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I Caffé di Trieste

Verso la fine dell’Ottocento si diffuse una nuova moda che coinvolse rapidamente l’entusiasmo di ogni classe sociale: gustare un fumante bricco di caffè nelle eleganti sale della città.
Nelle capitali d’Europa frequentare i Caffè diventò un irrinunciabile rito e se Venezia contendeva a Vienna il primato dello stile e del gusto nell’allestimento di questi ritrovi, Trieste, seppure con un certo ritardo, non fu certo da meno.
All’inizio del Novecento il mitico Caffè degli Specchi di Piazza Grande pullulava di commercianti e ricchi borghesi, di intellettuali ed aristocratici, di funzionari e alti ufficiali assieme agli avventori di passaggio e alle loro eleganti dame agghindate secondo le mode di Vienna e Parigi.
Dall’altra parte della piazza, a palazzo Pitteri, si trovava il Caffè Flora (divenuto poi Nazionale), di giorno ritrovo per i coristi del teatro Verdi e di notte per la clientela più proletaria di Cittàvecchia.
Al Municipio situato sotto il Comune, tra assessori e impiegati si radunavano invece pittori e artisti vari attenti a carpire possibilità di lavoro mentre nel signorile Caffè Orientale al pianterreno della sede del Lloyd Austriaco, gli alti ufficiali e le loro raffinate signore si intrattenevano con la leadership della marineria triestina e dalmata.
Il Caffè Corso di palazzo Salem era invece il punto d’incontro di attori, filodrammatici, cantanti e vari artisti del varietà, compresi prestigiatori, illusionisti, mangiafuoco e dilettanti in erba.
I commercianti, professionisti (ingegneri, medici ecc.) e studenti erano soliti incontrarsi al caffè Stella Polare di via Dante. Quando nel 1903 l’edificio fu demolito, il locale si trasferì nel padiglione di un bel palazzo affacciato sul Canal Grande.

Successivamente si stabilì nel nuovo palazzo all’angolo della via Dante, dove ancora oggi si trova con la stessa atmosfera del tempo che fu.

Il Caffè Vesuvio collocato in un edificio all’angolo tra il Corso e via Imbriani, ebbe una storia molto particolare. Frequentato da un gruppo di sordomuti che tiravano tardi tra le partite di domino ma “consumando” ben poco, rischiò presto la chiusura per i debiti contratti. Il proprietario ebbe così un colpo di genio: infrangendo la tradizione del Caffè, s’ingegnò a cucinare fumanti minestre e gustosi piatti di salsicce e fagioli. Il successo fu immediato e il Vesuvio divenne la meta di tutti i nottambuli della città.
Quando l’attività venne ceduta e il locale venne ripristinato come Caffè, gli affari andarono malissimo: il nuovo proprietario fallì e morì di crepacuore.
Nel palazzo Sordina in piazza della Legna (oggi sede della Calzoleria Castiglioni) e con il nome del vicino teatro demolito nel 1911, il Caffè Armonia (rinominato poi Goldoni) accoglieva i venditori del frequentatissimo mercato.Operai e piccoli borghesi si trovavano invece al Caffè Bizantino, posto nell’omonimo bel palazzone che svettava tra la via Arcata (oggi C.so Svevo) e Barriera e in seguito sciaguratamente abbattuto.Se tutti i locali della zona avevano un’intensa vita notturna, sulle panche del Caffè Barriera (all’angolo della via del Bosco) i seguaci di Bacco vi passavano addirittura l’intera notte. Esiste invece ancora il Caffè Garibaldi frequentato da Umberto Saba:

Altri locali offrivano un’approssimativa accoglienza ai piccoli commercianti di frutta e verdura provenienti dall’Istria come il Caffè all’Europa felice, situato all’angolo di via Pozzo del Mare e allestito come una taverna fiamminga.
Il Caffè alla Transalpina di riva Grumula e il Moka di riva Mandracchio erano solitamente frequentati dai passeggeri in arrivo e in partenza su navi e piroscafi; altri locali della zona, come il Fedel Triestino in via della Sanità angolo via del Pesce, che di giorno ospitava una rispettabile clientela, di sera doveva essere presidiato dalle guardie di pubblica sicurezza per le vivaci frequentazioni nonché abbondanti libagioni del poco raccomandabile entourage del porto. Ugualmente controllato era il Caffè alla Miniera di via del Pesce, frequentato da loschi personaggi ben conosciuti nelle vicine carceri.

Sebbene non mancasse un buon numero di Osterie, Trieste vantava affollati punti di ritrovo: al Caffè Tergesteo e lungo l’elegante galleria a crociera si svolgevano contrattazioni di importanti affari concernenti l’export-import, i noleggi di mercantili e le assicurazioni delle merci , vivificando in quella discreta e ovattata atmosfere la frenetica vita commerciale della città.Diversi pittori dell’epoca prediligevano gli ampi spazi del Caffè Tommaseo non disdegnando di contrattarvi i loro lavori con i ricchi commercianti mentre sorseggiavano l’amata bevanda; Le cronache di allora raccontavano che Giuseppe Barison (Trieste 1853 – 1931) vendeva proprio lì i suoi acquerelli ricavandone ottimi guadagni.Altri rinomati Caffè usavano valorizzare i locali con opere pittoriche come le decorazioni allegoriche di Napoleone Cozzi nel Caffè Firenze di L.go Giardino e gli affreschi nel Caffè Nuova York di via del Torrente (all’inizio dell’attuale via Carducci).Il fiorfiore della musica non poteva non aver il suo quartier generale al Caffè Teatro Verdi, situato al pianoterra dello storico edificio progettato da Giannantonio Selva e Matteo Pertsch anche se tra i severi critici, i maestri d’orchestra e gli appassionati di lirica non mancavano mai delle animatissime discussioni.Il Caffè Ferrari, il più grande di Trieste, era situato ai portici di Chiozza dove occupava tutto il pianoterra del grande palazzo estendendosi nella bella stagione anche negli spazi esterni. Per la centralità e l’ampiezza locali, che comprendevano anche un piano sopraelevato, i saloni del Ferrari accoglievano una vasta ed eterogenea clientela che diveniva una vera folla durante il periodo del Carnevale.

Nel gennaio 1914 in un bel palazzo delle Assicurazioni Generali di Corsia Stadion (oggi via Battisti) si aprirono le porte del Caffè San Marco che divenne subito il luogo prediletto di intellettuali, studenti e irridentisti. Devastato e chiuso dall’esercito austro-ungarico, languì tristemente fino al secondo dopoguerra quando le Assicurazioni generali restaurarono tutto l’edificio ripristinando le sale interne con le ricche decorazioni originali.Dopo la gestione delle sorelle Stock e quella di Franco Filippi, l’Antico Caffè San Marco è stato rilevato da una famiglia di origine greca che lo ha trasformato in uno splendido Caffè letterario aggiungendovi l’offerta di sfiziosi menu da gustare in questo ambiente così romanticamente Decò e sempre amatissimo dai triestini.

(Fonte: articoli vari su La Bora, rivista di storia, arte e cultura, Trieste, 1978)