Nei primi decenni dell’Ottocento illustri personaggi sfuggiti dalla rivoluzione francese e alla successiva disfatta di Napoleone si stabilirono a Trieste per trascorrervi i loro dorati esili.
Abituati ad alti tenori di vita amavano banchettare con bottiglie di pregiato Champagne che dalle campagne francesi veniva trasportato sulle navi provenienti da Marsiglia. Non sorprende quindi che alcuni zelanti locandieri triestini tentassero di mantenere più possibile le caratteristiche frizzanti dei vini ottenuti dalle uve bianche coltivate nelle terre del Carso.
Se a pensar male si potrebbe supporre che versandolo nelle bottiglie di vero “Champagner Flaschen” si favoriva la suggestione del prodotto certo è che i tappi venivano poi sigillati con del fil di ferro, evidentemente per salvaguardare quella certa “frizzosità” del vino nostrano, seppure aiutata con qualche energico scuotimento.
Non solo, ma la fresca bevanda veniva spesso servita con un piatto di burro e prosciutto rendendo un semplice pasto talmente gustoso da essere citato nelle guide francesi del primo Ottocento.
Nella foto (ibtimes.com) una rarissima bottiglia di vero Champagne recuperata da una nave ottocentesca diretta a San Pietroburgo e affondata nel mar Baltico, venduta poi in Cina a cifre stratosferiche
Questa usanza fu anche riportata in un articolo (nota 1) del bibliotecario bavarese Joachim Heirich Jäck che giunto in città nel settembre del 1821 e fermatosi in un Osteria ai piedi del Boschetto (nota 2) si rifocillò proprio con burro, prosciutto e un bicchiere di frizzante Prosecco (scritto proprio così) riportandone evidentemente un piacevole ricordo.
Le prime notizie sulla viticoltura carsica furono scritte nel 1844 da un certo Matija Vertovz che nel testo in sloveno Vinoreja asseriva che già molti anni prima un francese avesse acquistato ben “100 mastelli di Prosekar”.
Il Vertovz descrisse con precisione come venissero vendemmiate le bianche uve carsiche e gli speciali trattamenti riservati per ottenere una fermentazione leggera che mantenesse il gusto dolce della bevanda, conservata poi nei tini collocati in luoghi freschi.
Il Prosecco così ottenuto veniva venduto a prezzi piuttosto alti e doveva essere gustato prima dell’arrivo della stagione estiva per evitare alterazioni.
Nel 1858 nella Grande illustrazione del Lombardo-veneto di Cesare Cantù fu riportato che Trieste spediva a Venezia delle “regalie di olio e ribolla, cioè vino bianco spumante che oggi dicesi Prosecco”.
Nel 1873 l’esperto viticoltore di Prosecco Ivan Nabergoj riportò maggiori dettagli sul ciclo per la produzione delle diverse tipologie del vino: Prosecco spumante e Prosecco bianco triestino, quelle del Prosecco fine e del Prosecco comune, in seguito elencati nel testo “L’Amico dei Campi” stampato nel 1888.
Nello stesso anno alla “Fiera dei vini” svoltasi a Trieste, furono presentati i vari tipi di Prosecco con riscontri non sempre entusiasmanti mentre il Prosecco bianco di Marino Luxa ottenne una medaglia di bronzo sebbene si trattasse di una produzione d’élite come venne già riportato sul Vošnjak, Umno Kletarstvo pubblicato nel 1873 da Josip Vošnjak (in traduzione):
“Un vino ancora migliore si può produrre dall’uva bianca di Prosecco se questa si asciuga (sulla pianta) sino a Natale e quindi viene raccolto tagliando acino per acino (non strappandoli perché il picciolo che rimane da un piacevole aroma del vino, questo viene pressato quindi senza raspo e immediatamente travasato nella botte e sigillato, in modo tale da restare per un anno e un giorno in una fredda cantina e solo allora imbottigliato.
Questo è un tale nettare che supera il Tokayer ungherese.
Da noi purtroppo in questo modo lo produce solo qualche benestante per proprio uso personale perché costa molto tempo, cosa che i nostri viticoltori non possono sopportare, ma speriamo che col tempo questa cosa volga al meglio”.
Questo veniva scritto nel lontano 1873 e incredibilmente nel 2017 si sta ancora discutendo sulla produzione del Prosecco DOC, il delizioso vino frizzante ottenuto dalle particolarissime vigne del Carso triestino.
Note:
1. Riportato nel “Reise nach Wien”
2. È stato riportato il nome di “Osteria del querceto” ma si potrebbe dedurre trattarsi di quella “Al Boschetto” (nell’attuale via Pindemonte) a quei tempi molto frequentata
Fonte: Fulvio Colombo, Prosecco, Patrimonio del Nordest, luglioeditore, Trieste, 2014