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Il carsismo

L’altopiano carsico si estende fino all’estrema propaggine della zona di corrugamento nell’alta Istria ed è costituito da un anticlinale, una sorta di gobba che estende da sud-est a nord-ovest.
Dalle pendici del monte Nevoso, ultimo rilievo delle Alpi orientali che svetta a 1796 metri sopra il livello del mare e a soli 20 chilometri dal golfo del Quarnero, sgorgano decine di rigagnoli che confluiscono poi in un’unica vena acquifera. Raccogliendo alcuni affluenti, il fiume Reka (nome sloveno) scorre inizialmente per 55 km. su un pianoro tra i 420 e 450 metri sul livello del mare e con caratteristiche torrentizie per altri 4 km. lungo una profonda gola.
Giunto in un impressionante baratro sotto il paese di San Canziano (oggi Šcocjan) il fiume s’inabissa improvvisamente sotto un’imponente rupe e scompare nelle profondità della terra.
Dopo un misterioso percorso ipogeo di 30 km. (in linea d’aria) tra inghiottitoi, varchi, pozzi, gallerie e immense voragini, il Reka-Timavo riaffiorerà alle risorgive di San Giovanni di Duino, al margine occidentale del Carso e quasi a ridosso del mare Adriatico. (Nota 1)

Inizia così la doppia natura del carsismo, quello ipogeo (di profondità) e quello epigeo (di superficie) sulle cui origini si sono ipotizzate infinite teorie. Alcune chiamano in causa il vasto e antichissimo fiume Paleotimavo, che per la sua enorme quantità d’acqua avrebbe agito anche in profondità provocando tutta la gamma dei fenomeni carsici, altre ritengono che sarebbero le naturali fessurazioni calcaree a permettere che nel corso dei millenni le acque pluviali e quelle degli affluenti scavassero un’infinita serie di pozzi fusiformi a loro volta soggetti a fratture verticali e orizzontali causate dalle forti pressioni idrostatiche che hanno dato origine alla “erosione inversa”, cioè alla spinta verso l’alto di masse rocciose con la formazione di bocche sempre più larghe. Molte delle cavità sotterranee hanno infatti degli inghiottitoi a forma fusoide e gallerie quasi orizzontali, a volte anche doppie e di uguale inclinazione. Sono queste le cavità di interstrato, cioè aperte tra due stratificazioni create dalla lenta e continua erosione dell’acqua.

La doppia natura del Carso è dovuta alla diversità dei suoi componenti: le rocce calcaree, composte per la maggior parte da carbonato di calcio, quindi solubili e permeabili, e da quelle dolomitiche, formate dal carbonato di magnesio e altre impurità più o meno diffuse come gli ossidi di ferro e la silice che le rendono impermeabili.
Il calcare appartiene al grande gruppo delle rocce sedimentarie organogene, originate da un mare tiepido e poco profondo dove si sono accumulate sostanze organiche di microrganismi animali e vegetali che essendo prive di scorie e impurità insolubili, sono divenute estremamente fessurabili e dunque soggette a tutti i fenomeni sotterranei tipici del carsismo ipogeo.
La contaminazione e l’impermeabilità delle rocce dolomitiche formeranno invece il carsismo di superficie, detto epigeo, la cui caratteristica è la tipica terra rossa dovuta agli ossidi di ferro.
Le colline carsiche sono però vulnerabili anche alle particolari situazioni ambientali e la loro vegetazione è soggetta a tre componenti del clima: temperatura, umidità e vento.
Le nostre zone sono comprese nell’ampia fascia del clima temperato-marino che tuttavia presenta delle differenze abbastanza marcate. A Trieste il clima è di tipo mediterraneo mentre il Carso assume le caratteristiche continentali, quindi più fredde e umide, spesso addirittura alpine. Il dislivello geografico causa infatti una diversità di pressione tra il centro Europa e l’alto Adriatico e in particolari condizioni forma delle imponenti masse d’aria che dall’area danubiana si scaricano sulle zone di basse pressioni, si rafforzano nei pressi del valico di Postumia per precipitare poi verso il golfo di Trieste con le violente e fredde raffiche di bora.
Le doline carsiche invece, piccole alture alla rovescia, catturano l’aria fredda e assumono un clima subalpino, ed è stato calcolato che una profondità di 20 metri, peraltro frequente, corrisponde a 400 metri di altitudine, con un’umidità media dell’80%. Questa particolare caratteristica è favorevole allo sviluppo della vegetazione in quanto la loro forma a imbuto offre una buona protezione dalla bora.

NOTA 1:
Ai nostri giorni rimangono quindi due sole risorgive dopo il crollo della terza bocca durante gli scavi per le condutture idriche. L’occlusione di una parte del deflusso ha aumentato la pressione interna provocando un ulteriore cedimento della zona fino al limite della strada statale dominata dai Lupi di Toscana e l’apertura di un altro vortice sotto il livello del fiume.

