ponte Rosso che fu ricostruito in ferro nel 1832
Autocertificazione 2069Nella prima metà dell’Ottocento, oltre all’ innovativa linea passeggeri, la marineria triestina trasse un forte impulso da quattro diverse circostanze legate ad avvenimenti di grande portata che tratteremo nel prossimo articolo.

Note:

1. Molo San Carlo fu costruito tra il 1743 e il 1751 sopra la carcassa della fregata San Carlo rimasta incagliata davanti le rive nel 1737; allora il molo misurava solo 95 metri di lunghezza; nel 1778 venne allungato di 19 metri e tra il 1860 e il 1832 di ulteriori 132, raggiungendo quindi complessivamente 246 metri;

2. Il Molo Maggiore fu costruito nel 1751 e venne chiamato Teresiano in onore dell’Imperatrice d’Austria e Molo della Lanterna dopo la sua entrata in funzione nel 1833;

3. Il canale fu scavato per ordine di Maria Teresa nel 1754 sui fondi delle antiche saline;

4. Con molta fantasia il nuovo piroscafo fu chiamato “Carolina II”; disponeva di una camera provvista di letti per il riposo delle signore, una grande stanza con i sofà per gli uomini e una sala più economica con sole sedie. Il pachebotto provvisto di 2 caldaie navigava per mezzo di due ruote esterne fornite di 8 palette simili a quelle dei mulini.

Notizie e foto da: Enciclopedia monografica del FVG

Gli inizi del Porto Franco

Dopo la proclamazione di Porto Franco, nei primi decenni del Settecento Trieste era ancora rinchiusa tra le mura medievali, contava appena 4.000 abitanti e avendo un sistema doganale male organizzato, non riusciva a immagazzinare grandi quantità di merci e in conseguenza i prezzi rimanevano elevati.
Nella foto il particolare di una stampa settecentesca con uno dei primi squeri a ridosso delle mura di Trieste:
Autocertificazione 2058Quando nel 1719 Carlo VI istituì la Compagnia privilegiata Orientale, Trieste disponeva di un discreto numero di navi che viaggiavano verso i porti dell’Adriatico, ma sebbene ne fosse stata dichiarata la Libera circolazione fin dal 1717, si verificavano pesanti controlli fiscali e frequenti vessazioni da parte dei Veneziani. Gli incidenti di navigazione e le continue ruberie incisero sulle già ingenti spese assicurative costringendo la Compagnia a vendere alcuni navi all’ estero.
Né si rivelò felice la decisione di stabilire la direzione della Compagnia a Vienna, che pur competente nelle amministrazioni e negli affari, non aveva cognizioni sui viaggi marittimi e i loro equipaggi, sul carico e scarico delle merci e sulle incognite delle piazze levantine.

Ben diversa era invece la situazione della Compagnia di Ostenda (chiamata inizialmente “Compagnia imperiale e reale delle Indie”) (nota 1) fondata nel 1722 e fornita di privilegi doganali trentennali e del Monopolio per il commercio con le Indie orientali e occidentali, con l’Africa e le due parti del Capo di Buona Speranza.
Quando Carlo VI e il conte Karl von Zinzendorf (nota 2) pensarono di trasferire la sede a Trieste venne però valutato il pericolo dei continui atti di pirateria dei Barbareschi, spietati corsari che imperversavano in tutto il Mediterraneo, e soprattutto dell’inadeguatezza del suo piccolo porto per il transito di navi più grandi. (nota 3)

Abbandonata l’idea del trasferimento ma sempre decisa a organizzare una grande navigazione, la Corte di Vienna nel 1731  aveva creato a Lubiana un’ Intendenza Commerciale per il Litorale che in seguito beneficiò dei privilegi concessi da Maria Teresa (Vienna 1717-1780) divenuta Imperatrice nel 1740.
(Foto Pinterest) 120093_imagno
Nel 1760 la flotta mercantile di Trieste possedeva 15 navi superiori alle 100 tonnellate, 26 minori con 280 uomini di equipaggio, ancora poco per un Emporio all’inizio della sua attività.
Divenne così impellente la necessità di creare una flotta più consistente con il reclutamento di marinai istriani e dalmati.

Solo intorno al 1770, cinquant’anni dopo la proclamazione di Porto Franco, furono disponibili navi di lungo corso e dopo qualche anno iniziò l’attività della Compagnia Imperiale Asiatica di Trieste (chiamata anche delle Indie Orientali) con lo scopo di smerciare manifatture austriache e importare prodotti indiani.

Nel 1781, in seguito a contrasti gestionali la Compagnia fu dismessa e rifondata con la “Société Impériale pour le Commerce Asiatique de Trieste et d’Anvers” le cui direzioni e uffici risiedevano sia a Trieste che nella città dei Paesi Bassi (Belgio).
Dopo soli 2 anni la flotta navale disponeva di 12 velieri d’alto mare per le rotte nelle Indie Orientali e in Cina. (nota 4)

Dopo alcuni anni di ottimi dividendi tra Vienna e Trieste, la Compagnia perse alcune navi e in aggiunta alle elevatissime spese fisse si trovò coinvolta in rivalità, speculazioni e a progressivi aumenti dei prezzi delle merci. Le fattorie austriache costituite in Asia vennero via via smantellate fino al crollo dell’impresa e alla dichiarazione di fallimento nel 1785.

