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La Passio di San Giusto

In un articolo pubblicato nel 1972 sull’ “Archeografo Triestino” il professor Giuseppe Cuscito riporta i suoi studi sulle origini cristiane di Trieste asserendo che i primi cristiani della colonia tergestina non fossero affatto soliti a radunarsi all’interno delle mura cittadine in quella casa di Eufemia e Tecla dove in seguito al loro martirio sorse l’oratorio e poi la chiesa di San Silvestro come venne sempre riportato nella storiografia.
Secondo il testo Tergeste, scritto nel 1951 dallo storico V. Scrinari, fu supposto che i primi devoti al cristianesimo usassero invece raccogliersi e pregare in luoghi esterni alle mura, lì dove avvenivano i supplizi e le sepolture dei martiri e dove in seguito sarebbero sorte le prime chiese.
Le notizie riguardanti il processo e la morte di Justus, il Patrono di Trieste San Giusto, furono riportate nella Passio, la più importante documentazione dell’epoca raccolta in 3 manoscritti medievali (1), senza però specificare l’anno (2) e il posto preciso in cui il corpo sarebbe stato tumulato.
Nonostante un errore sulle datazioni relative agli imperi romani, venne in seguito accertato che l’anno di riferimento del martirio fosse il 303, coincidente con quello dell’editto per la persecuzione dei cristiani emanato dall’imperatore Massimiano a cui seguì l’uccisione in terre siriane di San Sergio come riportato nel precedente articolo.
Nella Tergeste del III secolo D.C. l’esecuzione del decreto fu affidata al prefectus Mannacius che dando seguito alle denunce di alcuni cittadini fedeli all’Impero romano, convocò il giovane Giusto, reo di aver palesato il segno della croce, imponendogli di abiurare la sua fede cristiana e di offrire dei sacrifici agli dei pagani.
Dopo un deciso rifiuto e secondo l’osservanza delle procedure, Giusto fu rinchiuso in carcere per indurlo alla riflessione ma poiché continuò a ignorare le proposte del magistrato romano, fu flagellato e alla fine condannato a morte per annegamento (3). Avvolto dalle corde e con il cappio al collo fissato da una pietra fu gettato in mare al largo della costa.

Nella foto il Martirio di San Giusto dipinto nel 1900 da Carlo Wostry e conservato in Cattedrale nella navata della Pietà.img383La notte stessa in cui il suo destino fu compiuto il martire apparve in sogno al presbitero Sebastiano e rivelando il luogo dove giaceva il suo corpo gli chiese che quando fosse riemerso dalle profondità del mare di seppellirlo in un luogo nascosto dalle pubbliche autorità. (4)
I fedeli cristiani si recarono così verso quel tratto di costa e rinvenuto il corpo prodigiosamente libero da corde e piombi lo cosparsero di aromi avvolgendolo in tele pregiate.
La Passio riportò solo che i fedeli lo seppellirono non lontano dal luogo del ritrovamento (5) ma tutti gli studi successivi identificarono nell’antica area cimiteriale che si trovava tra l’attuale riva Grumula e il palazzo Revoltella nella zona identificabile dei SS. Martiri.

Trascorsero però molti secoli trascorsero prima di avere un riscontro di quanto riportato sulla Passio poiché solo nel 1963 in seguito agli scavi sulla via Madonna del Mare fu rinvenuta una Basilica Paleocristiana dalla pianta a forma di croce contenente delle iscrizioni databili tra la fine del IV secolo e l’inizio del VI e che di fatto costituirono i primi documenti della più antica comunità cristiana.
Sul presbiterio elevato rispetto all’aula e sotto il piano dell’altare venne scoperto un loculo in pietra per le reliquie che si ritenne avesse contenuto le ossa di San Giusto dopo la sua prima sepoltura.

Foto da Atlante dei Beni CulturaliPresbiterio Madonna del Mare
Dopo l’editto di Costantino del 313 si estese la libertà di culto che sotto la “Sancta Ecclesia Tergestina” proseguì fino all’epoca delle invasioni barbariche quando per il pericolo delle loro razzie profanatrici fu necessario trasferire i beni sacri entro le mura della città.
Nel V° secolo il culto cristiano si trasferì così sulla sommità del colle dove vicino alle rovine dei tempi pagani di Giove, Giunone e Minerva sorse la Basilica di Santa Maria Assunta.

Le reliquie di San Giusto vennero traslate nel IX secolo nella chiesa adiacente (6) dove rimasero fino agli inizi del Milletrecento quando per volere del vescovo Rodolfo Pedrazzani i due edifici vennero uniti in unica chiesa a 5 navate (7) con successivi adattamenti eseguiti dal vescovo Enrico von Wildenstein che nel 1385 la consacrò con un nuovo altare maggiore.
La preziosa urna in lamina d’argento sbalzato e dorato (8) sarà rinvenuta dopo la ricognizione sotto l’altare effettuata nel 1624 dal vescovo Rinaldo Scarlicchio; lo splendido dipinto del Santo con la simbolica palma del martirio sarà invece rinvenuta assieme le reliquie di San Servolo nel luglio del 1825.

