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Joyce in love (seconda parte)

$_57[1]Quando nel 1968 la Mondadori pubblicò Giacomo Joyce con il sottotitolo “Il racconto inedito di un suo amore triestino” fu immediatamente sollevata la questione sulla identità della misteriosa Lady che lo ispirò.
Dai labili indizi fu assodato si trattasse di una giovane allieva, figlia di una famiglia benestante residente su un colle, ma dopo la domanda iniziale sul “Chi” lei fosse, ci si pose anche quella sul “dove” lei abitasse.
Nella prima pagina del testo si trova una singolare descrizione:
L’aria invernale del castello, corazze di maglia appese, candelabri di ferro grezzo nelle curve della scala a spirale della torre.”
Quindi non si trattava di una villa ma addirittura di un castello con tanto di corazze a decoro delle pareti e se la torre richiamerebbe l’immagine dell’imponente residenza Irneri di via Bellosguardo non poteva però esistere la sua ricca collezioni di armi che fu acquistata dai de Galatti appena negli anni Sessanta. (nota 1)

Sicuramente Joyce frequentò la villa dei Popper in via Alice (oggi Don Minzoni 16) dove impartiva lezioni d’inglese alla loro giovane figlia Amalia e fu proprio Richard Ellmann, il biografo ufficiale di Joyce, a insinuare che la giovane amata da Giacomo fosse proprio lei. (nota 2)
Il fatto che la pubblicazione del testo Giacomo Joyce avvenne solo l’anno dopo la morte di Amalia Popper nel giugno del 1967 contribuì ad alimentare i dubbi sulla sua identificazione come la misteriosa Lady amata dallo scrittore.
i_029[1]A rimescolare l’interpretazione di Ellmann ci pensò nel 1982 il letterato triestino Stelio Crise (nota 3) che identificò in Anna Maria Schleimer, detta Annie, l’amore segreto di Joyce sostenendo che tra loro vi fossero stati persino dei progetti matrimoniali. In effetti all’epoca Joyce non era sposato con Nora Barnacle (nota 4) ma il loro era un legame forte, testimoniato non solo per il notevole tasso erotico delle lettere che si scambiavano, ma anche per la nascita dei figli Giorgio nel 1905 e Lucia nel 1907.
Comunque quando Annie espresse le sue intenzioni con il padre (nota 5) le lezioni del professore terminarono bruscamente provocandole una forma depressiva da cui non si riprenderà mai del tutto. (nota 6)
Qui una ventenne Annie Schmeimer in una foto di famiglia (Museo Joyce) JT-05-26-1024x657[1]

Nel 1996 il giornalista-scrittore Roberto Curci nel libro Tutto è sciolto, propose invece come possibile identificazione della misteriosa donna descritta nel Giacomo Joyce la giovane Emma Cuzzi basandosi sui seguenti indizi: il fatto che lei avesse subito un’operazione di appendicectomia (“il ferro del chirurgo è penetrato nelle sue carni e se ne è distaccato lasciandole sul ventre la cruda piaga sgraziata del suo passaggio. O Dio libidinoso!“), la certezza che lei, a differenza di Amalia Popper, andasse a cavallo e che fosse nata da un matrimonio ebraico-cattolico menzionato nel testo come “intermarriage“.
Emma[1]Sarebbe comunque da considerare il fatto che tra gli anni 1910 e 1914 molte furono le allieve del professore, notoriamente sensibile al fascino femminile e in questo contesto pure profuso di giovinezza e contornato da ricche residenze. Tra loro menzioniamo anche Maria Luzzatto Fegiz e Olivia Hannapel, entrambe ben più belle di Emma e Annie e noi vorremmo maliziosamente aggiungere anche “troppo belle” per un professore stravagante e squattrinato.Autocertificazione 2970(Nella foto una giovane Maria Luzzato)

Inoltre il fatto che nessuna delle eleganti ville dove si svolgevano le lezioni d’inglese corrispondessero alla descrizione sulla prima pagina del Giacomo Joyce contribuisce ad alimentare i molti dubbi.

“Chi” dunque fu l’amore triestino di James Joyce? Mah… Ci viene in mente una battuta di Miss Douce nelle “Sirene” dell’Ulisse:
Non far domande e non sentirai menzogne

Note:

1. Da un articolo su “Il Piccolo” del marzo 2013;
2. Da un articolo sul “Corriere della sera” del 27 febbraio 1969;
3. Durante la commemorazione del centenario dalla nascita di Joyce tenutasi nella sala del ridotto del Teatro Verdi il 1° febbraio 1982;
4. L’incontro di James e Nora avvenne nel 1904, il matrimonio nel 1931;
5. Andrea Schleimer era un ricco commerciante di spezie e agrumi (Renzo Crivelli);
6. Rimasta nubile morirà in una Casa di Riposo a Gorizia nel 1972.