Così a Trieste fu deciso di accantonare i viaggi verso la Cina e le Indie orientali e di puntare gli interessi commerciali verso il Mediterraneo, la Siria e l’Egitto. Autocertificazione 2048

Foto Nella foto una stampa che raffigura la città e il porto nel 1786
(continua nel prossimo articolo)

Note:

1. Nei Paesi Bassi austriaci sul mare del Nord, dove oggi c’è il Belgio;

2. Sciolta l’intendenza Commerciale e restituita l’autonomia di Trieste, Karl von Zinzendorf fu il primo Governatore di Trieste, carica che ricoprì dal 1776 al 1782;

3. Ecco quanto riportavano sull’ argomento le cronache del tempo:
“Le navi mercantili faticano a penetrare in Porto e spesso non ci riescono; tre galere vuote e immobili ingombrano il porto nel mezzo; la fregata “san Carlo” con la carcassa semiaffondata ne ostruisce l’ingresso”;
Nella foto una ricostruzione della fregata San Carlo al Museo Storico Navale di Venezia:
Sezione-Longitudinale-Della-Fregata-San-Carlo-Museo[1]

4. La prima nave della nuova società fu la “Stadt Wien”; partita nel 1781 ritornò a Trieste dopo ben 19 mesi con carichi di caffè, zucchero, sale, ortaggi e pellami;

Fonte:
Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1972

Ostriche e vini alla Corte di Vienna

Quando nel 1717 l’Impero Austriaco stava valutando di elargire a Fiume le franchigie doganali, il Consiglio Grande si allertò decidendo di inviare in trasferta prima a Graz e poi a Vienna il barone Gabriele Marenzi e il notaio Giovanni Casimiro Donadoni al fine di perorare la concessione di Porto Franco anche a Trieste.

Nelle foto l’imperatore Carlo VI d’Asburgo (Vienna 1685- 1740) e la Patente di commercio per la Libera navigazione nell’Adriatico emanata il 2 giugno 1717.
Carlo_VI[1]Autocertificazione 2044

Prevedendo lunghi soggiorni per coltivare le pubbliche relazioni e notevoli spese “per ungere le ruote” delle trattative, i nostri delegati si servirono alla grande delle generose donazioni dell’élite triestina e nel corso delle loro trasferte sottoscrissero delle note spese stratosferiche.
Infatti oltre al costi delle diarie e dei pernottamenti, durati oltre 6 mesi, figuravano consegne di innumerevoli orne di pregiati vini come il Prosecco, il Moscato e il Marzamino, le cui vigne erano allora coltivate in città e sui colli della costiera, più un assortimento di liquori vari e addirittura delle prelibatissime “ostriche di palo” allevate nel golfo. Non è dato sapere come i delicati molluschi potessero essere giunti freschi fino a Vienna ma per fortuna non pervennero notizie di particolari epidemie tifoidee.

Oltre ai costosi viaggi in diligenza tra Graz e Vienna, non si risparmiò sugli omaggi all’entourage dei ministri e persino dei loro servitori ma neanche sugli studi dei fondali marini, su una serie di mappe, piante e disegni dell’area portuale con tutte le possibilità di una futura espansione urbanistica.

I risultati di cotanto lavoro e degli ingenti costi però non si fecero attendere molto e il 18 marzo 1719 l’Imperatore Carlo VI d’Asburgo firmò la concessione di Porto Franco anche a Trieste con relativi privilegi fiscali e doganali.
Nello stesso anno venne fondata anche la Compagnia orientale per il commercio con il Levante.

Nella foto la Patente imperiale di Porto Franco Autocertificazione 2043L’intraprendente avvocato Donadoni provvide pure a stilare dettagliate notizie sui porti, le coste e le correnti marine del Litorale austriaco chiedendo come controfferta ulteriori aiuti e privilegi che portarono alla nascita del grande Emporio Commerciale e all’inarrestabile sviluppo di magazzini sia imperiali che privati.

Insomma le argomentazioni dei nostri delegati, a prescindere dalle ostriche e dalle orne di vini, dovevano essere state efficaci e davvero persuasive se Trieste riuscì a ottenere in breve tempo gli strumenti legislativi che la condussero alla futura grande espansione portuale e urbana della città.

Nel celebre quadro a olio di Cesare dell’Acqua del 1855, commissionato dal barone Revoltella, è rappresentato l’arrivo a cavallo del nobile Casimiro Donadoni con la notizia dell’importante concessione imperiale.
foto[1]Nel 1727 in piazza San Pietro venne innalzata la colonna con la statua dell’imperatore Carlo VI; realizzata in legno e dipinta in oro venne poi fusa in bronzo e scolpita in pietra nel 1756.

Nella foto (Wikimedia.Commons) la statua in piazza dell’Unità.Trieste_Carlo_VI[1]

 

Nelle due antiche stampe risalenti tra il Sei-Settecento Trieste ancora chiusa tra le mura medievali con accanto le saline.
Autocertificazione 2045

Autocertificazione 2047Un disegno di un viaggiatore francese nella seconda metà del Settecento con lo scorcio del porto e i I ORTI DI TRIESTE lavoranti multietnici:
Autocertificazione 2042

Altre notizie su: https://quitrieste.it/i-porti-di-trieste/

Fonti:
Pietro Covre, Cronache di patrizi triestini, Tipografia Moderna, Trieste, 1975;
Foto delle stampe dall’ Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1972

Villa Moore – Borahall

Questa imponente villa di via Bazzoni, risale nientemeno che al Settecento, quando la collinetta di San Vito era ancora una spoglia periferia.
(Foto collezione di S. degli Ivanissevich)Autocertificazione 2991Acquistata nel 1833 dallo scozzese George Moore, console degli Stati Uniti e appassionato botanico, il suo giardino fu arricchito con cedri, conifere, siepi di bosso e piante rare. La magnifica villa, ribattezza Borahall per essere battuta dai venti, ospitava l’élite del tempo e naturalmente i connazionali residenti a Trieste.