Nella foto (di Marino Jerman) la capsella di San Giusto istoriata con girali di vite e un piccolo crocifisso risalente al Milleduecentoimg389

L’immagine del giovane Justus con il prezioso velo in seta di reminiscenza bizantina datato alla metà del Trecento e attribuito a un pittore itinerante tra Creta e Venezia. (foto M. Jerman) img388

Nel 1650 la custodia delle reliquie dette il Tesoro del Santo furono sistemate dietro una splendida cancellata nella cappella di Sant’Antonio Abate, eretta nel 1364, in seguito dotata di un grande armadio ligneo a 18 nicchie sovrapposto a un altare commissionato dal vescovo Pompeo Coronini.

Foto CMSAimg391

 

I bellissimi affreschi affreschi del XIV secolo con le Storie di San Giusto saranno apposti sulla parete della Cappella di San Giovanni con l’antico Battistero del IX secolo.img390
Come scritto alla fine della Passio il martirio di San Giusto e il ringraziamento per il ritrovamento del suo corpo sarà ricordato il 2 novembre di tutti gli anni, data che dal 1931 sarà spostata al giorno successivo per consentire la Commemorazione di tutti i Defunti.

Note:
1. La Passio, che comprende anche quelli scritti su Vienna e Venezia, fu editata da G. Van Hooff nel 1879;
2. Venne invece stabilita la data del 2 novembre;
3. Per le crudeli imposizioni delle leggi romane di allora i credenti cristiani venivano in massa bruciati vivi ma per evitare che fossero venerate le loro ceneri, erano legati con corde e pietre e gettati in mare.
4. Recollige et sepeli me cum diligentia in occulto loco propter tyrannorum illusionem ut decendit in profundum maris, mox funes ipsi cum plumbo dirupti sunt ad litius huius tergestinae civitatis, priusquam in occasum sol declinaret”
5. “Sepelierunt eum (Justum) non longe ad eodem litore, ubi inventum est sancti martyris corpus”
6. Nell’architettura cristiana la chiesetta o cappella costruita con particolari caratteristiche e destinazioni devote era chiamata “Sacello”.
7. Tra il 1302 e il 1320;
8. Il reliquiario ad urna di bottega cividalese fu ritenuto risalire al XIII secolo.

Notizie tratte da:
Giuseppe Cuscito, San Giusto e le origini cristiane a Trieste, estratto dall’Archeografo Triestino Serie IV, 1969-70
Marzia Vidulli Torlo, SAN GIUSTO Ritratto di una Cattedrale, Civici Musei di Storia e Arte, Trieste, 2003

Madonna del Mare, un tempio e la sua storia

All’esterno dell’antica porta Cavana tra la metà del Duecento e i primi anni del Trecento si svilupparono importanti insediamenti di nuovi ordini religiosi con chiese, conventi, ospedali e cimiteri.
Gli edifici sorgevano tra un susseguirsi di chiostri, orti, frutteti, vigne e giardini circondati da alte mura di cinta, per lo più distribuiti attorno all’asse viario di via del Bastione che nell’800 sarà denominato come Contrada o Via di Cavana.

In questa stampa del 1775 si notano le varie strutture accanto le mura della città e gli edifici più discostati dove nel Settecento sorsero la Cereria Nicolentini (contrassegnata con il n. 8) (nota 1), la fabbrica di maioliche Balletti (al n. 9) e lo Zuccherificio della Compagnia di Assicurazione, Commercio e Sconto (al n. 10).

Nel particolare del disegno settecentesco di Francesco Orlandi si possono notare le collocazioni dell’ospedale San Giusto e la chiesa di San Bernardino (al n.4) (nota 2), le chiese dei SS. Martiri e di Santa Lucia (n.6), la chiesa di San Francesco con il convento dei Minoriti (n.3) (nota 3), la Chiesa di Sant’Apollinare e il convento dei cappuccini (n.2), l’ospedale dell’Annunziata con relativa cappella (n.5) e la Cappella di San Francesco di Pola (n.7).
Ci soffermeremo in particolare con l’edificio contrassegnato con il numero 1 in quanto abbiamo ancora oggi le testimonianze della sua esistenza, menzionata sulle vecchie mappe come Chiesa della Madonna del Mare.
Nell’ufficio Parrocchiale di Santa Maria Maggiore sono conservati però dei documenti dove viene nominato il tempio Beatae Virginis Mariae dictae de Mari con i nomi dei defunti sepolti nel vicino cimitero e le notizie delle sue antichissime origini.
La chiesa, sorta fuori dalla cinta muraria, era allora frequentata particolarmente dagli agricoltori e il suo vicino cimitero serviva per le loro sepolture e anche di quelli delle contrade più lontane, da Guardiella a San Pelagio.

Dopo la distruzione del tempio avvenuta durante la guerra del 1368 con i Veneti, il vescovo Angelo Canopeo ottenne i permessi per procedere alla sua ricostruzione e ricevere la pubblica questua.

