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Villa Gossleth – Economo

In largo Promontorio, alla convergenza di viale Terza Armata con la via Franca, accanto a una serie di palazzine condominiali si trova questa imponente struttura dall’aspetto vagamente neo classico.L’edificio, un tempo circondato da uno splendido giardino, venne costruito nel 1817 per volere dell’inglese George Hepburn, commerciante di foglie di tabacco e di mercurio d’Idria. Secondo alcune cronache cittadine, sembra fosse stata la prima residenza di Trieste dotata di WC con la tazza a sifone e serbatoio d’acqua.
Dopo il 1838 fu acquistata dal ricco industriale ungherese Francesco Gossleth, titolare di una prestigiosa falegnameria dove vennero creati una lunga serie di mobili destinati alle più belle dimore dell’epoca. (nota 1)
Per ingrandire la villa il Gossleth affidò l’incarico all’architetto udinese Valentino Presani, direttore del Dipartimento Tecnico di Trieste che aggiunse un avancorpo centrale con 4 colonne corinzie reggenti un grande timpano dalla cornice dentellata e un balcone in pietra con parapetto a balaustra.
Sul portale ad arco dell’ingresso fu collocata una bella inferriata in ferro battuto decorata da motivi geometrici e floreali e sulla facciata vennero murati una serie di pannelli a rilievo con decorazioni a festoni e immagini mitologiche.
Si ricorda che nel 1850 il Gossleth fondò assieme al barone Pasquale Revoltella la “Scuola domenicale di disegno per artigiani”, diretta dall’abile scultore-intagliatore Giovanni Moscotto.Il palazzo passò poi in eredità alla figlia Emma, coniugata in de Seppi e in seguito acquistato dal barone Leo Economo, proprietario con Edmondo de Richetti degli “Oleifici triestini” (poi passati alla “Gaslini”) da cui derivò l’attuale nome della villa.

Nel luglio del 1883 la Villa Economo fu affittata a sir Richard Francis Burton, l’esploratore-antropologo e console inglese che qui visse, con la devota consorte Isabel Arundell, dedicandosi alla traduzione del libro Le Mille e una notte, iniziato vent’anni prima, del mitico Kama Sutra, L’Arte indù dell’amore e lo scandaloso manuale di erotologia araba Il Giardino Profumato. Gli ultimi anni della sua esistenza saranno però amareggiati da una serie di contestazioni in merito ai suoi libri e dai problemi di una salute pesantemente compromessa.
Due settimane dopo la sua morte, avvenuta all’alba del 20 ottobre 1890, Isabel accenderà nel giardino della villa un grande falò dove getterà alcuni preziosi e inediti scritti del discusso consorte.

Tra gli anni Sessanta e Settanta l’immobile è stato interessato da ampliamenti e rifacimenti, risparmiando solamente l’avancorpo centrale e l’atrio d’ingresso mentre il vasto parco verrà lotizzato in una serie di condominii.

(nota 1): Esistono documentazioni certe sull’attività di Francesco Gossleth che fornì anche diversi arredi per il castello di Miramare e per il palazzo Revoltella

Fonte: Atlante Beni culturali; Museo Revoltella

Lady Burton “la timorata di Dio”

