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San Sabba: una fullonica romana

In tempi recenti sono stati scoperti i primi insediamenti dei legionari romani sul colle San Rocco e sui forti inferiori di Grociana piccola e Montedoro che durante le sanguinose guerre con gli Istri, svoltesi tra il 178 e il 177 a.C., furono dei strategici punti di difesa e di presidio sul porto naturale di Stramare dove venivano attraccate le navi.
Con le più innovative ricerche del LiDAR, l’archeologo Federico Bernardini (1) è riuscito a individuare antichissimi reperti anche sotto terreni coperti da fitte vegetazioni che per l’imperversare dei freddi venti di Bora furono così risparmiate dalle costruzioni di case e campi coltivati.
Fu dunque qui che s’insidiò il primo nucleo della Tergeste romana come venne già descritto da Tito Livio nelle sue cronache Ab Urbe Condita. (2)
Solamente verso la metà del I° secolo a.C. la colonia si stanziò sul colle capitolino (3) e tra gli anni 33 e 32 a.C. eresse le mura difensive con le torri di controllo stabilendo il centro politico, amministrativo e religioso sulla sommità, le abitazioni lungo il declivio e le strutture commerciali vicino al porto.

Con la crescita dell’Agro romano e la necessità delle vie di comunicazione l’imperatore Vespasiano (4) tra il 78 e il 70 d.C. allestì una strada che iniziando dai tracciati a est delle zone costiere (5) (6) attraversasse il territorio raggiungendo la Tergeste sul colle capitolino per proseguire lungo le coste del golfo verso la Val Rosandra e l’Istria prolungandosi sino a Pola. (7) (8)img774

Foto Wikipedia: l’imperatore Vespasiano, Palazzo Massimo di Roma 

Wikipedia (vedi targa)

Foto Wikimedia: moneta con l’effigie di Vespasiano vesp wiki

Sorse così l’importante e lunghissima via Flavia dove si stabilirono ville residenziali, officine, laboratori artigianali e nell’insenatura nei pressi di San Sabba anche un piccolo porto commerciale.

Foto da istrianet.org – Archeology – Giorgio Gerometisrianet.org

Fu proprio qui che Alberto Puschi (9) effettuò degli scavi riportando alla luce alcuni interessanti reperti di epoca romana.
Nei parziali scavi eseguiti sul versante sud-orientale del colle San Pantaleone tra il 1884 e 1885 il professore rinvenne un grande ambiente pavimentato con mattonelle a spina di pesce, diversi cocci di vasi e delle basi circolari provviste di supporti che presumibilmente reggevano le condutture d’acqua. I numerosi frammenti di gusci riconducibili a dei murici e gli avanzi di carbone e cenere scoperti in un’altra stanza lo convinsero che la struttura fosse stata una fullonica di epoca romana. (10)

Murex brandaris (murici, garuse, garusole)VitAntica garuse

Foto da paduaresearch: dal disegno della fullonica di Alberto Puschi  

studi padova pdf

Ricostruzione della fullonica in un disegno di Giusto Almerigogna (dal libro Servolaimg771Foto da Mediterraneo antico: la vasca di una fullonica a Pompei  Mediterraneo Antico
Presi degli appunti ed eseguiti alcuni disegni il Puschi fu però intimato dal proprietario del fondo a interrompere gli scavi e quando 6 anni dopo vennero costruiti gli edifici per la raffineria di olii minerali, trovò solo un ammasso di macerie.

Foto collezione di Andrea Dia: la raffineria di oli minerali, inaugurata nel 1892 e collocabile alla fine di via Rio Primario  andrea Dia
Sebbene alcuni studiosi abbiano messo in dubbio che l’edificio rinvenuto dal professor Puschi fosse una fullonica ritenendola invece un’officina per la lavorazione dell’olio o del pesce, la presenza dei gusci di murici potrebbero effettivamente suggerirne la funzione di tintoria in quanto proprio da quei molluschi si ricavava una preziosissima sostanza per creare la porpora, prediletto colore-simbolo del popolo romano.

Da un dipinto di Lionel-Noel RoyerporporaCome testimonianza che l’edificio scoperto del Puschi fosse effettivamente una fullonica potrebbe essere il rinvenimento alcuni anni dopo di una stele con l’epigrafe sepolcrale degli Hostilii della dinastia chiamata giulio-claudia, risalente a Ottaviano Augusto della gens Julia e a  Tiberio Claudio Cesare Germanico della gens Claudia, imperatori romani tra il 27 a.C. e il 68 d.C.
Alla base di detta stele appariva infatti una fornace fornita di caldaia con accanto dei cavalletti-stenditoi sui quali erano appese delle stoffe.

