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La storia della corvetta Berenice

Nella fase più drammatica della seconda guerra mondiale molte navi militari e civili convergevano fra Trieste e Monfalcone per la presenza dei cantieri, della Fabbrica macchine Sant’Andrea e dell’Arsenale del Lloyd.
Trieste ebbe una vastissima organizzazione tecnologica per l’allestimento della marina da guerra e tutto il comprensorio portuale divenne zona militare, ma proprio per la sua strategica posizione nel settembre del 1943 si trovò nel mezzo di un feroce campo di battaglia.
Dopo l’annuncio diffuso dai microfoni dell’EIAR del Capo di Governo maresciallo Pietro Badoglio dell’armistizi firmato con gli anglo-americani al comando di Eisenhover e l’immediata fuga a Brindisi del Re Vittorio Emanuele III con tutti gli esponenti della Real Casa, tutto il territorio nazionale rimase privo di ordini.
Le navi della Regia Marina avrebbero dovuto far rotta a Malta ma sia per mancanza di direttive che per le immediate ritorsioni degli ex-alleati nazisti, tutte le forze militari erano completamente allo sbando.
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre del 1943 un motociclista portaordini del colonnello della Wehrmacht riferì ai comandi tedeschi il seguente ordine: “Le navi italiane che non si arrenderanno al primo colpo di cannone siano poste immediatamente sotto il fuoco di tutte le armi”.
Fra le imbarcazioni ormeggiate, sul molo dello scalo legnami si trovava la corvetta Berenice, consegnata solo da pochi giorni dal cantiere di Monfalcone alla Marina italiana.
Con una stazza di 680 tonnellate la corvetta aveva in dotazione un cannone di 100/47 e due mitragliere da 20 mm. Il comandante era il genovese tenente di vascello Antonio Bonelli, il comandante in seconda il sottotenente Mario Tardini, l’ufficiale di rotta il guardiamarina triestino Walter Dovis; l’equipaggio era incompleto trovandosi a bordo solamente 85 persone. Dal lato opposto del molo erano ancorati il piroscafo armato tedesco John Knudsen e la Ramb IV, nave italiana ma occupata dai tedeschi, dotata di un cannone da 120 e due mitragliere da 20.


Alle ore 7 del 9 settembre il direttore di macchina della Berenice accese i motori, sciolse gli ormeggi e come si avviò verso l’estremità sud della diga Rizzo la corvetta fu colpita dalle cannonate della Knudsen e della Ramb. Con il timone distrutto l’imbarcazione girò su sè stessa senza riuscire a superare la diga e dopo essere stata crivellata di colpi, affondò in breve tempo. Alcuni uomini di bordo si gettarono in mare riuscendo a raggiungere la costa di Punta Grossa; il comandante Bonelli fu ripescato con la testa mozzata dalla palla del cannone; il guardiamarina Walter Dovis, di soli 23 anni, venne raccolto ancora vivo ma morì fra le braccia della madre dopo 24 ore di agonia; l’ufficiale di seconda Mario Tardini, che assunse il comando della nave dopo la morte di Bonelli, ebbe le gambe spezzate dalla mitragliate. Ricoverato in fin di vita riuscì a sopravvivere con una lunga convalescenza all’ospedale di Ancarano.  Alcuni abitanti del posto ricordano ancora le urla straziate a bordo della corvetta vigliaccamente attaccata in quel drammatico 9 settembre 1943.
Dei 5 morti, 2 vennero sepolti a Muggia, 3 al cimitero di Sant’Anna accanto al comandante Antonio Bonelli, 14 membri dell’equipaggio furono dati per dispersi, degli altri non si seppe nulla: alcuni probabilmente riuscirono a salvarsi nuotando a riva e raggiunte le colline di Muggia presero la via di casa o si unirono ai partigiani senza più ripresentarsi ai loro comandi.

Nelle stesse ore di quella tragica pagina di storia, era ancorato alla banchina di piazza Unità il cacciatorpediniere Audace che, con il comandante tenente di vascello Roberto Suttora di Lussino e l’ufficiale di rotta sottotenente di vascello Claudio Stenta, appresa la notizia dell’armistizio era giunto la sera prima da Fiume.
Quando la mattina del 9 settembre apparve all’orizzonte la torpediniera Insidioso, il tenente di vascello Italo Perlini resosi conto che l’artiglieria tedesca apriva il fuoco dalle rive, eseguì una rapidissima manovra riprendendo il largo intanto che il comandante Suttora ordinava ai 70 uomini di equipaggio di posizionarsi ai posti di combattimento. Tolti gli ormeggi l’Audace si apprestò alla partenza e nonostante le mitragliatrici avessero provocato molti feriti a bordo, non rispose al fuoco per non recare danni e altri dolorosi lutti alla città. L’equipaggio formato da triestini e istriani fu così costretto ad assistere, ammutolito e straziato, all’affondamento della Berenice in un mare infuocato.

Nella foto il monumento in memoria della Berenice al Cimitero Militare (in via della Pace)

La fine del leggendario cacciatorpediniere Audace
Lo storico cacciatorpediniere Audace, la prima nave da guerra italiana giunta nella Trieste italiana in quel lontano 3 novembre 1918 tra l’incontenibile entusiasmo di Trieste, fu invece l’ultima ad abbandonare la città dopo lo sciagurato armistizio dell’8 settembre 1943.
Dopo essersi rifugiata a Venezia e aver fallito un tentativo di raggiungere il sud, il 1° novembre 1944 finì in mani germaniche assumendo la sigla TA20. Da allora sul pennone non svettò più il tricolore ma la svastica nazista.
La ex-Audace, sorpresa al largo di Zara, fu poi straziata dai cannoni dei caccia inglesi e colò a picco sui fondali dell’Adriatico, dove tuttora giace (a 8° metri di profondità tra le isole di Pago e Lussino a 80 metri di profondità) assieme alle carcasse di molte altre navi da guerra.

Notizie tratte dall’ Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1978.