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Alla conquista delle Terre di Francesco Giuseppe

Nel precedente articolo si sono ripercorse brevemente le avventure di Eduard von Orel e Carl Weyprecht quando sulle navi “Kaiserin Elisabeth” e “Dandolo” affiancarono la “Novara” nell’ultimo viaggio di Massimiliano d’Asburgo verso Trieste.
Qui vogliamo ripercorrere un’altra impresa dei due ufficiali che affronteranno le drammatiche insidie dei ghiacci per raggiungere le Terre di Francesco Giuseppe nel desertico arcipelago all’estremo Nord dell’Europa.

Carta di Francesco Giuseppe

 

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L’ideatore della spedizione fu proprio Carl Weyprecht (nota 1) che dopo un’ingente raccolta di fondi, nel 1871 commissionò al cantiere di Bremerhaven la costruzione di una nave progettata con particolari tecnologie che permettessero di resistere alle pressioni dei ghiacci.
In onore dell’ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthoff, comandante della prestigiosa k.u.k. Kriegsmarin (Imperiale e Regia Marina austro-ungarica) e acclamato vincitore della battaglia di Lissa, deceduto quell’anno a Vienna, la nave destinata all’impresa nei mari polari fu battezzata Admiral Teghetthoff.

Nella foto la nave polare Admiral Tegetthoff ancorata a Bremerhaven img221
Il vascello a 3 alberi con una stazza di 220 tonnellate, venne costruito con legno di quercia, mentre le fiancate e la prua (con rinforzi interni di ferro) con un legno africano di grande resistenza.
Dotato di un motore ausiliario da 95 cavalli di potenza, realizzato nello Stabilimento Tecnico Triestino e da caldaie provenienti dalle officine Holt, era provvisto di un’elica a pale che per essere protetta dagli urti del ghiaccio venne sistemata in un vano formato dal prolungamento in ferro della chiglia.

Completata nell’agosto del 1871, l’ Admiral Tegetthoff salpò nel giugno dell’anno successivo al comando di Weyprecht e un equipaggio di 24 uomini di diverse mansioni scelti tra la Dalmazia, l’Istria, Fiume e Trieste (nota 2), più 8 cani da slitta (a cui si aggiunse un nono nato a bordo) e 2 gatti per la guardia delle dispense. (nota 3)

Nella foto i partecipanti alla spedizione: img275

 

Dopo la traversata nei mari del Nord, con l’arrivo dell’inverno la Tegetthoff , circondata da masse di ghiaccio tra temperatura di 50 gradi sottozero, fu costretta a navigare zigzagando nell’ oscurità della notte polare.

Nella foto un disegno di Eduard von Orel img227
Sopraggiunta l’estate la nave rimase incagliata in una banchisa ghiacciata dove rimase fino all’arrivo del secondo tragico inverno in cui alcuni uomini si ammalarono e altri diedero segni di squilibrio mentale.

Nella foto: i tentativi di liberare la nave nell’estate del 1873 img280
img226Julius Payer, il comandante designato alle esplorazioni su terra e deciso a raggiungere ad ogni costo la Franz Josef Land, organizzò una spedizione con slitte, cani e alcuni volontari percorrendo 400 chilometri tra ghiacci, crepacci, dirupi in una continua sfida con la morte.
Alla fine, contro ogni previsione, il gruppo riuscì a raggiungere il punto più estremo a 82° latitudine nord piantando la bandiera austro-ungarica come conquista della Franz Josef Land  così battezzata in onore dell’ Imperatore.
Dopo ulteriori atroci 800 chilometri sulla via del ritorno, Prayer e compagni raggiunsero il relitto della nave che era ancora bloccato tra i ghiacci.

Neppure con l’arrivo della bella stagione l’ Admiral Tegetthoff riuscì a liberarsi dallo stallo e verificando che le scorte di cibo erano insufficienti per trascorrere un ulteriore inverno, il comandante Carl Weyprecht diede ordine di abbandonare la nave.

Nel disegno di Obermüllner i preparativi per la partenza – Sotto l’abbandono della banchisa (Orel)

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Così i sopravvissuti caricando i pochi viveri nelle scialuppe di salvataggio trainate su slitte improvvisate con i tre cani superstiti (nota 4) diedero l’addio alla nave e nel maggio del 1874 iniziarono una marcia forzata di 1.000 miglia verso Sud.
Gli scritti con gli appunti scientifici e i diari di Weyprecht furono conservati ma tutti i campioni vegetali e minerali raccolti durante la lunga spedizione vennero abbandonati per il loro eccessivo peso.