Dopo la morte del console Sir Richard Francis Burton, di cui abbiamo scritto nell’articolo precedente, accaddero dei fatti che non solo fecero molto discutere sul comportamento della moglie Isabel Arundell, ma anche per l’irreparabile perdita di documenti e traduzioni di grande valore storico, antropologico e linguistico.
La devota e cattolicissima Isabel, dopo aver vissuto un intenso e morboso legame con l’agnostico consorte, volle riscattare – a suo modo – i suoi molti “peccati” impartendogli negli ultimi istanti di vita una sorta di battesimo con preghiere e un po’ d’acqua. “Se solo potessi salvare l’anima di Dick!” aveva spesso confidato agli amici intimi. Non solo, ma adducendo la sua segreta conversione in fin di vita, convocò un prete costringendolo a impartirgli l’Estrema Unzione a morte già avvenuta.
Organizzati un sontuoso funerale a Trieste con gli alti cerimoniali impartiti dal Vescovo e una sepoltura altrettanto cattolica in patria, la pia Isabel si chiuse nella villa di San Vito per mettere mano sull’archivio dell’illustre coniuge. Il pietoso riscatto religioso in sua memoria sarebbe anche stato dimenticato se costei non avesse attuato l’irreparabile scempio sui moltissimi carteggi inediti distruggendoli con un accanimento agghiacciante.
Non mostrare mai lavori incompleti alle donne e agli sciocchi” scrisse Burton sugli appunti dei Carmina di Catullo ritenendo che la scelta di tradurre e pubblicare antichi testi censurati per secoli nelle parti ritenute scandalose rispondeva al suo irrefrenabile impulso di divulgarli senza però valutarne i rischi connessi.
Così il prezioso manoscritto The Scented Garden, il suo ultimo lavoro tradotto integralmente dall’arabo e già predisposto per le stampe, fu bruciato e riscritto togliendo i passaggi più “spinti” e le parole più “impudiche”. “Non posso ingannare Dio Onnipotente che tiene l’anima di mio marito nelle sue mani” ritenne la timorata Lady Burton, rinunciando alla grossa cifra offerta da un editore londinese.
Ritenendosi dunque tenutaria di un’inconfutabile verità ebbe anche il coraggio di asserire che fu Richard stesso ad “apparirgli” chiedendole di distruggere il testo del Giardino Profumato e che “dopo” le sarebbe riapparso “in un fascio di luce e di pace”.
L’isterico comportamento di Isabel irritò non solo gli editori interessati ma anche i familiari e la vasta cerchia di amicizie che ritenendola bigotta e bugiarda la disconobbero come depositaria dell’ingente eredità storiografica del poliedrico personaggio che, del tutto assorbito dalle sue passioni, evidentemente sottovalutò l’aspetto violento e vendicativo di quella moglie tanto devota.
Sul colle di San Vito fu dunque acceso un grande falò dove, a due settimane dalla sua dipartita, tutti gli inediti e preziosi scritti di Burton nel corso di cinquant’anni di studi, esplorazioni, ricerche ed eccezionali avventure vennero gettati tra le fiamme. Le furiose scintille aizzate dalla bora arsero per giorni e giorni nel bel giardino di villa Economo, ultimo testimone di quelle pagine che raccontavano una mitica e straordinaria vita che nessuno potrà raccontare. Né fu tenuta in considerazione la corposa biografia The Life of Sir Richard F. Burton che l’ossequiosa vedova scrisse su 1200 pagine piene di esaltazioni quanto di fandonie.
Sicuramente però le sofferte amicizie con ambigui personaggi maschili e le meticolose analisi di sfondo sado-masochistico praticate nel bordello di Karachi indussero a considerare che l’eccentrico console fosse tormentato da una latente omosessualità, tematica all’epoca ancora più scandalosa dell’erotismo bisessuale.
Ma a onor di verità si potrebbe tuttavia constatare che Isabel, dotata di una personalità forte e combattiva, non si piegò mai alle dissolutezze del famoso consorte, trovando un autonomo modus-vivendi dedicato alle letture impegnate e allo studio delle lingue.
Andrebbero anche rivalutati alcuni spunti di un femminismo ante-litteram che persino stupisce:
Ho la sensazione che noi donne non facciamo altro che nascere, sposarci e morire. Chi sente la nostra mancanza? perché non dovremmo avere una vita utile ed attiva? Perché, dotate di spirito, cervello ed energie, noi donne dobbiamo esistere per fare lavori sprecati e tenere i conti della casa? Tutto ciò la dà la nausea e non lo farò”: frase riportata sul libro di W.H: Wilkins, The Romance of Isabel Lady Burton che ci piace ricordare in questa storia così intrigante.