Fonti:

James Joyce, Giacomo Joyce, EDB Edizioni, Milano, 2014
Renzo S. Crivelli, Una rosa per Joyce, MGS Press, Trieste, 2004
Roberto Curci, Tutto è sciolto, L’amore triestino di Giacomo Joyce, Edizioni LINT, Trieste, 1966
http://www.museojoycetrieste.it/opere/giacomo-joyce/

Popper Amalia

Cuzzi Emma

Joyce in love (prima parte)

IMG_0654Giacomo Joyce, l’enigmatico testo di James Joyce scritto negli anni in cui visse a Trieste, rivela qualche frammento di un’insopprimibile attrazione verso una sua giovane e non identificata allieva a cui impartiva lezioni d’inglese in una villa della città.
Lo scritto in forma di appunti fu rinvenuto dal fratello Stanislaus dopo la partenza di James nel 1920 (nota 1) e si ritenne fosse stato scritto tra il 1912 e il 1914.

Who?” la domanda che costituisce l’incipit di questa sorta di taccuino lascia intuire che lo scrittore non volesse affatto svelare di chi fosse quel “pallido volto circondato da pesanti pellicce odorose. I suoi movimenti sono timidi e nervosi. Lei usa il monocolo. Sì: una breve sillaba. Una breve risata. Un breve battito di palpebre”. Una donna affascinante sembra a noi, “una giovane persona di qualità” la definisce lui aggiungendo “Le lunghe palpebre battono e si aprono: una puntura che scotta e vibra sull’ iride vellutato”. Insomma quasi un folgorante coup de foudre descritto con una delicatezza che da Joyce non ci saremmo aspettati.

Quando la giovane Lady va a cavallo lui la osserva: ” Il grigio tramonto le modella delicatamente le esili anche proporzionate, il collo dai tendini docili e elastici, il capo dalla fine ossatura” e quando una sera la incrocia per strada parlandole di lezioni e orari s’accorge che: “lentamente le sue pallide guance si illuminano di un’accesa luce d’opale” come se quell’incontro inaspettato le avesse provocato un’emozione talmente intensa da farla impallidire.
Quindi il professore non le doveva essere indifferente, del resto James aveva allora trent’anni e doveva essere un uomo di grande fascino…

Ma un’altra scena colpisce il nostro “immaginario”, senza però capire se sia il nostro o il suo:
Lei alza le braccia in un tentativo di allacciarsi alla sommità del collo un abito di velo nero. Non ci riesce: no, non ci riesce. Indietreggia muta verso di me. Alzo le braccia per aiutarla: le sue braccia ricadono. Prendo i soffici e aggrovigliati orli del suo abito e, tirandoli per allacciarli, vedo attraverso l’apertura del velo nero il suo corpo sottile inguainato in una sottoveste arancione. Scivola sui nastri che glielo fermano sulle spalle e cade lentamente. Un corpo sottile, liscio e nudo che riluce di scaglie argentate. Scivola lentamente sulla natiche snelle d’argento levigato e sul loro solco, un ombra d’argento opaco… Dita, fredde e calme in movimento… Un contatto, un contatto”. Questo sottile, delicato erotismo svelerebbe un inconfessabile desiderio del professore dal momento che la sua presenza nella villa fosse giustificata per impartire lezioni di inglese e non certo per concupire la figlia dei padroni.
La scena comunque s’interrompe, per poi riproporne un’altra più castigata: “Una sottana ripresa per un improvviso movimento del ginocchio; un bianco orlo di pizzo per una sottoveste esageratamente sollevata, la tesa rete di una calza”, così ci sorge il dubbio che la giovane allieva ci mettesse un po’ di malizia…

Ma se fosse solo un sogno? Un desiderio irrealizzabile e consapevole che “quell’età è qui e ora” rendendosi conto che “gli occhi offuscano la luce dell’alba, il loro bagliore è la schiuma che copre la corte del bavoso James” quando si perdeva nelle osterie tra il vino e le prostitute sporche di sifilide:
Lei si appoggia ai cuscini addossati al muro: profilo di odalisca nella lussuriosa oscurità. I suoi occhi hanno bevuto i miei pensieri: e nell’umido caldo malleabile accogliente buio della sua femminilità il mio spirito, dissolvendosi, è sgorgato e si è versato e ha inondato di un seme liquido e abbondante… Ora la prenda chi vuole!...”

Certo che leggendo Joyce sembra di trovarsi su un Tagadà che si ferma all’improvviso causando una scombussolante perdita di equilibrio e ci si chiede se le descrizioni si riferissero a personaggi diversi come appunti preparatori di un testo non scritto:
Why?” si chiede anche lo stesso Joyce nell’ultima parte del taccuino:
“Scorrimento – spazio – anni – fogliame di stelle – e paradiso calante – quiete – e più profonda quiete – pace di annientamento – e la sua voce” concludendo il breve testo con un’immagine melanconica:
Un lungo pianoforte nero: bara di musica. In equilibrio sull’orlo un cappello da donna, rosso fiorito, un ombrello ripiegato”.

(continua nella seconda parte)

Nota 1: Il testo fu in seguito affidato dalla vedova di Stanislaus a Richard Ellmann, autore di una monumentale biografia di Joyce.
Tratto da: James Joyce, Giacomo Joyce