Nella notte del 2 gennaio 1655 l’edificio fu completamente fu distrutto da un violento incendio e furono salvati dalle fiamme solamente alcuni frammenti di un mosaico che riportava il nome di un certo Rufino con le lettere DXC, che presumibilmente si riferivano alle dimensioni della pavimentazione da lui stesso commissionata.
Dopo soli 3 anni venne edificata una nuova chiesa che fu consacrata il 3 giugno del 1658 dal vescovo Antonio de Marenzi.
Famiglie nobili come i Marchesetti, gli Stella, i Capuano avevano le loro tombe proprio in quel tempio dedicato alla Madonna del Mare, la cui effigie era dipinta sull’altare maggiore. La struttura era costituita da un’unica navata affiancata da due altari: quello di destra dedicato a San Valentino, quello di sinistra a Sant’Apollinare.
Il reddito proveniva dai ricavi delle saline, delle vigne e dai contributi annuali della Confraternita degli agricoltori, dei facchini e dei marinai.

Con le trasformazioni amministrative e sociali avvenute tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, si persero progressivamente sia le saline che i vigneti, fino allora primarie fonti di guadagno, e dopo le riforme ecclesiastiche volute nel 1784 da Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d’Austria, la Confraternita venne sciolta e la Chiesa fu ceduta al negoziante Bernardo Curti, che la demolì per far posto a una casa di abitazione.
Da allora la Madonna del Mare venne identificata con la via su cui era esistito il vecchio tempio.

Il 23 novembre 1963, durante uno scavo di una conduttura davanti l’Istituto Magistrale “G. Carducci” al numero 11 di quella strada, vennero alla luce dei frammenti di un mosaico con la scritta Bonosus defensor Sanctae Ecclesiae Tergestinae. Intervenuta la Sopraintendenza e deciso di continuare gli scavi, si scoprì una grande pavimentazione a mosaico su due livelli: la parte più antica apparteneva a una basilica a navata unica lunga 30 metri e larga 11, priva di abside e risalente al V° secolo, la seconda presentava una pianta a croce con l’erezione di due corpi laterali al presbiterio.
La parte più interessante fu la scoperta dei due strati di mosaici sovrapposti a 5 cm l’uno dall’altro: quelli più antichi, a motivi geometrici, consistevano in tessere grigie e bianche, quelli sullo strato superiore si presentavano ricchi di policromia con motivi geometrici e fitomorfi ricchi di decorazioni a serpentello, trecce, ottagoni e dischi.
Vennero anche rinvenute una serie di iscrizioni databili tra la fine del sec. IV e l’inizio del VI, che costituiscono i primi documenti della più antica comunità cristiana tramandandoci una ventina di nomi appartenenti a personalità rilevanti della Chiesa locale tra il V e il VI secolo, detta Sancta Ecclesia Tergestina. (nota 4)

(Altre foto dei preziosi mosaici sono visibili sulla relativa pagina dell’Atlante Beni Culturali – le visite al sotterraneo devono essere concordate con la Sopraintendenza di Belle Arti)

Da studi svolti negli anni Settanta alcuni storici ritennero che in questo tempio si fossero conservate le spoglie di San Giusto quando venne restituito dal mare, e di alcuni martiri decapitati (nota 5) ma non sarebbero state trovate delle notizie certe se non la verifica di un maggiore numero di sepolture rispetto ad altre, probabilmente dovuto alla particolare ampiezza di questa chiesa.

Conclusi nel 1967 i lavori di scavo (nota 6) venne ricavato un portale di accesso all’antica basilica esistita proprio sotto l’edificio ottocentesco sulla via che porta il nome di quella Madonna del Mare che qui visse la sua lunga storia.

NOTE:

1. Creata nel 1759 da Giorgio Nicolentini, passò poi alla consorte Rosa, originaria di Graz, e successivamente al suo primogenito

2. Che furono poi retti con l’ospedale dell’Annunziata dai “Buoni fratelli della Misericordia”

3. Più tardi dedicata a Sant’Antonio

4. Iscrizioni: nomi di un altro “difensore della chiesa tergestina” Cantius, dei “difensori della chiesa d’Aquileia” Crysogonus con sua madre Eufemia e Maximus, “presbitero” Costantinos, del probabile costruttore della basilica Apronianus, di un altro “presbitero” Ianuaruis, di un “primicerio” (titolo onorifico del tardi impero) Barsaina, di un “diacono” Augustinus, di due coniugi Iohannis et Domnicauna cum filiis suis, che, come altri benefattori, Iustinianus e Crescentia, si fecero carico delle spese per la collocazione di varie centinaia di piedi quadrati di decorazioni

5. Giuseppe Cuscito, “San Giusto e le origini cristiane a Trieste”, in “Archeografo Triestino” 1969-70 pagg. 3-36.

6. I reperti paleocristiani sono stati restaurati nel 1975 dal mosaicista Giuseppe Sambuco.

FONTI:

Silvio Rutteri, Trieste, spunti dal suo passato, Borsatti Editore, Trieste, 1950
Fabio Zubini, Cittavecchia, Edizioni Svevo, Trieste, 2006
Laura Ruaro Loseri, Comunità Religiose di Trieste: contributi di conoscenza, Istituto per l’enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, a cura dei Civici Musei di Storia e Arte, Trieste, 1978