Foto Civici Musei di Storia e Arteimg776

Seppure si rimanda la querelle agli archeologi e ricercatori storici, vorremmo qui riferirci sia al rinvenimento nell’officina dei frammenti dei murici che alle lavorazioni dei tessuti.
Dai gusci delle murex brandaris, garuse nella terminologia triestina e garusole in quella veneta, venivano estratte le ghiandole ipobrachiali che esposte all’aria e alla luce assumevano una forte colorazione violacea; con alcuni particolari trattamenti si trasformavano nella preziosissima porpora con la quale venivano poi tinti i mantelli e gli abiti dell’élite romana.
Complessivamente il lavoro dei fullones doveva essere molto maleodorante in quanto non solo c’erano i miasmi di tutti i murici sgusciati ma anche quelle di urina umana da cui si ricavava l’ammoniaca necessaria per lo sgrassamento dei tessuti.
Considerando la grande richiesta della sostanza organica, usata anche da conciatori, agricoltori e persino dai medici, l’oculatissimo imperatore Vespasiano decise così di tassarla con la centesima venalium, una vera e propria tassa sul recupero dello sgradevole ma prezioso “oro giallo”.
Fu così che nacque il famoso detto “Pecunia non olet

Foto Wikipedia: un vespasiano romano a Ostia antica

orinatoi wiki
(continua con la seconda parte)

NOTE
1. A capo del team interdisciplinare coordinato dal Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam, dall’Università di Trieste e dal Centro di studi Enrico Fermi di Roma
2. Dai materiali archeologicci rinvenuti venne dedotto che il Castrum principale fosse rimasto in uso almeno fino alla metà del I° secolo a.C.
3. Fu ritenuto che sul colle fosse esistita una precedente rocca difensiva (Monte Muliano per Kandler)  
4. Tito Flavio Vespasiano (9 a.C.- 79 d.C.) imperatore dal 69 al 79 d.C. fu un ottimo amministratore per le disastrate finanze del governo romano
5. Nel testo Servola, i nostri rioni,  Antonio Sancin sostenne risalisse al 33 a.C. come prolungamento della strada di Lisert (tracciata nel 178 a.C. da Aulo Manlio Vulsone) per proseguire sino a Pola nel 78 d.C.
6. Secondo fonti storiche riportate anche da Wikipedia, l’antica via iniziava da Aquileia e veniva chiamata Gemina, o come gemellaggio della via Postumia oppure perché fu costruita dalla Legio Gemina nel 14 a.C. allora presente nella Venetia et Histria
7. La cosiddetta via costiera o litoranea collegava Tergeste all’Histria lungo il tracciato via dell’Istria – via Flavia attraversando il rione di San Giacomo e proseguendo verso la vallata di Zaule (da Atti e Memorie della Società istriana di Archeologia e Storia patria)
8. A testimonianza che esistesse una strada a valle del colle capitolino verso San Giacomo, oggi via Bramante, furono gli scavi effettuati nel 1908 nel bosco Pontini che portarono alla luce delle officine per la lavorazione del ferro, un granaio con le macine e un forno per la cottura del pane. Nei primi mesi del 2019, durante l’allestimento di tubature in via Montecucco, sono state scoperte le tracce di una strada databile a un’epoca altoimperiale che potrebbe ricollegarsi all’asse di via Bramante – San Giacomo-via Flavia.
Vedere anche su: https://quitrieste.it/2014/07/bosco-pontini-e-via-bramante/ 
9. Alberto Puschi (Trieste 1853 – 1922) fu numismatico, archeologo e direttore del Museo Civico d’Antichità dal 1884 al 1919 dove riordinò l’Orto Lapidario
10. Nelle fulloniche venivano lavate sia le vesti usate che quelle nuove per essere poi vendute nei mercati; con speciali procedure venivano anche tinte

Fonti:
Alberto Puschi, Relazione intorno alle scoperte archeologiche di San Sabba presso Trieste, 1886 (Civici Musei di Storia e Arte)
Adriano Sancin, Servola, Edizioni Moderna, Trieste, 1985
Consultazioni:
Paola Ventura, Tergeste romana: elementi per la forma Urbis, estratto dall’ “Archeografo Triestino”, Serie IV, 1996, Vol. LVI
nationalgeographic.it – archeocartafvg. – Ilfattostorico-com – paduaresearch

L’acquedotto romano di Borgo San Sergio

Tra il 1976 e 1977 durante gli scavi per la costruzione di nuove palazzine residenziali nella periferia di Borgo San Sergio (nota 1) emerse un tratto dell’ acquedotto romano proveniente dall’antro di Bagnoli, uno dei tre che serviva la Tergeste costruita tra il I° e II° secolo d.C.

