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Le sorelle Bonaparte a Trieste

Dopo l’abdicazione di Napoleone il 6 aprile 1814 sua sorella Elisa Bonaparte, da lui eletta Granduchessa di Toscana, ottenne il consenso del Governo austriaco per stabilirsi a Trieste. Dopo un primo breve soggiorno scelse un rifugio sicuro e quanto mai confortevole in una delle più belle residenze sulla collina di Sant’Andrea.
Eretta all’inizio dell’Ottocento dal generale russo Psaro, la bianca struttura neoclassica detta Villa di Campo Marzio, si presentava con un doppio loggiato a semicerchio aperto da quattro colonne doriche che dividevano l’ammezzato e il primo piano entrambi forniti di otto ampie finestre da cui allora si spaziava in una spiaggia declinante verso il mare.
Acquistata intorno al 1817 da Felice Pasquale Baciocchi, marito della Granduchessa Elisa, al corpo centrale dell’elegante villa furono aggiunte due ali per accogliere da una parte la rimessa delle carrozze e dall’altra una cappella che ottenne l’officiatura dall’Ordinariato Vescovile. Nel grande giardino, abbellito con aiuole e pergolati, venne costruita una scalinata in pietra e uno scenografico cancello in ferro che si apriva sull’alberato passeggio Sant’Andrea, sopra il boschetto (presente ancora oggi) permettendo l’ingresso alle carrozze.
Nonostante la sua condizione di esiliata che la costrinse ad assumere il nome di contessa di Compignano, Elisa non rinunciò al lusso cui era stata avvezza nei fasti della sua passata gloria storica circondandosi di lussuosi mobili su cui faceva incidere l’iniziale del suo nome, preziose sculture in oro e alabastro e innumerevoli opere pittoriche.                                                                                                           Colta e intelligentissima ma relegata, come di direbbe oggi “ai domiciliari” imposti da uno stretto controllo degli organi di sorveglianza, la contessa Elisa amava invitare gli artisti del Teatro Nuovo, che frequentava in segreto agghindata in stravaganti maschere. In una dimora così raffinata non potevano certo mancare nobili ed intellettuali come il conte Domenico Rossetti, il Governatore della colonia greca Giovanni Vordoni, il medico personale Andrea Gobbi, il presidente del Tribunale Mercantile Venceslao Panzera, il barone Giovanni Guglielmo Sartorio e alcuni ospiti dell’entourage napoleonico con cui si dilettava a ricordare il trionfale passato.
La contessa si dilettava anche con i concerti dei musicisti della Società di Minerva e perfino con il violino del celebre Nicolò Paganini (1782-1840) che fu direttore e primo violino nella Corte Lucchese.
Nonostante le strettoie dei controlli di polizia l’amabile contessa visse dunque piacevolmente gli anni del suo dorato quanto breve esilio protratto fino al 1820, anno in cui, colpita da una grave infezione, si trasferì con il marito a Villa Vicentina, dove il 7 agosto morì a soli 43 anni.

Nel 1823 giunse a Trieste l’altra sorella di Napoleone Carolina Bonaparte Regina di Napoli, già vedova da 8 anni di Gioacchino Murat, fucilato dai Borboni a Pizzo Calabro. Stabilitasi nella Villa, ribattezzata con il nome dell’amato consorte e assumendo per sé quello di Contessa di Lipona, anagramma del suo passato titolo, visse in solitudine tra i libri e la pittura fino il 1830 quando si trasferì a Firenze.
Qui, consumata da un tumore, si spense a 57 anni nel 1839 ottenendo la sepoltura nella Chiesa di Ognissanti.

Dopo la partenza dell’ultima ospite nel giardino di Villa Murat venne costruito un piccolo tetro dove vennero rappresentati spettacoli musicali e di prosa per un pubblico d’élite.
Alla fine dell’Ottocento la storia della bella dimora sulla collina di Campo Marzio si concluse sciaguratamente con il suo abbattimento assieme al teatro e oggi non rimane che il terrazzamento di Passaggio Sant’Andrea da dove si spazia sul golfo di Trieste.

(Fonte: Silvio Rutteri, Trieste, Spunti del suo passato, Borsatti Ed., Ts. 1950)