Quando nell’agosto del 1800 si preannunciò la visita dell’ammiraglio Horatio Nelson, reduce dalla gloriosa battaglia del Nilo, Sir Moore organizzò in suo onore una serie di feste e banchetti di cui in città se ne parlò a lungo.
(Nella foto Pinterest i ritratti di Nelson e Lady Hamilton)Admiral-Nelson[1]412451a85f4a7a856fd3555d28c8b142[1]Non meno chiacchierata fu la presenza della sua avvenente amante trentacinquenne Emma Lyon, conosciuta, oltre che dai suoi trascorsi nei bordelli e dalle frequentazioni di vari aristocratici letti, come Lady Hamilton per il matrimonio di sette anni prima con l’anziano Sir William, ambasciatore inglese a Napoli che tollerò il legame con il più giovane ammiraglio e che comunque morì nel 1803.
La storia narra che Lady Hamilton fosse molto devota a Horatio Nelson nonostante il suo precoce invecchiamento e la perdita in battaglia di un occhio e un braccio, ma il loro amore non ebbe una vita lunga. Nella vittoriosa quanto sanguinosa battaglia di Trafalgar nel 1805 l’ammiraglio inglese fu colpito a morte da un tiratore francese e il suo cadavere venne conservato in una botte di rum fino al rientro in Inghilterra, dove ricevette i funerali di Stato.

Lady Hamilton dilapidò presto le sue ricchezze e dopo essere stata imprigionata per debiti, visse in miseria gli ultimi anni della sua vita e dandosi smodatamente al bere morì cinquantenne per insufficienza epatica.

A Villa Borahall visse poi anni felici la famiglia Slataper prima del tracollo economico del padre Luigi, commerciante di vetri e cristalli, e del trasferimento nella più modesta villa Pettinello di via Chiadino nel 1899.

Nella foto di scopritrieste.com la villa com’è oggi (tra la via de Fin e Cappello)Villa-Moore[1]

Fonti:

Silvio Rutteri, Trieste spunti dal suo passato, Ed. Lint, Trieste, 1975 – A. Seri e S. degli Ivanissevich, San Vito, Ed. Italo Svevo, Trieste, 2009 –  Wikipedia

Il castelletto di Miramare

Nell’attesa del completamento del castello di Miramare, l’arciduca Massimiliano d’Asburgo incaricò l’architetto Carl Junker di progettare nel parco un’elegante villa per risiedervi nei primi tempi del matrimonio con Carlotta.
Nella foto un disegno di Rieger che rappresenta la costruzione del castello nel 1857 (nota 1).
lobianco721Il Klein Schloss, chiamato anche Gartenhaus, aveva lo stesso stile del castello ma in scala ridotta e venne eretto sul promontorio sopra il porticciolo di Grignano, prospicente un belvedere sul golfo, un parterre abbellito da alberi e una zampillante fontana.
Nella foto (beniculturali.it) come si presentava originariamente il castelletto
e187427288b043adb96c7fbe107b8b2f.1L’edificio a due piani comprendeva una pergolata all’ingresso, una terrazza panoramica e due balconcini al secondo piano mentre dalla base svettava una torretta merlata.
Nelle foto (beniculturali.it) un’immagine più recente del castelletto e la scala verso il primo piano.
Autocertificazione 2001Autocertificazione 2999Nonostante la ristrettezza degli ambienti, Massimiliano volle arredarli con abbondanza di quadri, pesanti tendaggi, mobili, suppellettili, poltrone e sedie in un insieme piuttosto opprimente anche per la presenza di oggetti personali che l’arciduca conservava in ricordo dei suoi viaggi.
Nelle foto (di Ceregato & Trebse) si può notare il gusto borghese di alcune sale, addirittura piuttosto sobrio nella stanza nuziale.
Autocertificazione 2003Autocertificazione 2006Autocertificazione 2005Autocertificazione 2004Oltre alla sala nordica e a quella fiamminga decorate con motivi floreali, fu arredato anche un salottino turco- moresco proveniente da villa Lazarovich, prima residenza triestina di Massimiliano. (nota 2)
Qui il bell’arciduca amava ricevere i suoi ospiti agghindato con abiti orientali, bevendo il caffè turco e fumando il narghilè.
(Foto di Ceregato & Trebse)
Autocertificazione 2998Nella foto sottostante un dipinto di Germano Prosdocimi con il progetto della sala turca per villa Lazarovich e in parte poi riprodotta nel castelletto.
Autocertificazione 2019Nel Gartenhaus di Miramare Massimiliano e Carlotta vissero forse gli unici momenti felici del loro matrimonio, avvenuto con grande sfarzo a Bruxelles nel luglio del 1857.
Dopo i due anni trascorsi a Milano, nel 1859 e il trasloco da villa Lazarovich abiteranno qui per un breve periodo prima del trasferimento al castello nel dicembre 1860 (nota 3).

Ancora nel Klein Schloss Massimiliano, già nominato Imperatore del Messico, si rinchiuderà per tre misteriosi giorni prima di salpare alla volta del Centro America nell’ aprile del 1864.
Come riporta la storia, dal 1866 al 1867 nel castelletto verrà segregata Carlotta poco dopo il suo ritorno dal Messico e i viaggi tra le corti di Francia, Austria e Vaticano nella vana ricerca di aiuti per impedire lo sfascio del loro Impero.

L’eredità del castello con il parco e il Gartenhaus sarebbe stata destinata all’Imperatrice Carlotta, che ne deteneva già la metà, ma il testamento sottoscritto da Max fu corretto per volontà di Francesco Giuseppe (nota 4) che dopo la morte del fratello e la follia della cognata riservò ogni possesso alla Casa d’Austria.

