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Gli ultimi tragici giorni di Massimiliano d’Asburgo

È la notte del 14 maggio 1867. In una stanza del convento di Santa Cruz Massimiliano cerca di riposare in stato di totale stordimento dopo una terribile crisi di dissenteria. Improvvisamente irrompe Miguel López, il colonnello traditore dell’esercito repubblicano, annunciandogli che l’esercito di Juárez sta circondando Querétaro e che deve immediatamente fuggire. Nonostante la fiacchezza Max si veste e con pochi fedelissimi avanza a piedi verso Cerro de Campanas, alle porte della città, dove si erano riuniti i suoi restanti 100 soldati. Ad un tratto dalla collina rocciosa avvolta dal buio, divampano i fuochi di una tremenda sparatoria. López scompare nella notte e per Massimiliano è la fine: innalza la bandiera bianca e si consegna al generale Escobedo. Mentre attraversa la città i combattenti repubblicani ormai vincitori cantano sprezzanti “Adiós mamá Carlotta” sull’aria della Paloma. Imprigionato nel convento di Santa Cruz, sono sufficienti due giorni per la sua condanna a morte sentenziata da Benito Juárez tra l’indifferenza del governo degli Stati Uniti e l’impotenza degli imperatori d’Europa.
Nella lettera d’addio alla madre, l’arciduchessa Sofia, Massimiliano dichiara di essere stato tradito dopo una valorosa resistenza e invia l’affettuoso commiato ai suoi fratelli, parenti e amici cui lascia degli oggetti in suo ricordo. Al suo carnefice Juarez chiede che in nome della pace e della prosperità il suo sangue sia l’ultimo versato su quella terra sventurata.
Il 19 giugno 1867, svegliato alle tre del mattino per essere giustiziato, si veste di nero e trova la forza di consolare il suo confessore padre Soria e i fedeli domestici Blasio e Grill sciolti in lacrime.
Accompagnato in carrozza a Cerro de Campanas, il luogo della resa, giunge davanti al plotone d’esecuzione con 2 generali condannati insieme a lui, Massimiliano consegna una moneta d’oro a ognuno dei soldati prima di essere fucilato a morte.
Il suo cadavere sarà poi consegnato al dott. Liera per l’imbalsamazione ma le pratiche di costui saranno talmente inadeguate che il corpo andrà in putrefazione. Chiamati altri medici per cercare di riparare i danni, incastreranno degli occhi di vetro al posto di quelli ormai liquefatti richiudendo infine la salma deturpata in una cassa di legno per affrontare il viaggio verso l’Europa.
Il comando della fregata “Novara” la mitica nave con cui l’arciduca compì il giro del mondo (1857-59) e raggiunse il Messico con la giovane moglie Carlotta (29/5/1864) verrà affidato all’ammiraglio Wilhem von Tegetthoff dopo lunghe trattative. Imbarcata a Veracruz il 26 novembre 1867, arriva al molo San Carlo di Trieste la sera del 15 gennaio 1868. La mattina seguente la bara circondata da torce mortuarie e la statua di un leone piangente viene adagiata su un catafalco ricoperto da drappi neri. Ai 21 colpi di cannone risponderanno le batterie del porto e le campane di tutta la città. Il mesto corteo attraversa piazza Grande, il Corso, la via Sant’Antonio (oggi via Dante), passa davanti la Caserma proseguendo per via della Torrente (oggi Carducci) verso la Ferrovia Meridionale dove il feretro sarà issato su un treno speciale per Vienna.
Nella cappella della Hofburg tappezzata a lutto, l’arciduchessa Sofia inorridita dalla maschera grottesca dell’amatissimo figlio e sconvolta dal dolore, lo veglierà per l’intera notte.
Il 18 gennaio 1868, dopo il solenne funerale, Ferdinando Massimiliano d’Asbugo, arciduca d’Austria, governatore del Lombardo – Veneto, Imperatore del Messico per 3 anni e 70 giorni, sarà infine inumato nella Cripta dei Cappuccini.

(Michele di Grecia, “L’imperatrice degli addii”, Milano, Mondadori, 2000)