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San Sabba: altri reperti romani (seconda parte)

Interrotti gli studi sulla fullonica romana, scoperta nel corso degli scavi eseguiti alla fine del declivio di monte San Pantaleone tra il 1884 e 1885, il professor Alberto Puschi riprese le sue ricerche nella zona dove si stavano allestendo le officine degli olii minerali. (1)

Foto collezione Giulio Benussialfredo spizzamiglio

Nella insenatura antistante la fullonica furono rinvenuti dei grossi blocchi di banchina e due basamenti per il cordame che testimoniarono la presenza di un piccolo porto per le piroghe destinate alla pesca dei murici, da cui, come abbiamo scritto nell’articolo precedente, veniva ricavata la porpora, e che considerando la loro abbondanza venivano presumibilmente destinate alle tavole della popolazione. Per la scoperta di alcuni frammenti riconducibili a una sorta di faro fu dedotta la presenza di un terzo molo però di incerta datazione.img807Sul lembo sporgente della costa si trovava l’antichissima chiesetta San Sabbata, allora in stato di abbandono, menzionata fin dal 1271 e circondata per centinaia di anni da vigne e un boschetto di olivi (2). Chiamata in origine Sancta Sabeda o Sancta Sabata-Sabbata divenne in seguito menzionata San Sabba dando il nome al futuro rione. (3)
Nel seicento quella cappella divenne proprietà della famiglia Petazzi e in seguito acquistata da quella degli Urbani che nel 1743 la restaurarono. Soppressa dall’imperatore Giuseppe II nel 1784 cadde in rovina ma nel 1893 risultò essere stata nuovamente restaurata con l’inaugurazione di una messa il 12 luglio.

Disegni della chiesetta di San Sabba sul manoscritto “Chiese di Trieste” di Luigi de Jennerimg795img798img816
Foto da Triestestoriachiesa valmaura 2
A poca distanza dall’abside della cappella, scavando a 1 metro sottoterra, il professor Puschi trovò alcuni frammenti di tegole, cocci di vasi in terracotta, un gradino di calcare, un bronzo con l’effigie dell’imperatore Claudio (41 – 54 d.C.) alcune monete, e i coperchi di olle vinarie e olearie il tutto riconducibile a una villa marittima risalente alla prima metà del I° secolo d.C.
Nel 1888 fu trovata anche una testa di marmo greco appartenente a un busto o a una statua di una donna di mezza età e di proporzioni naturali la cui capigliatura veniva usata alla prima metà del terzo secolo facendo supporre che appartenesse alla famiglia dei Severi, forse addirittura di Julia Maesa, zia dell’imperatore Caracalla (4) Il prezioso reperto fu poi donato dall’impresa Cecconi, conduttrice dei lavori, al Civico Museo dell’Antichità. (5)
img779Nel 1889, quando iniziarono gli scavi per la costruzione del tronco ferroviario che avrebbe collegato il porto di San Sabba a Servola , emersero 11 monete di vari periodi romani, oggetti in ferro non databili e il frammento di un’urna cineraria in pietra calcarea. Sette anni dopo, ancora nelle vicinanze della riva e nel corso dell’allestimento del primo altoforno delle Krainische Industrie Gesellschaft vennero alla luce un pavimento musivo di pietruzze bianche, frammenti di terracotte e un ulteriore urna cineraria.

Qui finirono i rinvenimenti dei nostri antichi concittadini romani e iniziò la storia della Trieste industriale che indubbiamente portò ricchezza e posti di lavoro e arricchimento mentre non si è più saputo nulla di quell’antichissima chiesetta incredibilmente vissuta per più di 600 anni lì dove oggi ci sono i bariloni di gasolio e gli altoforni della Ferriera, ma non possiamo fare a meno di sognare quelle ville romane accanto alla spiaggia, le stanze della fullonica, la pesca sulle piroghe, le cavalcate dei legionari con le mantelle svolazzanti tinte con i molluschi del nostro golfo…org

Nella foto (collezione Claudio Gustin) il porticciolo di San Sabba com’era ancora nel 1914img805

Note:
1. La Raffineria Triestina Olii Minerali, terminata nel 1893, divenne una delle più importanti raffinerie dell’Impero Asburgico, grazie allo sfruttamento del greggio galiziano. Dopo la prima guerra mondiale e il passaggio di Trieste al Regno d’Italia, l’azienda venne risanata dalla Società Italo Americana per il Petrolio (SIAP), del gruppo Standard Oil, che la rifornì di petrolio americano assumendone il controllo
2. Così scrisse il vescovo Fra Pace da Vedano nelle sue Memorie capitolari 
3. Si potrebbe forse supporre che il nome potesse essere un retaggio bizantino riferibile al santo venerato dai serbo-ortodossi 
4. Nato nel 188 d.C. fu assassinato in Turchia nel 217 
5. Allora collocato a Palazzo Biserini di piazza Hortis, e dopo il 1924 nella sede in via della Cattedrale

