Archivio mensile:dicembre 2017

Una taverna di Cittavecchia

Ci sono quadri che sembrano rappresentare delle storie e racconti che sembrano quadri per come lascino immaginare le luci e persino gli odori dell’ambiente in cui si svolgono; uno di questi è “La taverna dei fenomeni” di Riccardo Gurresch, soprannominato Ricciardetto dal titolo della rubrica che pubblicava i suoi articoli su “Il Piccolo” e “Il Lavoratore” nei primi decenni del Novecento.

Questo godibilissimo abstract scritto sulle pagine del Lavoratore il 9 settembre del 1917, coglie con arguzia e humor i tempi che precedettero lo scoppio della Grande Guerra quando si iniziarono a sentire i primi rombi dei cannoni e a vedere degli strani bagliori nel cielo notturno.
Per le strade di quella estate del 915 gli uomini trascinavano vecchi carri con cianfrusaglie d’ogni tipo, le donne vendevano gli scarsi ortaggi dei loro orti al grido di “Cinque deca, cinque soldi!”, i ragazzini offrivano mazzi di fiori o cartocci di zucchero d’orzo mentre nell’aria afosa e maleodorante si diffondevano le note di violini e organetti.
Nei locali si aggiravano venditori di zolfanelli, di balocchi e cartoline illustrate o poveri diavoli in cerca di una monetina o di un pezzo di pane.
uggo 2Accaldati, coperti di polvere, tormentati dalle pulci e dalle incognite del futuro, i manovali si rintanavano nella più misere osterie di Cittavecchia per bersi il loro gotto di vino con il sottofondo dei lugubri lamenti delle fisarmoniche.
Nella “Taverna dei fenomeni”: “Le tremule fiammelle del gas e la rossa vampa del focolare rischiaravano fantasticamente le grottesche figure, curve sul piatto o intente a numerare gli spiccioli attaccaticci” e tra gli avventori “un povero cieco e quasi sordo variava un’aria del “Trovatore” straziandola in tutti i toni senza mai azzeccarne la melodia”.
C’era poi lo zoppo con il muto, il paralitico col sordo, il collotorto con uno che per fare due passi metteva l’eternità: una galleria di fenomeni viventi che destavano uno strano sorriso e un senso d’immensa pietà… E vicino a loro, bevendo e schiamazzando, sedevano i venditori ambulanti improvvisati: nani, gobbi, mutilati; chi aveva il volto fasciato, a chi pendeva la mano inerte, uno, dalla larga schiena ricurva, somigliava a una tartaruga; un altro, dalla faccia pelosa e mobilissima, imitava la scimmia, facendo sganasciare i disgraziati compagni”.

uggoNei tavoli della fumosa penombra della taverna alcuni vecchi tracannavano bicchieri di vino, alcune coppie silenziose masticavano qualche crosta di formaggio, negli angoli più bui nascevano idilli grotteschi e tra i tavoli saltellava il gobbo di turno che stuzzicava qualche cavaliere sussurrando ardite galanterie alle loro compagne.
La fumosa taverna era infatti frequentata anche da donne ma la penna irriverente del Ricciardetto sosteneva che nelle loro culle fossero state sfiorate da fate maligne per divenire così orripilanti: “Quella lì, alta, grossa, grassa e mustacchiuta, era un’autentica donna cannone; vicino a lei una biondina, pallida ed emaciata, dalle gambe ridevolmente raccorciate, seduta sembrava più alta che in piedi; una terza, loquace e irrequieta come una trottola, pareva un campione spedito dal paese dei nani”.

cdfQuando le sghignazzate e i suoni stonati della fisarmonica esageravano i toni appariva l’oste, grasso come un otre, che battendo le mani annunciava con voce possente la chiusura della taverna, così “la grottesca carovana usciva alla spicciolata nella via già oscura e le coppie andavano rasente i muri, in cerca delle loro umide e luride tane…”

Leggendo i racconti di Riccardo Gurresch raccolti nel libro Vecchia Trieste pubblicato nel 1930, non avremmo mai immaginato che fosse stato un impiegato dell’Avvocatura erariale anziché uno scrittore o quantomeno un giornalista di cronache cittadine, ma forse fu proprio quel serioso e burocratico lavoro a stimolare il suo spirito bohémien, immerso in un mondo dalle scenografie pittoresche dove la storia dei tempi passati si confondeva con le più surreali leggende.

Gli articoli del Ricciardetto pubblicati su “Il Piccolo” furono da subito seguitissimi dai triestini che sebbene ne avessero passate di tutti i colori non disdegnarono mai quel certo spirito goliardico del “sempre allegri e mai passion, viva là e po’ bon!”