Dopo lo scoppio della guerra tutti gli arredi di Miramare vennero portati a Vienna ma quando nel 1924 il comprensorio passò al Demanio Italiano il Governo reclamò all’Austria la restituzione di ogni cosa.

Negli anni Trenta il castelletto venne aperto al pubblico con tutti gli arredi non voluti dal duca Amedeo di Savoia-Aosta quando soggiornò a Miramare.

Dopo l’insediamento del 1973 del WWF e la realizzazione dell’Oasi, nel 1988 sarà istituita l’Area Marina Protetta che nel 1996 stabilirà a la propria sede proprio nel Castelletto di Miramare in consegna alla Soprintendenza per i beni Storici Artistici.

Nel 2015 sarà ordinato dall’Intendente lo sgombero di tutti i locali prevedendo in un prossimo futuro il riallestimento originale del Gartenhaus per arricchire ulteriormente gli splendidi luoghi di Miramare con tutte le sue tormentate storie.

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Note:

1. L’acquerello su carta che riporta la scritta “Miramar in November 1857”, illustra l’avanzamento dei lavori con le arcate inferiori del castello, il porticciolo già protetto dal molo; sulla sinistra si nota la casa dove alloggiavano i lavoranti;

2. Massimiliano abitò saltuariamente in villa Lazarovich tra il 1852 al 1960; molti arredi confluirono nel castello di Miramare; dopo una radicale ristrutturazione la residenza è tuttora esistente in via Tigor 23;

3. Abitarono solo al primo piano in quanto il secondo era ancora in costruzione;

4. All’apertura del testamento l’imperatore Francesco Giuseppe aggiunse la strana notizia che Massimiliano aveva ricevuto la notizia della morte di Carlotta e corresse il nome dell’esecutore sottoscrivendo il suo.

Fonti:
Bollettino d’Arte del Ministero dei beni culturali
L. Ruaro Loseri, Massimiliano da Trieste al Messico, Ed. LINT, Trieste, 1986

A Trieste il primo Atlante Lunare

Nel 1895 Trieste ospitò Johann Nepomuk Krieger (1865 – 1902), un eccezionale astrofisico divenuto poi famoso in tutto il mondo.
(Foto da Enciclopedia monografica del FVG) 300px-AA_Krieger01[1]Nato in un Land della Baviera, a vent’anni vendette la birreria ereditata dal padre per trasferirsi a Monaco dedicandosi con passione agli studi di astronomia. (nota 1)
Qui si costruì un osservatorio privato fornito di un potente telescopio per scrutare la Luna dalla quale era irresistibilmente attratto. (nota 2)
Nel 1895 decise di trasferirsi a Trieste ritenendo migliore il suo clima e la visione del cielo, scegliendo un’elegante villa sul colle di San Vito ubicata in via Alice 6 (nota 2), allora piuttosto isolata dalla città ma in una posizione aperta e senza le rifrazioni dell’illuminazione pubblica.
La villa Pia Sternwarte in una foto d’epoca (da Enciclopedia Monografica del FVG)Autocertificazione 2014Progettato sulla torretta una sorta di osservatorio e installatovi il telescopio Reinfelder, iniziò a studiare la possibilità di stilare una serie di cartografie lunari con un metodo da lui stesso escogitato.
(Foto da divulgazione.uai.it)300px-AA_Krieger03[1]

Il Krieger passò così notti su notti nella specola attaccato all’oculare del rifrattore usando massime aperture e forti ingrandimenti per cogliere tutti i particolari della superficie lunare.
Scattate una serie di fotografie settoriali le stampava poi a basso contrasto per poter apporvi accurati disegni a matita e carboncino che riproducevano i particolari notati nelle visioni telescopiche.

Dopo un estenuante lavoro nel corso del 1897 riuscì a eseguire 103 disegni, l’anno successivo ne completò 458 continuando questa produttività per tutto il 1899.
Nel 1898 Krieger riuscì a pubblicarne il primo volume dell’Atlante contenente 28 tavole con un risultato esteticamente gradevole e meticoloso che fino allora non era stato raggiunto da nessun astronomo.
La speranza di completare le mappe dell’intera superficie lunare però non si avverrò e nel 1901 la sua salute, compromessa per le prolungate permanenze al freddo della specola, si aggravò a tal punto da essere costretto ad abbandonare Trieste trasferendosi nel clima mite di Sanremo.
Dopo un calvario in vari sanatori italiani Krieger morì a soli 37 anni lasciando la moglie e un figlio in tenera età.

I cento disegni delle mappe, in parte anche incompleti, vennero visionati dal professor Hugo von Seelinger poi affidati per il completamento all’astrofilo Rudolf König, vennero infine stampati nel 1912 dall’ Accademia delle Scienze di Vienna con il titolo Mond- Atlas.
Autocertificazione 2018In riconoscimento dell’importante lavoro svolto da Johann Krieger, nel 1935 la Comunità Astronomica Internazionale gli dedicò un cratere lunare con il suo nome. (nota 4)
600px-AA_Krieger08[1]Prima della sua partenza da Trieste lo stesso Krieger donò il telescopio Reinfelder all’Imperial Regio Osservatorio marittimo (nota 5) nel castelletto Basevi di via Tiepolo, oggi denominato Istituto Nazionale di Astrofisica, dove ancora oggi si trova. (nota 6)
Osservatorio%20Astronomico[1]Note:

1. Non avendo perseguito studi classici di astronomia Margherita Hack lo definì un “astrofilo” compiacendosi dei brillanti risultati da lui ottenuti;