L’estenuante viaggio durò per quasi tre mesi, fino a quando il 25 agosto 1874, in vista della costa siberiana, tutta la ciurma fu presa a bordo dalla goletta peschereccio russa Nikolaj in prossimità dell‘isola di Novaja Zemlja.

Mentre a nord si consumava la tragedia, in Europa nessuno ritenne di avviare delle ricerche ritenendo che la spedizione fosse fallita con la morte di tutti gli uomini.

Grandi furono quindi gli entusiasmi per la vittoriosa conquista e la salvezza dell’equipaggio (con la perdita di un solo uomo) e dalla Norvegia ad Amburgo, da Vienna a Trieste si svolsero grandi festeggiamenti e premiazioni.
Weyprecht e Payer vennero insigniti con la Croce di Cavaliere dell’ Ordine di Leopoldo, Orell con il titolo nobiliare della Corona Ferrea, e i marinai della nave, definiti “eroi”, vennero premiati con medaglie e offerte di impieghi pubblici.
Sarebbe da aggiungere che se nell’avventura dei mari artici fu preservata la loro pelle, non altrettanto fu la loro salute, minata da malattie polmonari e metaboliche. (nota 5)
Se l’ufficiale di vascello Eduard Orell raggiunse i 51 anni, il comandante Carl Weyprecht non superò i 43, minato dalla tubercolosi come conseguenza delle durissime e gelide stagioni vissute nella Admiral Tegetthoff.

Comunque da allora iniziò una vera e propria “febbre del Polo” che avrebbe portato ad altre spericolate spedizioni polari e dopo soli 8 anni la costruzione di ben 14 campi base tra Artide e Antartide.

Note:

1. Nato a Darmstadt nel 1838, Carl Wayprecht visse molti anni a Trieste; morì a Michelstadt nel 1881.

2. Nativo di Trieste risulta solamente il marinaio Antonio Scarpa.

3. Soddisfatto dai comportamenti stoici dell’equipaggio di dalmati, istriani che lo affiancarono nell’avventurosa impresa in Messico, Weyprecht li ritenne preparati anche per affrontare le insidie dei ghiacci e più affidabili dei nordici che considerava troppo “saccenti” e troppo dediti all’alcool.

4. I due cani che dopo aver affrontato la spedizione a terra erano allo stremo delle forze, vennero uccisi.

5. Nei durissimi mesi dell’incagliamento tra i ghiacci il macchinista Otto Krisch, conterraneo di Orell, già malato di scorbuto, morirà di tubercolosi tra atroci dolori e deliri. 
Nella foto la sepoltura in un disegno di Obermüllner:img282

Nelle successive spedizioni nelle Terre di Francesco Giuseppe avvenute nel 1879, 1880 e dal 1894 al 1897 furono contate bel 121 isole comprese nell’arcipelago. In seguito diverranno un punto di partenza per il Polo Nord, raggiunto dal Duca degli Abruzzi con la “Stella Polare” tra il 1899 e il 1900.

L’Admiral Teghettoff rimase per sempre tra i ghiacci lì dove fu abbandonata dall’equipaggio di Wayprecht.

Notizie tratte dal libro di Enrico Mazzoli, Dall’Adriatico ai ghiacci, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli Go), 2003 – consultazioni su kuk-kriegsmarine.it

L’avventurosa vita di Eduard von Orel

A volte accade di essere colpiti da un’immagine fotografica e indotti a mettersi sulle sue tracce cercando notizie.
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Così è accaduto per questa foto d’epoca che dopo una serie di ricerche mi ha portato a scoprire la sorprendente vita del personaggio qui ripreso con la sua famiglia davanti una villa del parco di Miramare nella lontana estate del 1886.
L’uomo dell’istantanea è Eduard von Orel che nei suoi 51 anni di vita vivrà delle incredibili vicende tra mari oceanici e artici, tra onori di gloria e sfide di morte, tra grandi ricchezze e infide malattie.
Nato in Moravia nel 1841 entrò giovanissimo nella Marina austro-ungarica aspirando a diventarne ufficiale.
La sua prima importante missione iniziò il 26 ottobre 1966 quando come cadetto salpò sul piroscafo a ruota “Kaiserin Elisabeth” che assieme alla corvetta “Dandolo” dovevano raggiungere Vera Cruz in attesa degli ordini di Massimiliano d’Asburgo ormai giunto alla fine del suo impero messicano.