Fonte: Riccardo Gurresch (Ricciardetto), Vecchia Trieste, Anonima Libraria Italiana, 1930

Le foto sono tratte dai quadri di Abraham Teniers e di Adriaen Brouwer

Cronache burlesche di Trieste

 

corettoVerso la metà dell’Ottocento, quando le strade notturne erano illuminate dalle flebili fiamme dei fanali a olio e percorse solo da pochi viandanti muniti di lanternino, si vociferava che dopo la mezzanotte in contrada Prandi si aggirasse un’eterea e silenziosa dama bianca in cammino verso il vecchio cimitero di San Giusto. Quando un celebre artista scritturato al Teatro Grande (1) attestò la sua esistenza le apparizioni della dama furono riportate sui giornali diventando cronaca di città per poi durare fino alla comparsa dei nuovi fanali a gas illuminante. (2) 

 

HydeIn contemporanea alla “dama bianca” non poteva mancare “l’uomo nero” che però non fuggiva alla luce diurna ma anzi si specificava che all’ora del liston passeggiasse addirittura lungo il Corso tra il fuggi-fuggi dei cittadini terrorizzati dal suo sguardo iettatore.

damaneraMa la più surreale leggenda di quei tempi riferiva la presenza di una misteriosa signora velata giunta a Trieste durante la Quaresima dell’anno 1852 e alloggiata nella Locanda Grande. Nessuno l’aveva vista ma con la celerità del telegrafo, allora appena introdotto, si diffuse la notizia che fosse una nobile gentildonna, colta, ricchissima e in cerca di marito. I numerosi pretendenti che si presentavano al suo cospetto, venivano accolti nella sua stanza dove costei, elegante e slanciata appariva nella penombra. I suoi modi erano cortesi e la sua voce angelica ma quando si toglieva dal volto il fitto velo (per alcuni un drappo di velluto nero) appariva la spaventosa faccia di un morto.
corrNaturalmente gli spasimanti fuggivano a gambe levate, alcuni sarebbero addirittura svenuti per la scale e rianimati con la Melissa dei Frati scalzi, però poi nessuno udì la loro testimonianza in quanto rimasero sempre irreperibili.

Allora un curioso quanto intraprendente giornalista deciso a scrivere un articolo sulle Cronache e a tacitare cotanti pettegolezzi, si presentò alla Locanda Grande chiedendo il permesso di fare un’intervista alla misteriosissima dama. L’albergatore ridendo a crepapelle ammise il soggiorno di una una forestiera che secondo la sua cameriera cercava marito velandosi il viso per un sua personalissima ragione specificando che queste informazioni erano state da costei confidate a uno sguattero che poi le riferì al portinaio il quale le riportò a una “tabacchina” per essere subito raccontate, con tanto di aggiunte e di ricchezza di particolari, al marito barbiere. Così, come nel tradizionale ruolo del Figaro rossiniano, non solo la notizia venne diffusa in un battibaleno ma fu pure esageratamente dettagliata e diffusa per tutte le contrade di città.
“A Trieste si fa di ogni mosca un elefante” asserì il giornalista nel suo articolo, ciononostante la signora dalla testa di un morto riapparve a più riprese a Gorizia, a Fiume e di nuovo a Trieste.

Dopo solo 2 anni dall’arrivo in città della enigmatica signora velata, lo scrittore Adalberto Thiergen (3) si ispirò alla sua storia scrivendo il tragicomico racconto “L’avventura di un barbiere triestino” dove il ruolo del Figaro concittadino era affidato a un certo signor Leone Spaccagnocchi.
Da allora la terrificante dama velata divenne una delle leggende della città che ci siamo divertiti a raccontare.

Note:
1. Non è dato sapere chi mai fosse stato
2. Dopo il 1864 quando nacque l’Officina Comunale del gas illuminante
3. Adalberto Thiergen, pseudonimo di Tito Delaberrenga, nacque nel 1822 a Landstrom in Boemia ma 2 anni dopo si trasferì a Trieste con la famiglia. A soli 18 anni iniziò a collaborare con la rivista “La Favilla” che tra il 1842/43 pubblicò tutti i suoi racconti.
Nel 1844 scrisse il romanzo popolare La Marinella, figlia del garzone gobbo dell’usuraio Falco in una storia ispirata dalla famiglia Marinellis che intorno al Cinquecento visse in un’androna di Cittavecchia.
Il romanzo non solo ebbe uno strepitoso successo ma fu rielaborato in un dramma teatrale e in un libretto d’opera musicato da Giuseppe Sinico.
In seguito Thiergen scrisse I misteri di Trieste raccolti in 4 volumetti pubblicati nel 1858, anno della sua morte.

Notizie tratte da: Riccardo Gurresch (Ricciardetto), Vecchia Trieste, Anonima Libraria Italiana, Trieste, 1930img156