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Gli anni della psicoanalisi a Trieste

Nel saggio Gli anni della psicoanalisi (nota 1) lo scrittore/saggista Giorgio Voghera (Trieste 1908 – 1999) sondò il legame tra la psicoanalisi e gli scrittori nella Trieste degli anni Venti e Trenta, città allora all’avanguardia per aver accolto con favore la psicoanalisi freudiana.
VogheraIn precedenza fu un padovano di origini ebraiche, Marco Levi Bianchini (1875 – 1961) il primo medico che aderì con entusiasmo alle dottrine di Sigmund Freud (Freiberg, Moravia 1856 – Londra 1939) fondando nel 1915 la “Biblioteca psichiatrica internazionale” e nel 1921 l’ “Archivio generale di neurologia, psichiatria e psicoanalisi”, divenuto in seguito l’organo ufficiale della Società psicoanalitica italiana. (nota 2)

Ma fu a Trieste che sorsero dei circoli di letterati dove venivano lette e discusse le nuove teorie freudiane e ancora a Trieste che vennero praticate le prime analisi psicanalitiche per il fatto che qui nacque e visse Edoardo Weiss (Trieste 1889 – Chicago 1970) (nota 3) che dopo la laurea in medicina a Vienna e la specializzazione in psichiatria venne attratto dai rivoluzionari studi del dott. Sigmund Freud. (note 4, 5, 6)
lobianco863lobianco862Assunto nel 1918 all’ospedale psichiatrico di Trieste, il dottor Weiss s’impegnò alle alterazioni psichiche e alle dinamiche della psicosi da lui definite “malattie dell’Io”. Le sue teorie furono talmente affascinanti da coinvolgere letterati e artisti in una vera e propria stagione culturale descritta nel sopracitato libro di Voghera Gli anni della psicanalisi di cui ci permettiamo riportare qualche breve passaggio.

Tra i primi scrittori suggestionati dall’imprintig dell’inconscio fu Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz (Trieste 1861 – Motta di Livenza 1928) uno dei principali esponenti della cultura mitteleuropea.
Attraverso Zeno Cosini, il protagonista del suo più celebre romanzo, Svevo narrò allo psicanalista le vicende della sua vita sviscerando le dinamiche mentali che lo avevano indotto alla nevrosi. Se il dottor Weiss negò di essere il medico menzionato nella Coscienza di Zeno non ravvisandone alcun metodo di analisi psicanalitica, lo stesso Svevo ne trattò gli aspetti con una bonaria se non a tratti paradossale ironia, da molti ritenuta indotta dal fallimento delle cure di un suo stretto parente.

Del tutto diverso fu invece il coinvolgimento alla psicanalisi di Umberto Saba (Trieste 1883 – Gorizia 1957) che, tormentato fin da giovane dalla nevrosi e in seguito sprofondato in una profonda crisi depressiva, si sottopose per lungo tempo alle cure analitiche del dottor Weiss.
Se nella raccolta poetica Il piccolo Berto il poeta analizzò i traumi della sua infanzia attraverso un immaginario dialogo tra il Saba adulto e il Saba bambino, il discusso libro Ernesto (scritto nel 1953) con la sua tematica dell’omosessualità (quasi sconfinante nella pedofilia) fu un vero coming-out ante-litteram.
Interpellato dal dott. Weiss in merito al caso Saba, Freud si espresse con un’inattesa quanto singolare teoria, scrivendogli:
«Non credo che il suo paziente potrà mai guarire del tutto. Al più uscirà dalla cura molto più illuminato su se stesso e sugli altri. Ma, se è un vero poeta, la poesia rappresenta un compenso troppo forte alla nevrosi, perché possa interamente rinunciare ai benefici della sua malattia”. 
In effetti Saba riuscì a esprimere la sua travagliata interiorità nei suoi versi indimenticabili dove la dolcezza poetica raggiunse le corde di un’intensa musicalità.