Lady Burton al lavoro nel salotto di Villa Economo (Collezione degli Ivanissevich)

(Le notizie sono state tratte dal libro di Corinna Valentini “L’esilio del leone”, Mgs Press, Trieste, 1998)

Gabriella Amstici

Sir Richard Francis Burton

Trieste ospitò per ben 18 anni, dal 1872 al 1890, un illustre personaggio, all’epoca molto conosciuto per la sua eccentrica quanto straordinaria vita: esploratore, etnologo, traduttore ed esperto in cultura araba e africana, Sir Richard Francis Burton fu console di Sua Maestà britannica nella nostra città, dove continuò i suoi molteplici studi riportati su un’ingente mole di scritti.
Nato nel 1821 a Torquay, sulla costa della Cornovaglia, studente al Trinity College di Oxford, fu dotato di eccezionali capacità linguistiche e di spirito d’avventura.
Uomo dalle mille personalità, conoscitore di una quarantina di lingue, Burton varcò gli invalicabili confini geografici dell’Africa equatoriale e quelli inviolabili degli harem dissimulandosi tra i pellegrini mussulmani della Kaaba.
Ottenuto nel 1842 un incarico militare, soggiornò in India dove mantenne una stretta collaborazione con il Governo coloniale inglese. Qui approfondì la conoscenza dei costumi locali e particolarmente delle usanze sessuali.
In seguito soggiornò per lunghi periodi nelle terre dell’Islam assumendo il nome di Mirza Abdullah. Vestito da arabo e parlando perfettamente i vari idiomi, nel 1853 riuscì a raggiungere La Mecca.

Fortemente attratto dall’Africa decise di intraprendere assieme all’amico John Hanning Speke una delle più ardue e contestate esplorazioni dell’epoca: la ricerca delle sorgenti del Nilo e delle leggendarie “Montagne della Luna”. (1)
Nel corso dell’avventurosa e drammatica impresa iniziata da Zanzibar e svoltasi in due fasi tra il 1854 e il 1859, i due esploratori scoprirono il lago di Tanganica. La sua origine vulcanica e l’assenza di un emissario (che fu invece trovato 16 anni dopo come origine del fiume Congo) li spinse alla prosecuzione del percorso, ma per le estreme condizioni di sopravvivenza, Burton, colpito da una grave forma di malaria fu costretto a fermarsi. Speke riuscì faticosamente a continuare e quando verso nord-est scoprì l’enorme lago – che chiamò Vittoria in onore della Regina d’Inghilterra – e convinto che il Nilo ne fosse l’emissario, tracciò delle fantomatiche mappe con i monti delle presunte sorgenti e un paradossale percorso del fiume in salita per ben novanta miglia.
Burton, che in patria dovette accontentarsi di una medaglia al valore, fu seccatissimo e contesterà questa tesi sostenendo che il lago Vittoria fosse solo una delle fonti del Nilo e che la montagna delle sue risorgive dovesse ancora essere trovata. (2)
Per risolvere la scottante questione i due contendenti furono convocati alla British Association for the Advancement of Science presieduta dallo scozzese David Livingston, mitico pioniere-missionario in Africa.
Nel dibattito svoltosi il 15 settembre 1864 a Bath, Burton si presentò con le sue meticolose controteorie geografiche denunciando con efficace oratoria le assurde teorie di Speke, che dopo aver ascoltato in silenzio abbandonò l’aula sconvolto. Nella successiva seduta fu dato il drammatico annuncio della morte di John Speke avvenuta per una pallottola partita accidentalmente dal suo fucile. “I benevoli dicono che si è suicidato, i malevoli dicono che l’ho ucciso io” affermerà Burton che da allora chiuderà il lungo capitolo delle sue avventurose esplorazioni con quella febbre dell’Africa che aveva disgregato la sua salute e i suoi sogni di gloria.

