I secoli della peste

Trieste, le terre interne e lungo tutto il Litorale adriatico, come del resto anche l’Italia e l’intera Europa, fin dalla metà del Trecento furono colpite da violentissime epidemie di peste.
La terribile malattia venne diffusa soprattutto dai porti dove avveniva un continuo transito di commercianti, soldati, marinai, pellegrini e merci provenienti dall’Oriente dove la peste era diffusa dal rattus rattus, una varietà di ratto infettato dalla pulce Zenopsilla Cheopis che si attaccava anche all’uomo.
Le navi con casi di contagio a bordo venivano isolate per un certo periodo ma le epidemie si diffondevano ugualmente terrorizzando la popolazione che le ritenevano una punizione delle loro colpe.
Il morbo si manifestava con la comparsa di bubboni seguiti da febbri altissime e un decorso di 5/6 giorni ma nel 70/80% dei casi sopraggiungeva il delirio e la morte.
I cadaveri si accumulavano su strade e piazze mentre le pulci sui corpi ancora caldi si spostavano sui viventi infettandoli.

Foto tratta da un quadro di Domenico Gargiulo (detto Micco Spadaro, 1609/1612 – 1675)Peste 2 Micco Spadaro
Molti fuggivano dalle città abbandonando ogni avere pur di aver salva la vita e per quanti rimanevano nelle città si allestirono altari e cappelle, vennero organizzati riti religiosi, novene e processioni per pregare, espiare e ottenere il perdono dei propri peccati. Furono costruite anche delle chiese dedicate ai Santi Rocco e Sebastiano che alla fine del Duecento, dopo essere stati colpiti e prodigiosamente guariti dalla peste, si dedicarono alla cura degli ammalati.

I pochi medici di allora non disponevano di efficaci rimedi per debellare i contagi e fin dal Medioevo il solo mezzo per contrastare le varie epidemie che decimavano le popolazioni fu l’aceto le cui diverse proprietà furono descritte nel testo trecentesco De agri cultura di Pietro de’ Crescenzi.

Durante le visite agli ammalati i medici indossavano una specie di toga lunga e incerata, una maschera dotata di occhiali e di un lungo becco contenente delle spezie per contrastare i contagi.
medici 2Nacquero così le “Corporazioni dei fabbricanti d’aceto” di cui la maggiore fu quella dei “Vignaioli Acetai” sorta presso la chiesa di Santa Maria dell’Orto a Roma.
Sulle proprietà di questo preparato nel 1560 fu scritto il testo La singolar dottrina di Domenico Romoli, detto il Panonto, e nel 1611 il Tesoro della sanità di Castor Durante, stampato a Venezia.

Ancora nel Settecento come antidoto delle malattie endemiche veniva usato l’aceto concentrato con l’aggiunta di canfora e succhi di cedro e acetosella, e nel corso dell’Ottocento di un distillato dell’acetato di rame.

L’Impero asburgico sentì la necessità di isolare chi provenisse da paesi di possibile contagio obbligandoli a trascorrere un periodo di isolamento in spazi organizzati e protetti da mura chiamati Lazzaretti. (nota1)
Purtroppo però durante le epidemie non solo si riempivano a dismisura di ammalati che con altissima probabilità morivano nel giro di pochi giorni ma favorivano pure i contagi per le loro precarie condizioni igieniche.

A Trieste vennero costruiti 2 Lazzaretti: il primo tra il 1720 e il 1731 nell’area di Campo Marzio nominato “San Carlo” (nota 2) il secondo tra il 1765 e il 1769 nella zona di Roiano e intitolato “Santa Teresa” in onore dell’Imperatrice. (nota 3)

Il Lazzaretto San Carlo in una nota stampa di Rieger img445

Il Lazzaretto Santa Teresa in una cromolitografia dei primi decenni dell’Ottocentoimg441

Negli anni 1835, 1849 e 1855 Trieste fu duramente colpita anche dalle epidemie di colera provocando a ogni ondata dai 3.000 ai 4.500 casi e la morte del 40% degli infettati.