Quanto entusiastica fu l’adesione di Saba alle teorie psicanalitiche, tanto palesemente scettica fu quella di Roberto Bazlen (Trieste 1902 – Milano 1965) apprezzato consigliere editoriale e divulgatore di nuove correnti letterarie. Eppure Giorgio Voghera sostenne fosse un attentissimo lettore di tutte le riviste concernenti l’argomento anche se poi volse il suo interesse alla psicologia analitica di Gustav Jung (Kesswill, Svizzera 1875 – Zurigo 1961) dove si compenetravano i suoi prediletti studi riguardanti l’alchimia e l’astrologia, le filosofie e le religioni orientali.

Chi aderì in maniera fulminea e totale alle tesi freudiane fu lo scrittore Guido Voghera (Trieste 1908 – 1999) che come scrisse il figlio Giorgio ritrovò in sé stesso la verità di alcuni postulati freudiani.

Lo scrittore Giani Stuparich (Trieste 1891 – Roma 1961), seppure attento ascoltatore dei discorsi che animavano i circoli triestini, fu sempre molto scettico in merito a tutte le dottrine psicanalitiche mentre il poeta Virgilio Giotti (Trieste 1885 – 1957) si dimostrò nettamente contrario anche se non quanto il filosofo Giorgio Fano (Trieste 1885 – Siena 1963) che espresse una netta e a volte intemperante opposizione a quella che ritenne un’irrazionale suggestione collettiva.

Giorgio Voghera sostenne che ai tempi descritti nel saggio Gli anni della psicanalisi Trieste fosse veramente una città di nevrotici, insoddisfatti della realtà politica, economica e specialmente esistenziale e che quindi rappresentasse un terreno ideale per l’attecchimento delle teorie freudiane e la loro ricerca dell’ignoto.

Certo che per altri celebri letterati europei la psiche fu trattata come una scissione dell’IO, e se Marcel Proust la disintegrò del tutto abbandonandosi ai ricordi associativi, James Joyce si abbandonò alla descrizione di una sua particolare giornata senza trovarne il baricentro che reggesse la contorsione dei suoi pensieri.

Chi invece sprofondò nell’introspezione fu lo psicanalista tedesco Georg Groddek (1866 – 1934) ricercando la coscienza dell’IO e le energie psichiche degli istinti che definì l’ES (nota 8) descritte nel libro Lo scrutatore d’anime in cui il protagonista esternava i messaggi mentali dell’inconscio con i discorsi più strampalati.
Il termine nominato da Groddek fu poi introdotto dallo stesso Freud nel trattato Io e L’Es del 1923, dove sostenne che le pulsioni fossero estranee alla parte cosciente della personalità e che i conflitti e le nevrosi fossero provocati dal conflitto di questi due distinti elementi.

Concludendo (si fa per dire) da Gli anni della psicanalisi in poi gli studi sulla psiche hanno rappresentato una costante lotta per intravvedere quell’ignoto che ci logora ma che continua pur sempre ad affascinarci.

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Note:

  1. Giorgio Voghera, Gli anni della psicanalisi, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1980
  2. Enciclopedia Treccani
  3. Nel 1931 Weiss abbandonò l’ospedale psichiatrico di Trieste per la sua opposizione al fascismo trasferendosi a Roma; nel 1939 dopo la promulgazione delle leggi razziali emigrò a Chicago dove si dedicò agli studi della psicosomatica
  4. Foto di Edoardo Weiss giovane studente di medicina a Vienna
  5. Foto del palazzo di Corsia Stadion (oggi via Battisti 18) dove abitò la famiglia Weiss
  6. Vedere articolo su Edoardo Weiss https://quitrieste.it/tag/edoardo-weiss/
  7. Autore (con lo pseudonimo di Anonimo triestino) del romanzo Il Segreto, che molti ritennero essere stato scritto a 4 mani con il figlio Giorgio.
  8. Il dott. Groddek si dedicò al simbolismo degli organi del corpo applicando la psicoanalisi per la cura delle affezioni somatiche

 

Edoardo Weiss e le malattie dell’io

Durante il lungo Impero asburgico Trieste accolse molti laureati a Vienna, Graz e Innsbruck stimolando così una vivacità culturale che nel resto d’Italia era ancora piuttosto arretrata.
Nei primi anni del Novecento alcuni intellettuali aggiornati su libri e riviste in lingua tedesca iniziarono a discutere sulle nuove teorie psicanalitiche di Sigmund Freud e radunandosi in circoli privati iniziarono a valutarle con grande interesse. L’importatore delle rivoluzionarie dottrine fu il celebre concittadino Edoardo Weiss, nato il 21 settembre 1889 da un’agiata famiglia ebraica di Trieste.