2. Costruito dalla ditta “Reinfelder und Hertel” aveva un rifrattore con una lente da 254 mm di diametro e una lunghezza focale di 3580 mm.;

3. La villa chiamata Pia Sternwarte, dal nome della moglie di Krieger, fu costruita da Isidoro Piani nel 1892; è tuttora esistente in via Don Minzoni seppure ristrutturata e nascosta dagli alberi dei giardini circostanti;

4. Il cratere Krieger, situato a Ovest della Luna, ha un diametro di 23 km e una profondità di 1000 metri;

5. Dal 1923 denominato Regio Osservatorio Astronomico e dal 1946 Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF);

6. Il rifrattore Reinfelder fu revisionato nel 2007.

Fonti:
Margherita Hack, “Il cielo della regione” da un articolo pubblicato sull’Enciclopedia Monografica del FVG;
A. Seri, S. degli Ivanissevich, San Vito, Ed. Svevo, Trieste, 2009;
divulgazione.uai.it

Lucia Joyce

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Nonostante la nascita della piccola Lucia il 26 luglio, l’estate del 1907 fu molto tormentata per la famiglia Joyce.
Non solo il loro unico sostentamento consisteva nel modesto stipendio di James alla Berlitz School, mancandogli richieste di lezioni private e di articoli giornalistici, ma si frammisero pure dei problemi di salute.
Afflitto da dolorose febbri reumatiche e da problemi oculistici, Joyce sarà ricoverato per un mese all’Ospedale municipale e a casa ne trascorrerà un altro di convalescenza. (nota 1)
Nora stentava a riprendersi dal parto e dopo essere stata dimessa dall’ospedale con un misero sussidio di 25 corone, sofferse una serie di febbri che la costrinsero a sospendere l’allattamento della bambina.

Sfrattati un’altra volta per morosità, i Joyce furono costretti a traslocare sistemandosi in due camere ammobiliate di una vecchia palazzina del Corso. (nota 2)
La loro vita divenne così sempre più difficile tra la miseria, gli abusi alcolici di James e i malumori di Nora, eppure nonostante tutto la coppia riusciva a rimanere unita se non altro per una forte quanto reciproca attrazione sessuale che allentava i continui litigi.
Superati i problemi di salute, Joyce sarà assunto alla Scuola di Commercio Revoltella migliorando notevolmente la situazione finanziaria della famiglia.

Giorgio e Lucia intanto crescevano tra l’interesse fluttuante del padre, concentrato sui suoi scritti e le svagatezze della madre. Iscritti alla scuola Parini, la frequentarono senza risultati eccelsi ma anche senza difficoltà, anzi, si integrarono benissimo imparando talmente bene il dialetto triestino da parlarlo fluidamente.
(Nella Foto Nora con Giorgio e Lucia nel 1918)nora_kids[1]Divenuta una bellissima adolescente, seppur affetta da un leggero strabismo, Lucia iniziò ad avere delle incomprensioni con la madre e dei comportamenti stravaganti. Se le liti, le instabilità della famiglia con i continui trasferimenti di domicilio erano delle concause per il senso di provvisorietà e insicurezza non potevano essere altrettanto imputabili per i disturbi nervosi emersi negli ultimi anni trascorsi a Trieste.

Dopo la definitiva partenza dei Joyce e il trasferimento a Parigi, Lucia troverà delle forme espressive nella danza, cui si dedicò dal 1923 al 1929 per poi frequentare una scuola di disegno, abbandonata per aver deciso di scrivere un romanzo.
lucia-joyce[1]A peggiorare ulteriormente le sue condizioni psichiche fu l’infatuazione per il giovane irlandese Samuel Beckett, allora insegnante alla École Normale Supérieure e collaboratore di James Joyce per la traduzione in francese delle pagine già scritte del Finnegans Wake.
Frequentando la loro casa, Samuel si era offerto di accompagnare Lucia in teatri e ristoranti ma oltre a non esserne innamorato, si accorse della sua instabilità ormai rasente la pazzia.
Quando nel 1930 decise di interrompere i loro rapporti, la ragazza scivolò verso un punto di non ritorno. (nota 3)
Fu anche avanzata l’ipotesi, mai confermata, che si fossero aggiunti dei problemi di salute conseguenti a un aborto, comunque fu accertato che dopo la brusca rottura con Beckett Lucia si abbandonerà a una serie di relazioni promiscue. (nota 4)
La sua situazione non migliorerà nemmeno dopo il breve fidanzamento con Alec Ponisovsky, anzi, da allora alternerà momenti di catatonia a lunghe, sconclusionate affabulazioni. (nota 5)

Tormentato dai sensi di colpa James tenterà l’impossibile per prendersi cura della figlia sia occupandosene in prima persona che girando l’Europa alla ricerca di specialisti e di soluzioni alternative al ricovero.
57a816c2125a0eba4a4c163a1612246b[1]Alla fine del 1936, dopo alcuni tentativi di suicidio, Lucia sarà internata coattivamente in una casa di cura fuori Parigi, dove il padre la raggiungerà ogni settimana.
“Schizofrenica, con elementi pitiatici, catatonica, nevrotica con ciclotimia, schizofrenica” saranno le diagnosi più frequenti dei molti medici che la visiteranno. (nota 6)

Scoppiata la guerra, mal ridotto in salute e profondamente depresso, alla fine del 1940 James sarà costretto a trasferirsi a Zurigo con Nora e il figlio Giorgio con l’intenzione di trasferirvi anche Lucia.
Il 9 gennaio 1941, a poche settimane dal suo arrivo, in preda ad atroci dolori sarà operato per la perforazione di un’ulcera duodenale. Nella notte del 12 le sue condizioni precipiteranno e alle 2.15 del giorno 13 passerà dal coma alla morte.