Nella foto (dal Museo Scaramangà) il portale d’ingresso del Lazzaretto Vecchio come si presentava nel 1840img446

Tra il 1867 e il 1869 sulla costa tra Punta Grossa e Punta Sottile venne allestito il terzo Lazzaretto detto “San Bartolomeo” , rimasto attivo fino alla prima guerra mondiale (nota 4)Lazzaretto san bartolomeo

Nella foto l’iscrizione sul portale d’ingresso che si trovava nel Lazzaretto di Santa Teresaimg454

Gli ultimi devastanti contagi di colera si manifestarono nel 1885 quando era già stato attivato l’Ospedale per malattie infettive S. Maria Maddalena, con padiglioni per colerosi dotati di appositi sistemi igienici di smaltimento dei liquami e dove nel 1886 si registrò il ricovero dell’ultima persona contagiata.

Solo alla fine del XIX secolo lo scienziato Louis Pasteur (1822 – 1895) dimostrò la natura biologica della fermentazione acetica indicando nel Mycoderma aceti l’agente del processo di tale formazione arrivando a identificare i microrganismi.

Con il miglioramento delle condizioni socio-economiche e igienico-sanitarie di gran parte della popolazione le tremende epidemie del passato furono progressivamente debellate e alla fine del XIX secolo scomparvero dallo scenario europeo.

L’ingresso del Lazzaretto Vecchio in una foto di Pietro Opigliaimage

Note:

  1. Sull’origine del nome “Lazzaretto” ci sono due ipotesi: la prima potrebbe riferirsi al Lazzaro, il lebbroso della parabola evangelica, la seconda al primo Lazzaretto sorto a Venezia il cui titolo di Santa Maria di Nazareth sarebbe stato foneticamente distorto con il nome di “lazzaretto”.
  2. Il “Lazzaretto San Carlo”, così nominato in onore di Carlo VI d’Asburgo (Vienna 1685-1740) aveva all’interno un’area medica, una chiesa dedicata a san Carlo Borromeo e un cimitero. In seguito venne chiamato “Lazzaretto vecchio” e trasformato in un arsenale di artiglieria. Nel grande edificio limitrofo nel 1904 venne allestito il “Museo del Mare”, ancora esistente nell’attuale via di Campo Marzio assieme ad alcune strutture. Il portale e l’edificio retrostante vennero demoliti nel 1950/51 dagli angloamericani.
  3. Nel Lazzaretto “Santa Teresa” esistevano 2 edifici per la quarantena, un ospedale, la cappella, 4 magazzini, 2 stalle e un cimitero. Dopo la costruzione della Ferrovia Meridionale il Lazzaretto verrà parzialmente interrato e nel 1880 definitivamente chiuso.
  4. Il nuovo Lazzaretto, che disponeva del collegamento ferroviario con la città e di un forno crematorio interno, rimase attivo fino al 1918. Attualmente è di proprietà del demanio militare.

Fonte: Renato Zanolli, Guida insolita di Trieste e della Venezia Giulia, Newton & Compton Editori, Roma, 2005
Alcune notizie sono state tratte da Wikipedia e dalla relazione “Un Lazzaretto dell’Ottocento nell’alto Adriatico” di Euro Ponte

3 pensieri su “I secoli della peste

  1. BORIS DI CHITO

    Mi spiace contraddire, ma in riferimento al colera a Trieste, l’ospedale per malattie contagiose alla Maddalena non esisteva ancora. La sua costruzione era ancora in discussione e ritenuta non ancora necessaria e ciò dopo l’epidemia di vaiolo protrattasi a Trieste da metà 1885 a metà 1886 ( alcuni casi, anche mortali, si verificarono per la verità anche dopo tale data. Il colera di cui i primi 4 /5 casi a Trieste si verificarono nel dicembre 1885, e dopo un periodo di pausa ricominciarono in maniera molto più virulenta a metà anno 1886, fece si che i malati colpiti dal morbo venissero posti o nelle baracche postiche dell’ospedale Maggiore; inoltre fu riutilizzato l’edificio adibito a scuola sito in via Manzoni, edificio che era già stato requisito come scuola ed adibito ai colpiti dalla precedente epidemia di vaiolo. Ancora, in un apposito spazio sempre con baracche (denominato ospedale provvisorio per i colerosi, sito nel rione di Rozzol nella detta campagna “Zoldan”. Dell” Ospedale per malattie infettive della Maddalena nel 1886 non esiste neanche le fondamenta!!!