Nella foto il piroscafo “Kaiserin Elisabeth” img240

La corvetta “Dandolo” img241
Nella lunga traversata dell’oceano Atlantico Orel stringerà amicizia con Carl Weyprecht, un ufficiale della Marina austro-ungarica reduce dalla vittoriosa battaglia di Lissa, con cui in seguito affronterà un’incredibile missione nei mari artici.

Nella foto Eduard von Orel img238

Carl Weyprecht img239

Raggiunto il porto di Vera Cruz alla fine di dicembre del 1866, Orell e Weyprecht, dopo un rocambolesco viaggio verso Puebla affrontando gli attacchi dei guerriglieri messicani, si incontreranno con l’imperatore Massimiliano e i suoi ufficiali per una spartana quanto tristissima cena di fine anno.
Nei primi giorni di gennaio del 1867 tutte le truppe francesi all’ordine di Napoleone III° erano già in partenza per l’Europa mentre quelle austriache si avviarono verso il porto di Vera Cruz attendendo sulle navi l’arrivo dell’imperatore in fuga.
Ma la storia ebbe un altro corso: tra lo stupore di tutti Massimiliano decise di rimanere in Messico e di affrontare le spietate guarnigioni di ribelli. Quando però gli uomini dell’Armata Nazionale disertarono, accerchiato da ogni parte, il 15 maggio si rinchiuderà a Queretaro con un gruppo di fedeli. Dopo una strenua difesa durata 72 giorni, sarà costretto ad arrendersi affrontando l’incarcerazione, un sommario processo e il compimento del suo tragico destino conclusosi con la fucilazione avvenuta il 19 giugno 1867.

Ricevuta la tragica notizia e gli ordini di Francesco Giuseppe, gli equipaggi della “Elisabeth” e della “Dandolo” con il prezioso carico di bagagli, rimasero in attesa dell’arrivo della nave “Novara” comandata dall’ammiraglio Wilhelm Tegetthoff incaricato di recuperare la salma di Massimiliano. Le trattative si rivelarono però irte di ostacoli e si protrassero per tutta l’estate.

Nella foto la “Novara” img245

Gli equipaggi furono così costretti a un’estenuante attesa in balia di temperature torride e di malattie tropicali quali tifo, febbre gialla, scorbuto e malaria.
Solo il 28 novembre 1867 la “Elisabeth”, la “Dandolo”, le fregate “Adria”, “Radetzky”, “Schwarzenberg”, la cannoniera “Velebit” assieme alla “Novara” con la cassa mortuaria di Max, partirono da Vera Cruz per raggiungere il porto di Trieste il 15 gennaio 1868.

Nella foto l’arrivo a Trieste delle navi con il feretro di Massimiliano img244
Ottenuto il grado di tenente di vascello, Eduard Orel intraprenderà in seguito una straordinaria e drammatica spedizione che al comando del capitano Carl Weyprecht, porterà la Marina austro-ungarica alla conquista delle Terre di Francesco Giuseppe tra i ghiacci del mare artico. (nota 1)
Negli estenuanti 27 mesi di navigazione e di soste forzate tra i mari artici, Eduard Orell, come altri compagni di viaggio, si ammalerà di scorbuto le cui conseguenze lo costringeranno a mettersi a riposo dopo 2 anni dal suo rientro a Trieste.
Ricevuto dall’imperatore Francesco Giuseppe il titolo nobiliare della Corona Ferrea, gli verrà offerto il posto di amministratore dell’isola di Lacroma e del castello di Miramare nonché la residenza in una villa del parco dove vivrà con la seconda moglie e i 3 figli. (nota 2)
Qui, nel febbraio del 1892, a soli 51 anni Orel morirà di polmonite.

In riconoscimento delle sue eroiche imprese gli saranno tributate delle esequie onorarie alla presenza delle massime autorità civili e militari, del 97° reggimento di fanteria e di una fiaccolata di 4.000 persone che lo accompagneranno nel piccolo cimitero di Barcola. (nota 3)

Note:
1. Siccome questa storia ci ha intrigato assai, l’abbiamo ripercorsa e scritta nell’articolo successivo che verrà pubblicato a breve.
2. La villa è tuttora esistente (e in attesa di destinazione) nella parte alta del parco di Miramare vicino a via Beirut. Qui una foto recente di Aris Prodani: Casa Radonez
3. La tomba di Eduard Orell sarà in seguito smantellata.

Notizie e foto tratte da:
Enrico Mazzoli, Dall’Adriatico ai ghiacci, edizioni della Laguna, Mariano del Friuli (Go), 2003 – Edda Vidiz, Maximiliano, l’Imperatore dal cuore di marinaio, Luglio Editore, Trieste, 2014.