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Madonna del Mare, un tempio e la sua storia

All’esterno dell’antica porta Cavana tra la metà del Duecento e i primi anni del Trecento si svilupparono importanti insediamenti di nuovi ordini religiosi con chiese, conventi, ospedali e cimiteri.
Gli edifici sorgevano tra un susseguirsi di chiostri, orti, frutteti, vigne e giardini circondati da alte mura di cinta, per lo più distribuiti attorno all’asse viario di via del Bastione che nell’800 sarà denominato come Contrada o Via di Cavana.

In questa stampa del 1775 si notano le varie strutture accanto le mura della città e gli edifici più discostati dove nel Settecento sorsero la Cereria Nicolentini (contrassegnata con il n. 8) (nota 1), la fabbrica di maioliche Balletti (al n. 9) e lo Zuccherificio della Compagnia di Assicurazione, Commercio e Sconto (al n. 10).

Nel particolare del disegno settecentesco di Francesco Orlandi si possono notare le collocazioni dell’ospedale San Giusto e la chiesa di San Bernardino (al n.4) (nota 2), le chiese dei SS. Martiri e di Santa Lucia (n.6), la chiesa di San Francesco con il convento dei Minoriti (n.3) (nota 3), la Chiesa di Sant’Apollinare e il convento dei cappuccini (n.2), l’ospedale dell’Annunziata con relativa cappella (n.5) e la Cappella di San Francesco di Pola (n.7).
Ci soffermeremo in particolare con l’edificio contrassegnato con il numero 1 in quanto abbiamo ancora oggi le testimonianze della sua esistenza, menzionata sulle vecchie mappe come Chiesa della Madonna del Mare.
Nell’ufficio Parrocchiale di Santa Maria Maggiore sono conservati però dei documenti dove viene nominato il tempio Beatae Virginis Mariae dictae de Mari con i nomi dei defunti sepolti nel vicino cimitero e le notizie delle sue antichissime origini.
La chiesa, sorta fuori dalla cinta muraria, era allora frequentata particolarmente dagli agricoltori e il suo vicino cimitero serviva per le loro sepolture e anche di quelli delle contrade più lontane, da Guardiella a San Pelagio.

Dopo la distruzione del tempio avvenuta durante la guerra del 1368 con i Veneti, il vescovo Angelo Canopeo ottenne i permessi per procedere alla sua ricostruzione e ricevere la pubblica questua.

Nella notte del 2 gennaio 1655 l’edificio fu completamente fu distrutto da un violento incendio e furono salvati dalle fiamme solamente alcuni frammenti di un mosaico che riportava il nome di un certo Rufino con le lettere DXC, che presumibilmente si riferivano alle dimensioni della pavimentazione da lui stesso commissionata.
Dopo soli 3 anni venne edificata una nuova chiesa che fu consacrata il 3 giugno del 1658 dal vescovo Antonio de Marenzi.
Famiglie nobili come i Marchesetti, gli Stella, i Capuano avevano le loro tombe proprio in quel tempio dedicato alla Madonna del Mare, la cui effigie era dipinta sull’altare maggiore. La struttura era costituita da un’unica navata affiancata da due altari: quello di destra dedicato a San Valentino, quello di sinistra a Sant’Apollinare.
Il reddito proveniva dai ricavi delle saline, delle vigne e dai contributi annuali della Confraternita degli agricoltori, dei facchini e dei marinai.

Con le trasformazioni amministrative e sociali avvenute tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, si persero progressivamente sia le saline che i vigneti, fino allora primarie fonti di guadagno, e dopo le riforme ecclesiastiche volute nel 1784 da Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d’Austria, la Confraternita venne sciolta e la Chiesa fu ceduta al negoziante Bernardo Curti, che la demolì per far posto a una casa di abitazione.
Da allora la Madonna del Mare venne identificata con la via su cui era esistito il vecchio tempio.

Il 23 novembre 1963, durante uno scavo di una conduttura davanti l’Istituto Magistrale “G. Carducci” al numero 11 di quella strada, vennero alla luce dei frammenti di un mosaico con la scritta Bonosus defensor Sanctae Ecclesiae Tergestinae. Intervenuta la Sopraintendenza e deciso di continuare gli scavi, si scoprì una grande pavimentazione a mosaico su due livelli: la parte più antica apparteneva a una basilica a navata unica lunga 30 metri e larga 11, priva di abside e risalente al V° secolo, la seconda presentava una pianta a croce con l’erezione di due corpi laterali al presbiterio.
La parte più interessante fu la scoperta dei due strati di mosaici sovrapposti a 5 cm l’uno dall’altro: quelli più antichi, a motivi geometrici, consistevano in tessere grigie e bianche, quelli sullo strato superiore si presentavano ricchi di policromia con motivi geometrici e fitomorfi ricchi di decorazioni a serpentello, trecce, ottagoni e dischi.
Vennero anche rinvenute una serie di iscrizioni databili tra la fine del sec. IV e l’inizio del VI, che costituiscono i primi documenti della più antica comunità cristiana tramandandoci una ventina di nomi appartenenti a personalità rilevanti della Chiesa locale tra il V e il VI secolo, detta Sancta Ecclesia Tergestina. (nota 4)

(Altre foto dei preziosi mosaici sono visibili sulla relativa pagina dell’Atlante Beni Culturali – le visite al sotterraneo devono essere concordate con la Sopraintendenza di Belle Arti)

Da studi svolti negli anni Settanta alcuni storici ritennero che in questo tempio si fossero conservate le spoglie di San Giusto quando venne restituito dal mare, e di alcuni martiri decapitati (nota 5) ma non sarebbero state trovate delle notizie certe se non la verifica di un maggiore numero di sepolture rispetto ad altre, probabilmente dovuto alla particolare ampiezza di questa chiesa.

Conclusi nel 1967 i lavori di scavo (nota 6) venne ricavato un portale di accesso all’antica basilica esistita proprio sotto l’edificio ottocentesco sulla via che porta il nome di quella Madonna del Mare che qui visse la sua lunga storia.

NOTE:

1. Creata nel 1759 da Giorgio Nicolentini, passò poi alla consorte Rosa, originaria di Graz, e successivamente al suo primogenito

2. Che furono poi retti con l’ospedale dell’Annunziata dai “Buoni fratelli della Misericordia”

3. Più tardi dedicata a Sant’Antonio

4. Iscrizioni: nomi di un altro “difensore della chiesa tergestina” Cantius, dei “difensori della chiesa d’Aquileia” Crysogonus con sua madre Eufemia e Maximus, “presbitero” Costantinos, del probabile costruttore della basilica Apronianus, di un altro “presbitero” Ianuaruis, di un “primicerio” (titolo onorifico del tardi impero) Barsaina, di un “diacono” Augustinus, di due coniugi Iohannis et Domnicauna cum filiis suis, che, come altri benefattori, Iustinianus e Crescentia, si fecero carico delle spese per la collocazione di varie centinaia di piedi quadrati di decorazioni

5. Giuseppe Cuscito, “San Giusto e le origini cristiane a Trieste”, in “Archeografo Triestino” 1969-70 pagg. 3-36.

6. I reperti paleocristiani sono stati restaurati nel 1975 dal mosaicista Giuseppe Sambuco.

FONTI:

Silvio Rutteri, Trieste, spunti dal suo passato, Borsatti Editore, Trieste, 1950
Fabio Zubini, Cittavecchia, Edizioni Svevo, Trieste, 2006
Laura Ruaro Loseri, Comunità Religiose di Trieste: contributi di conoscenza, Istituto per l’enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, a cura dei Civici Musei di Storia e Arte, Trieste, 1978