Dante Cannarella, “Guida del Carso triestino”, Edizioni Svevo, Trieste, 1975

Il Timavo e le terre carsiche

L’altopiano carsico si stende nell’estrema propaggine della zona di corrugamento nell’alta Istria ed è costituito da un anticlinale, una sorta di gobba che estende da sud-est a nord-ovest. Dalle  pendici del monte Nevoso, ultimo rilievo delle Alpi orientali che svetta a 1796 metri sopra il livello del mare e a soli 20 chilometri dal golfo del Quarnero, sgorgano decine di rigagnoli che confluiscono poi in un’unica vena acquifera. Raccogliendo alcuni affluenti, il fiume Reka (nome sloveno) scorre inizialmente per 55 km. su un pianoro tra i 420 e 450 metri sul livello del mare e con caratteristiche torrentizie per altri 4 km. lungo una profonda gola. Giunto in un impressionante baratro sotto il paese di San Canziano (oggi Šcocjan) s’inabissa improvvisamente sotto un’imponente rupe e scompare nelle profondità della terra.

Dopo un misterioso percorso ipogeo di 30 km. (in linea d’aria) tra inghiottitoi, varchi, pozzi, gallerie e immense voragini, il Reka-Timavo riaffiorerà alle risorgive di San Giovanni di Duino, al margine occidentale del Carso e quasi a ridosso del mare Adriatico.

Inizia così la doppia natura del nostro carsismo, quello ipogeo (di profondità) e quello epigeo (di superficie) sulle cui origini si sono ipotizzate infinite teorie. Alcune chiamano in causa il vasto e antichissimo fiume Paleotimavo, che per la sua enorme quantità d’acqua avrebbe agito anche in profondità provocando tutta la gamma dei fenomeni carsici, altre ritengono che sarebbero le naturali fessurazioni calcaree a permettere che nel corso dei millenni le acque pluviali e quelle degli affluenti scavassero un’infinita serie di pozzi fusiformi a loro volta soggetti a fratture verticali e orizzontali causate dalle forti pressioni idrostatiche che hanno dato origine alla “erosione inversa”, cioè alla spinta verso l’alto di masse rocciose con la formazione di bocche sempre più larghe. Molte delle cavità sotterranee hanno infatti degli inghiottitoi a forma fusoide e gallerie quasi orizzontali, a volte anche doppie e di uguale inclinazione. Sono queste le cavità di interstrato, cioè aperte tra due stratificazioni create dalla lenta e continua erosione dell’acqua.

La doppia natura del Carso è dovuta alla diversità dei suoi componenti: le rocce calcaree, composte per la maggior parte da carbonato di calcio, quindi solubili e permeabili, e da quelle dolomitiche, formate dal carbonato di magnesio e altre impurità più o meno diffuse come gli ossidi di ferro e la silice che le rendono impermeabili. Il calcare appartiene al grande gruppo delle rocce sedimentarie organogene, originate da un mare tiepido e poco profondo dove si sono accumulate sostanze organiche di microrganismi animali e vegetali che essendo prive di scorie e impurità insolubili, sono divenute estremamente fessurabili e dunque soggette a tutti i fenomeni sotterranei tipici del carsismo ipogeo.

La contaminazione e l’impermeabilità delle rocce dolomitiche formeranno invece il carsismo di superficie, detto epigeo, la cui caratteristica è la tipica terra rossa dovuta agli ossidi di ferro. Le colline carsiche sono però vulnerabili anche alle particolari situazioni ambientali e la loro vegetazione è soggetta a tre componenti del clima: temperatura, umidità e vento. Le nostre zone sono comprese nell’ampia fascia del clima temperato-marino che tuttavia presenta delle differenze abbastanza marcate. A Trieste il clima è di tipo mediterraneo mentre il Carso assume le caratteristiche continentali, quindi più fredde e umide, e spesso addirittura alpine. Il dislivello geografico causa infatti una diversità di pressione tra il centro Europa e l’alto Adriatico e in particolari condizioni forma delle imponenti masse d’aria che dall’area danubiana si scaricano sulle zone di basse pressioni, si rafforzano nei pressi del valico di Postumia per precipitare poi verso il golfo di Trieste con le violente e fredde raffiche di bora. Le doline carsiche invece, piccole alture alla rovescia, catturano l’aria fredda e assumono un clima subalpino, ed è stato calcolato che una profondità di 20 metri, peraltro frequente, corrisponde a 400 metri di altitudine, con un’umidità media dell’80%. Questa particolare caratteristica è favorevole allo sviluppo della vegetazione in quanto la loro forma a imbuto offre una buona protezione dalla bora.