Lucia apprenderà la notizia da un giornale e solo dopo parecchio tempo dirà a un visitatore: «Cosa sta facendo sotto terra quell’imbecille? Quando si deciderà di andarsene? Ci sta guardando tutto il tempo» (nota 7), uno sbottare che spiega molto del suo sentirsi ancora perseguitata dalla figura paterna.
In balia di una madre e un fratello che si disinteresseranno di lei (nota 8), accudita solo da un paio di amiche, Lucia sarà trasferita al St. Andrew’s Hospital di Northampton (Inghilterra).
(Nella foto l’ospedale psichiatrico)Main_Building_without_cars_and_flagpole_800x530[1]Dopo la morte avvenuta a 75 anni il 12 dicembre 1982, sarà sepolta nel cimitero della città, lontana da tutti i Joyce.
dbImage[1]NOTE:

1. Nel testo JAMES JOYCE Gli anni di Bloom il professor John McCourt avanza l’ipotesi che lo scrittore potesse essere stato afflitto dalla sifilide, il cui esordio potrebbe risalire al maggio dello stesso anno e le cui conseguenze si sarebbero manifestate con altre ricadute nel corso della vita;

2. Al primo piano del palazzetto tra il Corso e via Santa Caterina; qui James Joyce scrisse l’episodio “I Morti” dell’ Ulisse;

3. Negli anni successivi Beckett manterrà comunque un rapporto epistolare anche se discontinuo con Lucia;

4. Dal testo di C.L. Shloss, Lucia Joyce. To Dance in the Wake;
5. Ivi
6. Ivi
7. Ivi

8. Nora Barnacle morirà a Zurigo nel 1951

FONTI:

John McCourt, JAMES JOYCE Gli anni di Bloom, A.Mondadori Ed., Milano, 2004
Per le note relative al testo cit. della Shloss:
http://www.humantrainer.com/articoli/danza-drammatica-padre-figlia.html

Franz Liszt al Castello di Duino

1300195706805_Foto_1_Franz_Liszt_-_Collezione_Burger[1]Su una pagina dei diari della giovanissima principessa Marie Hohenlohe (nota 1) fu ricordato l’arrivo di Franz Liszt nella villa di famiglia a Castelvecchio di Sagrado. (nota 2).
storia5_grandeSull’emozionante incontro con il maestro avvenuto il 16 maggio 1869 la 14enne Marie scriverà:

E’ venuto con il giovane sassone Leitert, è una cosa meravigliosa! Si è messo più volte al piano (da solo perché nessuno osava domandarglielo) sul nostro piccolo Pleyel, con improvvisazioni sui temi viennesi e una sonata di Beethoven. Sono stata obbligata a suonare con lui, poi con Leitert e poi da sola, ma che paura avevo, che paura…
Autocertificazione 2960Invitato il giorno dopo al Castello di Duino di cui si dimostrò entusiasta, Liszt si concederà ancora al pianoforte della Sala Rossa davanti agli ospiti estasiati e alla castellana principessa Teresa Hohenlohe che omaggerà componendo in musica i versi della sua poesia La perla:
Autocertificazione 2958Lo spartito originale venne salvato dalle distruzioni del castello durante la Grande Guerra e in seguito consegnato dal principe Carlo Torre Tasso all’Archivio di Stato di Trieste.

Note:

1. Marie, figlia del principe Egon Hohenlohe e di Teresa Thurn Hofer, acquisirà il nome Thurn und Taxis dal marito Alexander.
Il figlio Alexander (chiamato Pacha) sarà il padre di Raimondo, nonno dell’attuale principe Carlo Torre Tasso, III duca del Castello di Duino;

2. Castelvecchio di Sagrado è oggi un raffinato agriturismo circondato da uno splendido parco coltivato a vigne e ulivi. aeree1-12_big[1]

Fonte:
Diana De Rosa, Chère Maman, Comunicarte Edizioni, Trieste, 2011 Autocertificazione 2961

INCONTRI Franz Liszt a Trieste con l’amica-cantante

Nell’autunno del 1839 Trieste accolse con grande entusiasmo l’arrivo di Franz Liszt (Raiding, 1811 – Bayreuth 1886) lo straordinario pianista-compositore che mandava in visibilio le platee teatrali di tutta Europa.
Liszt_(Lehmann_portrait),_cropped[1]Bellissimo e affascinante, famoso anche come tombeur de femmes, il musicista ungherese era legato dal 1833 alla contessa Marie d’Agoult che per lui aveva abbandonato il marito e due figli.
marie_dagoult[1]Nel 1837 l’innamoratissima coppia giunse in Italia per una serie di tournées concertistiche assieme alla loro la figlia Blandine, nata a Parigi nel 1835, seguita da Cosima, nata a Como nel 1837 (nota 1) e di Daniel a Roma nel 1839. (nota 2)

A Firenze le loro strade però si separeranno e dopo il ritorno a Parigi di Marie con i 3 figli, Franz viaggerà in carrozza fino Venezia per poi imbarcarsi il 25 ottobre del 1839 su un battello raggiungendo dopo 11 ore di navigazione il molo San Carlo.
Il giornale L’osservatorio Triestino aveva già redatto gli articoli per il grande pianista, atteso per i 2 concerti con il soprano Carolina Ungher e il tenore Napoleone Moriani programmati per i giorni 5 e 11 novembre al Teatro Grande. (nota 3)
514f[1]Non mancheranno però le cronache rosa riguardo il soggiorno triestino di Liszt che fin dalle prime ore del suo arrivo si diresse nello stesso albergo dov’era alloggiata la Ungher.
index[1]La 36enne cantante, ufficialmente un’amica di vecchia data, era una donna di grande fascino (nota 4) e all’epoca una soprano molto famosa anche per essere stata scelta da Ludwig van Beethoven come solista nella prima applauditissima rappresentazione della Nona Sinfonia (nota 5).