La conduttura si trova a mezza a mezza costa della piccola collina sul versante a est della Val Rosandra, a 3,2 chilometri in linea d’aria dalla fonte Oppia, sorgente situata sotto il monte Carso e che all’epoca romana costituiva la principale fonte d’acqua.
Il segmento, lungo 216 metri con una pendenza dell’1,1 per mille a una quota di 74 metri s.l.m., era dotato di cinque pozzi posti ad una distanza variabile da 30 a 36 metri.

Intervenuta la Soprintendenza, fu provveduto a conservare una parte degli storici reperti in un locale protetto dagli agenti atmosferici titolato Antiquarium (nota 2). Qui sono visibili un tratto del canale ed uno dei cinque pozzetti di ispezione sulla volta della conduttura, nonché il materiale archeologico rinvenuto negli scavi.

Sul terrazzamento posto tra le abitazioni della zona, è tuttavia sempre visibile il segmento originario della conduttura romana (allora interrata) che è stato racchiuso in un parallelepipedo dalla base in cemento e ricoperto da lastre trasparenti.
Anche qui si può notare il piedritto costituito da blocchi irregolari di arenaria con la volta a sesto acuto che chiudeva il canalone e la malta idraulica sul fondo per permettere lo scorrimento delle acque.

Dagli studi seguiti a questa interessante scoperta venne stabilito che la lunghezza dell’acquedotto romano dovesse avere una lunghezza di ben 17 chilometri e mezzo di pendenza costante prima di giungere al fontanone collocato in zona Cavana.

Dai terrazzamenti di via Donaggio è visibile la collina dove recentissimamente sono stati scoperti i resti di una Tergeste romana risalente addirittura nel 178 a.C. e quindi precedente a quella sorta tra il I° e II° secolo d.C. intorno al colle di San Giusto di cui sono invece rimaste moltissime documentazioni.

Dagli studi eseguiti con il georadar su questo colle sono state individuate le strutture sepolte del principale campo militare di San Rocco e i forti più piccoli di Grociana piccola e Montedoro, forse edificati durante uno dei conflitti con gli Istri. (nota 3)
Per 2.200 anni i preziosissimi resti sono rimasti protetti in quelle zone talmente vegetate e battute dalla bora da essere usate solo per pascoli e che non sono state soggette a edificazioni che avrebbero compromesso la loro lunghissima sopravvivenza.

Note:
1. In via Donaggio n. 17

2. Visitabile il sabato mattina su richiesta alla Soprintendenza

3. Il campo grande si estendeva su 13 ettari, quanto 13 campi da calcio ed era strategicamente situato nei pressi della baia di Muggia, un porto naturale protetto.

Fonti:
– A.Halupca – L.Veronese – E. Halupca “Trieste nascosta”, LINT Editoriale, 2015, Trieste;
– “Il Piccolo” articolo del 16/3/2015;
– Musei del Friuli Venezia Giulia
– Archeocartafvg

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Il Lapidario Tergestino

L’esposizione si articola all’interno del cinquecentesco bastione Lalio del Castello e illustra la Tergeste romana attraverso i monumenti dell’area capitolina dopo gli impegnativi restauri degli anni Novanta svolti dalla Sopraintendenza e dal Comune.

Inaugurato il 4 aprile 2001 il Lapidario Tergestino comprende alcune iscrizioni apposte su mura e torri edificate tra il 33-32 a.C. da Ottaviano Augusto (Sala A) e quelle che attestano l’erezione di edifici pubblici cittadini da parte di Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio (Sala B). Nella Sala C sono esposti i monumenti sepolcrali suddivisi per provenienza e che comprendono are, stele, cippi, urne e sarcofagi con i nomi degli antichi tergestini. Segue poi il settore dedicato ai luoghi di culto con dediche agli dei e al materiale rinvenuto durante gli scavi del Teatro Romano costituito da una serie di statue che ne decoravano la scena: Venere, Bacco, Apollo, Minerva, Igea e Esculapio.

Grazie alla generosità della famiglia Costantinides è stata allestita una Sala dedicata ai mosaici provenienti dalla lussuosa villa romana rinvenuta sulla costiera di Barcola (databili tra la fine del I° secolo a.C: e la metà del I° sec. d.C.) che documentano l’imitazione da parte dei ricchi proprietari delle opulente dimore di Augusto, Tiberio e Nerone.

Percorrendo i sotterranei del bastione Lalio si viene avvolti da un’atmosfera magnetica e come sospesa in un tempo che ci conduce altrove lasciandoci dei frammenti della sua lunga storia.

La promenade nelle sale del vecchio castello e lungo le sue storiche mura da cui si gode l’arioso panorama, tra i sentieri del Giardino del Capitano e i tenebrosi sotterranei dei torrioni è un irrinunciabile incontro con il corso dei secoli e la sua affascinante, indimenticabile memoria.

(Musei e biblioteche, Comune di Trieste)