Dopo aver concluso gli studi liceali e fortemente attratto dalle teorie di Freud, si trasferì a Vienna per conseguire la laurea in medicina e la specializzazione in psichiatria.
Allievo del dott. Paul Federn, Weiss conobbe lo stesso Freud, con il quale intraprese in seguito una lunga corrispondenza epistolare.

A 29 anni venne assunto dall’ospedale psichiatrico di Trieste dove si dedicò alle alterazioni psichiche e alle dinamiche delle psicosi, da lui definite “malattie dell’io”.
I nuovi metodi del dott. Weiss furono inizialmente accolti con una certa diffidenza ma alcuni famosi scrittori triestini vollero sottoporsi, con discutibili esiti, alle sue cure innovative contribuendo a una loro certa notorietà. Tra questi si menzionano il poeta Umberto Saba, il cui discusso libro Ernesto fu un vero coming-out ante-litteram, lo scrittore Guido Voghera (1884-1959) e il grande romanziere Italo Svevo, che seppure con spirito distaccato e ironico ne trasse ispirazione per la trama de La coscienza di Zeno.

In un articolo del Piccolo illustrato (datato 29/11/1980) Giorgio Voghera (1918-1999) figlio dell’Anonimo triestino, autore de Il segreto, analizzò i reconditi motivi d’interesse dei nostri concittadini per le complesse dinamiche interiori scrivendo con sottile arguzia:
Non si trattava di neurotici comuni, come lo sono quasi tutti gli uomini su questa terra, ma di neurotici gravemente tormentati dalla loro nevrosi. Era, in altre parole, gente che soffriva molto, che non riusciva a trovare pace e durevoli soddisfazioni in questa vita e non sperava d’altro canto in nessun’altra. La psicanalisi dava finalmente (o pretendeva di dare) un volto definito al loro male, ne indicava le cause, faceva balenare qualche vaga speranza di guarigione.”

Nel 1931 Edoardo Weiss abbandonò l’ospedale psichiatrico di Trieste per la sua opposizione al fascismo e trasferitosi a Roma iniziò, tra molte difficoltà, un’attività privata. Sostenuto da un gruppo di allievi entusiasti, ricostituì la Società psicanalitica italiana, precedentemente fondata da Marco Levi Bianchini ma rimasta solo un sodalizio nominale e fondò la Rivista italiana di Psicanalisi che ebbe però una vita brevissima per l’ostruzionismo del regime.

Edoardo Weiss con gli allievi Emilio Servadio e Nicola Perrotti nel 1934

Nel 1939 dopo la promulgazioni delle leggi razziali, fu costretto a emigrare con la famiglia negli Stati Uniti.
Stabilitosi definitivamente a Chicago continuò a dedicarsi agli studi della psicosomatica, alle complesse strutture della mente umana fino a sondare il terribile fenomeno della disgregazione dell’io cercando sempre di ottenere risultati terapeutici in tempi più brevi di quelli previsti dal trattamento freudiano classico.
I “Principi di psicodinamica” del 1950 e “Struttura e dinamiche della mente umana” del 1960 furono le due principali opere teoriche scritte da Weiss nei 31 anni della sua permanenza in America.
Il 1° dicembre 1970 il grande pioniere dello spazio interiore dell’uomo concluse a Chicago la sua lunga vita dedicata allo studio e al lavoro.

 

Notizie tratte da un articolo di Anna Maria Accerboni sul “Piccolo illustrato”, Trieste, 29 novembre 1980