Durante i 17 giorni di permanenza a Trieste Liszt e la Ungher saranno inseparabili e non solo a teatro, alimentando così chiacchere e illazioni che tuttavia non trovarono conferme, anzi, fu lo stesso musicista a sostenere di essere “costretto” ad accettare gli inviti della cantante in quanto Trieste era del tutto sprovvista di vita sociale.
Trieste è per me un lazzaretto. Vi dimoro come in quarantena. Il mare è là, davanti a me, ma mi sembra stupido e inanimato… Qualche mercantile, battelli a vapore, della nebbia, atmosfera metà inglese” scriveva Franz alla d’Agoult, soffermandosi piuttosto sui suoi patemi in merito al pubblico triestino che:
Castiga, per un non nulla, anche i grandi interpreti. Spesso senza darsi la pena di esaminare i fatti fischia a oltranza. E’ sufficiente anche una piccola mancanza agli usi locali…”
I due concerti al Teatro Grande ebbero invece un grande successo e quando il giorno 12 novembre Liszt partì per Vienna scomparve anche la Ungher  anche se comunicò di essere “ammalata”.

A causa di tutti tradimenti subiti, verso la fine del 1843 Marie d’Agoult si separerà definitivamente da Franz che dopo un burrascoso confronto legale riuscirà ad aggiudicarsi l’affido dei figli, sebbene li avesse poi lasciati alle cure di sua madre Anna Liszt.

Dopo una serie di trionfali concerti in tutta l’Europa dal 1848 al 1861 l’inquieto musicista si legherà alla principessa Caroline de Sayn-Wittgenstein stabilendosi a Weimar e successivamente a Roma dove si ridesteranno le sue tendenze mistiche tanto da indurlo a ricevere gli ordini minori di San Francesco.
Giunge per me il momento di liberarmi della crisalide del virtuoso e di lasciare libero volo al mio pensiero
Attivo fino agli ultimi anni della sua vita Liszt morirà di polmonite nel 1886 a Bayreuth (Germania) dove si svolgeva il festival wagneriano e dove sarà sepolto.

Note:

1. Nel 1870 Cosima diverrà la seconda moglie di Richard Wagner;
cosima_wagner[1]

2. Nel corso del viaggio in Italia Liszt comporrà l’ Album d’un voyageur e Les Années de pèlerinage;

3. Rinominato nel 1861 Teatro Comunale;

4. Quando Rossini ascoltò la cantante a Parigi, disse: «La Unger possiede l’ardore del sud, l’energia del nord, polmoni di bronzo, voce d’argento e talento d’oro».

5. La Nona Sinfonia di Beethoven fu rappresentata per la prima volta a Vienna il 7 maggio 1824;

I dipinti di Franz Liszt (1839) e di Marie d’Agoult (1843) sono del ritrattista tedesco Henri Lehmann (1814-1882)

Fonte:
Pietro Rattalino, Listz o il giardino d’Armida, Ed. EDT, Torino, 1993;

INCONTRI Rilke e la Duse

Dopo il lungo soggiorno nel castello di Duino Rainer Maria Rilke fu invitato dalla principessa Maria Thurn und Taxis nel suo appartamento veneziano a palazzo Valmarana.
Palazzo%20Smith%20Mangilli%20Valmarana[1]Non doveva essersi trattato di un caso che nel luglio del 1912 in un albergo della città lagunare si trovasse Eleonora Duse, allora in un momento di incertezze e dubbi.
750[1]Nel libro Ricordo di Rainer Maria Rilke la principessa Marie Thurn und Taxis racconta con un certo humor quell’incontro fatale tra la 54enne attrice e il 37enne poeta boemo e da lei definito un’ “autentica catastrofe” descrivendo la Duse come una donna precocemente invecchiata, disperatamente infelice ma ancora sensibile alle lusinghe dell’amore.
Rilke fu infatti subito attratto da quella sorta di “cerchio magico” che la circondava e si sarebbe innamorato di lei alla follia se non fosse stata accompagnata dall’amica – confidente Lina Poletti che lui trovava cordialmente antipatica. (nota 1)
Lascio che le cose mi accadano e quello che succede sembra appartenere al sogno” scriveva Rilke a Marie che aveva ritenuto opportuno defilarsi.
Eravamo come due personaggi al centro di un antico mistero, parlavamo come se recitassimo una leggenda […]”  e descrivendo così il suo sorriso: “che non necessita di spazio, che non mente, che non nasconde, cristallino come un canto”.

Durante i loro incontri Rilke si precipitò a presentarle un suo progetto teatrale intitolato La principessa Bianca, scritto nel 1904 pensando a lei come interprete. L’attrice fu subito colpita dal poema e chiese una traduzione tagliata espressamente su di lei, ma dopo i primi entusiasmi se ne disinteressò.
Così, incerto sulla stesura del dramma il poeta propose alla Duse di interpretare la pièce Mater dolorosa che le suscitò un grande quanto breve entusiasmo.
La breve liaison veneziana fu davvero fonte di una grande stress per Rilke che sembrava essere talmente risucchiato dalle angosce dell’attrice da guardarsi ogni mattina allo specchio per vedere se durante la notte si fosse incanutito.