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    1. Gabriella Amstici Autore articolo

      Come riportato sulla sezione “Malattie infettive” pubblicata sul sito ufficiale dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata della Regione Autonoma FVG risulta che “Il reparto ospedaliero di Malattie Infettive nasce nel 1886 e, secondo la concezione dei “lazzareti” del tempo, viene dislocato nell’ambito dell’Ospedale di Santa Maria Maddalena di Trieste.”
      In fondo al mio articolo sono riportate le fonti e le consultazioni delle notizie riportate, la relazione del dott. Euro Ponte “Un Lazzaretto dell’Ottocento nell’alto Adriatico” è disponibile sul Web.
      Molte grazie per la sua cortese attenzione
      Gabriella Amstici

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      1. Boris Di Chito

        A confermare quanto da me asserito nella mia precedente email, può consultare il numero del quotidiano il Piccolo di Trieste di data 19 ottobre 1885. Il titolo dell’articolo in prima pagina ” Di un ospedale per le malattie contagiose”. Siccome non riesco a fare un copia e incolla, Le trascrivo l’intero articolo da me copiato:

        Lunedì 19 ottobre 1885
        Di un ospedale per malattie contagiose. L’idea di costruire un edificio apposito ad uso di ospedale per malattie contagiose, ha fatto più volte capolino tra noi, e negli ultimi tempi, anzi, venne siffattamente accarezzata, da prendere corpo in un formale progetto, elaborato dal civico Ufficio Edile, d’ordine del Consiglio di città.
        Secondo quel progetto, a quanto ne sappiamo, l’edificio verrebbe a costare d 300.000 a 400.000 fiorini; queste son cifre di previsione ed i preventivi, siamo ormai avvezzi, a vederli sorpassati, ad opera finita, percui è probabile che l’ospedale sussidiario rasenterebbe il costo di 500.000 fiorini, somma che rappresenta una rendita annua di 25.000 fiorini.
        Noi ci siamo dati cura di consultare in proposito parecchie persone competenti ed abbiamo notato che non pochi esperti in materia sono decisamente contrari al progetto.
        Gli oppositori del progetto dicono che ormai è accertato, da replicate osservazioni, come in media, una epidemia si manifesti ogni 10 anni. Sarebbe pertanto un lusso soverchio l’aggravare il bilancio comunale con un sacrificio annuo di 20-25.000 fiorini per un edificio, che per 9 anni riuscirebbe superfluo; che quel tanto d’isolamento, che può rendersi necessario nel primo manifestarsi d’una epidemia, lo si ottiene facilmente con provvedimenti ad hoc, che poi vi sono le baracche abbastanza isolate del civico Nosocomio; che quell’isolamento, l’esperienza l’ha dimostrato, abbastanza efficace, essendo quando vi furono nella suddetta sezione ricoverati sino a 100 vaiolosi, degli ammalati delle altre sezioni ricoverati, rarissimi contrassero la malattia e non è accertato che la contrassero in causa della vicinanza delle baracche dei vaiolosi. Quanto al servirsi degli edifici scolastici per uso di ospedali sussidiari in tempi di epidemia, gli oppositori osservano che ciò si fa dappertutto, e non a danno dell’istruzione, dappoichè le scuole, infierendo il morbo, si chiudono sempre ed i rispettivi locali possono quindi, senza alcun pregiudizio, venire utilizzati per il bisogno del momento. Osservano infine, che l’isolamento, se mai può essere di qualche valore, lo sarà ai primi casi che si manifestano, non più allorchè l’epidemia siasi estesa; quindi ben poco peso avrebbe un ospedale separato nella diminuzione del morbo cui si tenterebbe a conseguire.
        Un modo per conciliare le diverse posizioni ci sarebbe, e cioè al posto di un ospedale di proporzioni sontuose, costruirne invece uno di proporzioni più modeste.

        La saluto, Boris Di Chito

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