Fonti delle notizie:
Alberto Puschi, Antichità scoperte a Trieste e nel suo territorio, Archeografo Triestino, Vol. XXI, Trieste, 1896-1897
Adriano Sancin, Servola, Edizioni Moderna, Trieste, 1985

San Sabba: una fullonica romana

In tempi recenti sono stati scoperti i primi insediamenti dei legionari romani sul colle San Rocco e sui forti inferiori di Grociana piccola e Montedoro che durante le sanguinose guerre con gli Istri, svoltesi tra il 178 e il 177 a.C., furono dei strategici punti di difesa e di presidio sul porto naturale di Stramare dove venivano attraccate le navi.
Con le più innovative ricerche del LiDAR, l’archeologo Federico Bernardini (1) è riuscito a individuare antichissimi reperti anche sotto terreni coperti da fitte vegetazioni che per l’imperversare dei freddi venti di Bora furono così risparmiate dalle costruzioni di case e campi coltivati.
Fu dunque qui che s’insidiò il primo nucleo della Tergeste romana come venne già descritto da Tito Livio nelle sue cronache Ab Urbe Condita. (2)
Solamente verso la metà del I° secolo a.C. la colonia si stanziò sul colle capitolino (3) e tra gli anni 33 e 32 a.C. eresse le mura difensive con le torri di controllo stabilendo il centro politico, amministrativo e religioso sulla sommità, le abitazioni lungo il declivio e le strutture commerciali vicino al porto.

Con la crescita dell’Agro romano e la necessità delle vie di comunicazione l’imperatore Vespasiano (4) tra il 78 e il 70 d.C. allestì una strada che iniziando dai tracciati a est delle zone costiere (5) (6) attraversasse il territorio raggiungendo la Tergeste sul colle capitolino per proseguire lungo le coste del golfo verso la Val Rosandra e l’Istria prolungandosi sino a Pola. (7) (8)img774

Foto Wikipedia: l’imperatore Vespasiano, Palazzo Massimo di Roma 

Wikipedia (vedi targa)

Foto Wikimedia: moneta con l’effigie di Vespasiano vesp wiki

Sorse così l’importante e lunghissima via Flavia dove si stabilirono ville residenziali, officine, laboratori artigianali e nell’insenatura nei pressi di San Sabba anche un piccolo porto commerciale.

Foto da istrianet.org – Archeology – Giorgio Gerometisrianet.org

Fu proprio qui che Alberto Puschi (9) effettuò degli scavi riportando alla luce alcuni interessanti reperti di epoca romana.
Nei parziali scavi eseguiti sul versante sud-orientale del colle San Pantaleone tra il 1884 e 1885 il professore rinvenne un grande ambiente pavimentato con mattonelle a spina di pesce, diversi cocci di vasi e delle basi circolari provviste di supporti che presumibilmente reggevano le condutture d’acqua. I numerosi frammenti di gusci riconducibili a dei murici e gli avanzi di carbone e cenere scoperti in un’altra stanza lo convinsero che la struttura fosse stata una fullonica di epoca romana. (10)

Murex brandaris (murici, garuse, garusole)VitAntica garuse

Foto da paduaresearch: dal disegno della fullonica di Alberto Puschi  

studi padova pdf

Ricostruzione della fullonica in un disegno di Giusto Almerigogna (dal libro Servolaimg771Foto da Mediterraneo antico: la vasca di una fullonica a Pompei  Mediterraneo Antico
Presi degli appunti ed eseguiti alcuni disegni il Puschi fu però intimato dal proprietario del fondo a interrompere gli scavi e quando 6 anni dopo vennero costruiti gli edifici per la raffineria di olii minerali, trovò solo un ammasso di macerie.

Foto collezione di Andrea Dia: la raffineria di oli minerali, inaugurata nel 1892 e collocabile alla fine di via Rio Primario  andrea Dia
Sebbene alcuni studiosi abbiano messo in dubbio che l’edificio rinvenuto dal professor Puschi fosse una fullonica ritenendola invece un’officina per la lavorazione dell’olio o del pesce, la presenza dei gusci di murici potrebbero effettivamente suggerirne la funzione di tintoria in quanto proprio da quei molluschi si ricavava una preziosissima sostanza per creare la porpora, prediletto colore-simbolo del popolo romano.