Rilke ridottoDopo la scomparsa della Duse per un intero giorno, dopo le sue escandescenze per un’improvvisa comparsa di un innocuo pavone durante un break su un’isola e la sua improvvisa decisione di partire da Venezia, il povero Rainer si sfinì del tutto:
E’ venuto il momento in cui non ne ho potuto più” scrisse infine a Marie, confessandole come quell’uccello avesse risolto quello sfortunato incontro. (nota 2)

 

 

Note:
1. Fu avanzato il dubbio che il legame tra le 2 donne, che si stava sciogliendo proprio in quel periodo, non fosse stato di sola amicizia;
2. Non è dato sapere se quel pavone fosse reale o metaforico.

Fonte:
Marie Thurn und Taxis, Ricordo di Rainer Maria Rilke, Ed. Fenice, Trieste, 2005

INCONTRI Casanova e le dame triestine

Giacomo CasanovaDopo lunghe peregrinazioni per le contrade d’Europa, il quarantasettenne Giacomo Casanova (Venezia 1725 – Dux, Boemia 1798) giunse a Trieste nel novembre del 1772 (nota 1) in attesa che gli amici veneziani gli procurassero la grazia dopo la sua rocambolesca fuga dai Piombi. (nota 2)

arlecchina[1]Pernottando una stanza nella centralissima Locanda Grande e contattato il bel mondo cittadino, s’innamorò seduta stante della giovanissima figlia dei nobili Leo incontrata vestita da Arlecchino a una festa di Carnevale. (nota 3).
Consapevole della differenza di età di ben trent’anni, si limitò a malincuore a manifestarle solo attenzioni per così dire “paterne” interessandosi nel contempo all’altrettanto avvenente a figlia del governatore di Trieste conte di Wagensberg ma pure rinunciando a concupirla per non rovinare i rapporti utili alla sua causa.

Una sera ritornando alla Locanda trovò una giovanissima carniolina nonché “amichetta” del conte Strasoldo che, pieno di debiti e povero in canna, aveva deciso di accettare un lavoro di “capitano circolare” in Polonia. 3861d63ca621bb4c64de6e51aa216359_orig[1]Per niente intenzionata a seguirlo ma volendo recuperare gli stipendi dovuti la bella Lenzica raggiunse la Locanda Grande e implorando un aiuto si offrì spudoratamente al Casanova che ovviamente ne fu felice. Fu una notte meravigliosa così commentata nelle sue Memorie:
Se fossi stato ricco, avrei messo su casa per tenerla al mio servizio”.
Essendo uomo di mondo ma anche di parola, il bel Giacomo riuscì a convincere il conte non solo a lasciare libera la carniolina ma pure a saldarle il debito e a consegnarle il bagaglio.
Appena fu certo della partenza del povero conte, si offrì a malincuore di accompagnare Lenzica fino alla strada verso Lubiana dove si sarebbe diretta con l’intenzione di sistemarsi dalla zia.
Lo Strasoldo raggiunse Leopoli ottenendo il lavoro ma disgraziatamente se ne approfittò a dismisura e dopo aver chiesto prestiti e accumulato altri debiti, mise mano sui pubblici denari. Accusato di peculato fu costretto a fuggire in Turchia dove camuffatosi da pascià, finì malamente strangolato.

Quanto al Casanova, il 10 settembre 1774 gli fu comunicata la tanto sospirata grazia ottenuta dal Consiglio dei Dieci di Venezia (nota 4) per aver ottenuto buone relazioni con il governo austriaco. (nota 5)
Così, dopo diciott’anni di lontananza ritornò a Venezia dove per sopravvivere si offrì prima come spia per gli stessi Inquisitori che l’avevano condannato, poi dedicandosi indefessamente ai suoi scritti.
Ma che Casanova sarebbe stato se non avesse ripreso la sua condotta libertina e spregiudicata? Infatti ricadde sotto il giudizio degli Inquisitori e nel 1783 fu costretto a un definitivo esilio.
Dopo essersi stabilito a Vienna, dal 1785 si rifugiò in Boemia dove lavorò come bibliotecario del conte von Waldenstein trascorrendo in solitudine gli ultimi anni della sua vita.
Il suo ultimo scritto fu pieno di amarezza:
Sono abbandonato dalle donne e dai denti, crivellato dalle malattie e dai malanni, assediato dai ricordi e dai rimorsi, umilato da un triste presente”.
Morì 73enne nel castello di Dux il 4 giugno 1798.
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Note:

1. Casanova giunse per la prima volta a Trieste nel 1753; nel 1772 soggiornò per 2 anni e ritornò nel 1776;
2. Fu condannato per “libertinaggio” e rinchiuso nelle carceri di Palazzo Ducale di Venezia nel 1755 (nella foto la cella dei Piombi);Cella_Giacomo_Casanova[1]3. Presso il ridotto del teatro San Pietro;
4. Nelle sue Memorie Giacomo ci informa che in realtà fossero in 17: i Dieci + altri 6 consiglieri + eventualmente il Doge in persona;
5. Qui si interrompono le Memorie; Sull’ultimo trentennio della sua vita ci si deve avvalere di altre fonti e testimonianze varie, in particolare del ricco epistolario, dei suoi numerosi scritti e delle molte carte ritrovate nell’archivio di Dux (in Boemia)memoires-casanova-illustres-jacques-touchet-899e7f74-da35-4865-a082-8c9b9a72083a[1]

Notizie tratte da:
Sergio degli Ivanissevich, Casanova a Trieste, Luglio Editore, Trieste, 2015;
Enciclopedia Treccani e Wikipedia