Dopo il lungo e tumultuoso percorso sotto il Carso, le acque del torrente Reka sgorgate dalle pendici del Monte Nevoso e divenute il grande fiume Timavo, riaffiorano da due bocche rocciose per riunirsi in un unico corso verso la costa dell’Adriatico.  Ai nostri giorni rimangono quindi due sole risorgive dopo il crollo della terza bocca durante gli scavi per le condutture idriche. L’occlusione di una parte del deflusso ha aumentato la pressione interna provocando un ulteriore cedimento della zona fino al limite della strada statale dominata dai Lupi di Toscana e l’apertura di un altro vortice sotto il livello del fiume.

Tutte le terre intorno alle risorgive sono ricche di storia di cui quella dell’antica colonia romana, testimoniata da Marziale e dallo Strabone, sono stati rinvenuti interessanti reperti archeologici come la scoperta della grotta del dio Mitra, avvenuta nel 1965 per merito degli speleologi della Società Alpina delle Giulie.  Tale cavità, inizialmente poco più grande di una tana e del tutto obliterata dai detriti, si apre a una cinquantina di metri sopra l’autostrada, mezzo chilometro prima della chiesa di San Giovanni dopo la percorrenza di un sentiero inerpicato sul pendio del monte Ermada.

Nel 1974 la sezione Antichità della Sopraintedenza con l’apporto di studiosi locali ha eseguito importanti lavori e la ricostruzione del tempietto ipogeo rendendolo così visitabile al pubblico.

Le terre del nostro Carso sono state sempre tormentate e contese, testimoni di conflitti, distruzioni e spargimenti di sangue. Terre di eroi, martiri e poeti. Ma sono le terre che ci sono rimaste. Riusciremo a difenderle?

(Notizie tratte da “Guida del Carso triestino” di Dante Cannarella, Trieste, Edizioni Svevo, 1975)

Le risorgive

l’ inghiottitoio

La scoperta dell’abisso di Trebiciano

Dopo il nubifragio del novembre 1840 e l’individuazione delle acque sotto la dolina ubicata fra Orlek e Trebiciano, l’ing. Anton Frederik Lindner assoldò dei minatori per allargare il pertugio da cui era fuoriuscito il più potente e sibilante getto d’aria e cercare il misterioso fiume che scorreva  sotto il carso.

La disostruzione dei passaggi e la scoperta di una successione di pozzi sempre più profondi fu arditissima e non priva di imprevisti.  Procedendo con inaudite difficoltà fra mine e vigorosi colpi di mazza su cunicoli ad assetto verticale, i lavoranti avvistarono sabbie, detriti vegetali e perfino la pala di un mulino incastrata fra le rocce. A 220 metri di profondità giunsero sulla sommità di un’oscura e silenziosa caverna priva di sbocchi. Dopo altre fessure da forzare e ulteriori scavi in una “finestra” in parete che attraeva le fiamme delle fiaccole, finalmente venne raggiunta una strettoia dove i frammenti di roccia si sentivano cadere a grande profondità. Allargato l’ultimo passaggio, il 6 aprile 1841 a cinque mesi dall’inizio dei lavori, i minatori scesero nel dodicesimo pozzo affacciato a una grandiosa caverna dove furono avvertiti i mormorii di un’ immensa massa d’acqua.

Fu così provata l’esistenza di un fiume che scorreva negli abissi carsici così come Lindner aveva sempre sostenuto.

Con la scoperta della grotta di Trebiciano l’esplorazione speleologica fa il suo ingresso nel mondo scientifico.

Il decano delle vita culturale di Trieste Domenico Rossetti si dedicò con approfonditi studi sul problema del rifornimento idrico per Trieste ma il consistente testo monografico non riuscì a essere pubblicato per l’improvvisa morte dell’illustre nobile il 20 novembre 1820.                           Pietro Kandler riprese le relazioni del Rossetti,concluse con l’asserimento che le acque scoperte sotto l’abisso di Trebiciano potessero veramente derivare dal Reka-Timavo proponendo altre spedizioni per seguirne il lungo corso.

Con  l’allargamento dei passaggi più angusti, la costruzione di impalcature e robuste scale di discesa si giunse purtroppo alla conclusione che quel fiume sotterraneo scoperto con tanto entusiasmo era talmente profondo da rendere troppo elevati i costi degli allacciamenti idrici. Fu infatti calcolato che il precipizio aveva una profondità complessiva di 322,318 metri, con il livello medio dell’acqua a 19 metri sul livello del mare. Inoltre le innumerevoli ricerche di Lindner effettuate in condizioni estreme e senza neppure ottenere il riconoscimento dell’autorità comunale, minarono la sua salute e lo condussero alla morte per tubercolosi a soli 40 anni il 19 settembre1841.

L’abisso di Trebiciano rimase così in stato di abbandono fino al 1849 lasciando insoluto il problema di un adeguato approvvigionamento idrico per Trieste.

Fonte: Enrico Halupca, Le meraviglie del Carso, LIND, Trieste, 2004