Da un dipinto di Lionel-Noel RoyerporporaCome testimonianza che l’edificio scoperto del Puschi fosse effettivamente una fullonica potrebbe essere il rinvenimento alcuni anni dopo di una stele con l’epigrafe sepolcrale degli Hostilii della dinastia chiamata giulio-claudia, risalente a Ottaviano Augusto della gens Julia e a  Tiberio Claudio Cesare Germanico della gens Claudia, imperatori romani tra il 27 a.C. e il 68 d.C.
Alla base di detta stele appariva infatti una fornace fornita di caldaia con accanto dei cavalletti-stenditoi sui quali erano appese delle stoffe.

Foto Civici Musei di Storia e Arteimg776

Seppure si rimanda la querelle agli archeologi e ricercatori storici, vorremmo qui riferirci sia al rinvenimento nell’officina dei frammenti dei murici che alle lavorazioni dei tessuti.
Dai gusci delle murex brandaris, garuse nella terminologia triestina e garusole in quella veneta, venivano estratte le ghiandole ipobrachiali che esposte all’aria e alla luce assumevano una forte colorazione violacea; con alcuni particolari trattamenti si trasformavano nella preziosissima porpora con la quale venivano poi tinti i mantelli e gli abiti dell’élite romana.
Complessivamente il lavoro dei fullones doveva essere molto maleodorante in quanto non solo c’erano i miasmi di tutti i murici sgusciati ma anche quelle di urina umana da cui si ricavava l’ammoniaca necessaria per lo sgrassamento dei tessuti.
Considerando la grande richiesta della sostanza organica, usata anche da conciatori, agricoltori e persino dai medici, l’oculatissimo imperatore Vespasiano decise così di tassarla con la centesima venalium, una vera e propria tassa sul recupero dello sgradevole ma prezioso “oro giallo”.
Fu così che nacque il famoso detto “Pecunia non olet

Foto Wikipedia: un vespasiano romano a Ostia antica

orinatoi wiki
(continua con la seconda parte)

NOTE
1. A capo del team interdisciplinare coordinato dal Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam, dall’Università di Trieste e dal Centro di studi Enrico Fermi di Roma
2. Dai materiali archeologicci rinvenuti venne dedotto che il Castrum principale fosse rimasto in uso almeno fino alla metà del I° secolo a.C.
3. Fu ritenuto che sul colle fosse esistita una precedente rocca difensiva (Monte Muliano per Kandler)  
4. Tito Flavio Vespasiano (9 a.C.- 79 d.C.) imperatore dal 69 al 79 d.C. fu un ottimo amministratore per le disastrate finanze del governo romano
5. Nel testo Servola, i nostri rioni,  Antonio Sancin sostenne risalisse al 33 a.C. come prolungamento della strada di Lisert (tracciata nel 178 a.C. da Aulo Manlio Vulsone) per proseguire sino a Pola nel 78 d.C.
6. Secondo fonti storiche riportate anche da Wikipedia, l’antica via iniziava da Aquileia e veniva chiamata Gemina, o come gemellaggio della via Postumia oppure perché fu costruita dalla Legio Gemina nel 14 a.C. allora presente nella Venetia et Histria
7. La cosiddetta via costiera o litoranea collegava Tergeste all’Histria lungo il tracciato via dell’Istria – via Flavia attraversando il rione di San Giacomo e proseguendo verso la vallata di Zaule (da Atti e Memorie della Società istriana di Archeologia e Storia patria)
8. A testimonianza che esistesse una strada a valle del colle capitolino verso San Giacomo, oggi via Bramante, furono gli scavi effettuati nel 1908 nel bosco Pontini che portarono alla luce delle officine per la lavorazione del ferro, un granaio con le macine e un forno per la cottura del pane. Nei primi mesi del 2019, durante l’allestimento di tubature in via Montecucco, sono state scoperte le tracce di una strada databile a un’epoca altoimperiale che potrebbe ricollegarsi all’asse di via Bramante – San Giacomo-via Flavia.
Vedere anche su: https://quitrieste.it/2014/07/bosco-pontini-e-via-bramante/ 
9. Alberto Puschi (Trieste 1853 – 1922) fu numismatico, archeologo e direttore del Museo Civico d’Antichità dal 1884 al 1919 dove riordinò l’Orto Lapidario
10. Nelle fulloniche venivano lavate sia le vesti usate che quelle nuove per essere poi vendute nei mercati; con speciali procedure venivano anche tinte

Fonti:
Alberto Puschi, Relazione intorno alle scoperte archeologiche di San Sabba presso Trieste, 1886 (Civici Musei di Storia e Arte)
Adriano Sancin, Servola, Edizioni Moderna, Trieste, 1985
Consultazioni:
Paola Ventura, Tergeste romana: elementi per la forma Urbis, estratto dall’ “Archeografo Triestino”, Serie IV, 1996, Vol. LVI
nationalgeographic.it – archeocartafvg. – Ilfattostorico-com – paduaresearch