Dopo un soggiorno in Nord America per studiare usi e costumi dei mormoni e dei pellerossa, Burton accettò la nomina di console britannico a Santos in Brasile e successivamente di funzionario a Damasco. Ma alle critiche dell’establishment vittoriano per i suoi costumi libertini e sessualmente ambigui, si aggiunsero quelli del governo britannico che ritenne la sua diplomazia troppo da outsider. Così Sir Burton con un poco impegnativo incarico di console fu “esiliato” a Trieste dove nel 1872 si trasferì assieme alla moglie Isabel Arundell alloggiando in un grande appartamento nei pressi della Stazione.
Qui la coppia condusse un’intensa vita sociale nel colto entourage triestino, senza disdegnare costose piacevolezze come le cene al lussuoso “Hotel de la Ville” sulle rive o al raffinato “Grand Hotel Obelisque” di Opicina.
Già in là con gli anni e poco impegnato con il lavoro al Consolato Britannico, Sir Burton si dedicò con la sua indomita passione agli studi linguistici, ai resoconti dei suoi viaggi e a numerose annotazioni su Trieste e i fenomeni carsici, sul libero porto e i rapporti con l’Impero Austro-Ungarico. Interessatosi al misterioso percorso del fiume Timavo, si immergerà più volte nelle tumultuose acque delle risorgive rischiando di rimanere assiderato.
Molto considerati furono i suoi studi sui castellieri delle nostre colline e un trattato sulle antiche Terme romane di Monfalcone, recentemente ristrutturate.

Trasferitosi nel 1883 nel bel Palazzo Economo sul colle San Vito (in Largo Promontorio), il nostro poliedrico ospite portò a termine la traduzione del libro Le Mille e una notte, iniziato vent’anni prima, del mitico Kama Sutra, L’Arte indù dell’amore e lo scandaloso manuale di erotologia araba Il Giardino Profumato.
Le traduzioni integrali dei testi con un notevole apparato di note, creeranno a Burton degli infiniti problemi di censura, talvolta aggirati con il ricorso a case editrici fasulle o quantomeno esterne all’Inghilterra. Gli ultimi anni della sua esistenza saranno amareggiati da queste contestazioni da lui ritenute ottuse e dalla sua salute pesantemente compromessa da una serie di operazioni per asportare masse tumorali.
Assistito nell’agonia dalla devota e cattolicissima moglie Isabel con cui divise un legame intenso e morboso, Sir Richard Francis Burton morì all’alba del 20 ottobre 1890.
Durante il suo solenne funerale l’amico Attilio Hortis pronunciò un discorso pieno di riconoscenza e commozione invitando Trieste a esporre le bandiere a mezz’asta.
Non fu altrettanto partecipata la cerimonia in memoriam svoltasi alcune settimane dopo a Londra che pur avendo seguito le imprese del suo illustre concittadino, non gli perdonò la vita amorale e quell’ossessione della sessualità carnale e promiscua. La stessa moglie che subì in silenzio i tratti perversi della sua complessa personalità bruciò moltissimi dei suoi scritti fra cui l’ultima traduzione del The Scented Garden che assieme al Kama Sutra ebbero sempre la fama di testi pornografici. (3)

NOTE:
(1) Sull’impresa di Burton e Speke nel 1990 fu girato il film “Le montagne della luna” di Bob Rafelson.

(2) La ricerca delle sorgenti del Nilo continuerà a essere discussa negli anni a venire. Le piene del fiume si verificano infatti nel corso della primavera e dell’estate mentre la stagione delle piogge ingrossa i laghi Vittoria e Tanganica durante l’autunno e l’inverno. Le “Montagne della luna” quelle falsificate sulle mappe di Speke, saranno individuate nel 1934 sull’altopiano del Burundi (a 45 km. dal Tanganica) da Burckart Valdecker. (fonte Wikipedia)

(3) “E mentre farisei e filistei possono o possono fingere di restare scioccati e inorriditi dalle mie pagine, il sano buon senso di un pubblico che lentamente ma sicuramente si sta emancipando dalle pudibonde e pruriginose reticenze e dalle impudenti e immorali modestie della prima metà del XIX secolo, in breve tempo mi renderà, ne sono convinto, piena e ampia giustizia.”
(R. F. Burton, Love, War ad Fancy)

Le notizie sono state tratte dal libro di Corinna Valentini, “L’esilio del Leone”, MGS PRESS, 1998)