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Le Terme di Monfalcone

In occasione della prossima apertura delle rinnovate Terme di Monfalcone ricordiamo alcuni passaggi del breve saggio Aqua dei et vitae scritto il 5 ottobre 1881 dal console britannico Sir Richard Francis Burton durante i 18 anni della sua permanenza a Trieste (vedi precedente articolo archiviato in Storia).                                                                    Questo accattivante titolo fu preso da un’antica iscrizione su metallo rinvenuta nella zona più a sud-ovest dove tuttora esistono le tracce delle Terme Romane prima della loro distruzione a opera di Attila e degli Unni nel IV secolo.
In occasione dei restauri del porto di Monfalcone, il Magnificus Pretor di Venezia Francesco Nani nel 1433 riattivò l’uso della fonte termale con la raccolta delle preziose acque in una grande cisterna il cui uso si prolungò ininterrottamente fino al 1799.
Per il continuo pericolo delle guerre tra Veneziani e le incursioni degli Uscocchi i fratelli monfalconesi Matiassi e Micheli fondarono una società a responsabilità limitata e pagando l’affitto al Comune risistemarono la vecchia cisterna del Governatore Nani costruendovi intorno un edificio provvisto di vasche in legno. Alla loro morte il commissario distrettuale Francesco Ostrogovich riuscì a raccogliere 22.000 fiorini per edificare uno stabilimento in muratura che venne inaugurato nel 1840.
Dopo il 1868 il triestino cav Giuseppe Tonello acquistò la struttura e i diritti d’uso e apportandovi notevoli miglioramenti, incrementò l’afflusso dei pazienti e gli introiti economici.

Nel testo Aqua dei et vitae si deduce che nel XIX secolo tutta la zona intorno alle Terme era però ancora semipaludosa rispetto alle successive bonifiche e piantumazioni:
“Il luogo è un oasi asciutta in una palude piena di canne che si estende sotto la strada postale” inizia il racconto proseguendo con la descrizione del porticato centrale con le ali laterali dell’edificio con delle spartane camere da letto per i pazienti più invalidi.
Dopo il piccolo vestibolo d’ingresso con l’ufficio e l’ambulatorio del medico, si apriva una galleria con a destra la stanza dei motori dove l’acqua veniva pompata in grandi cisterne di raffreddamento e sulla sinistra lo stanzino per la fornace e il combustibile. Scendendo da qui per la scala sottostante una botola c’era il vano con l’acqua della sorgente che sgorgava da una fessura nella roccia per essere convogliata verso la zona delle fangature all’esterno dell’edificio.
La testimonianza di Burton asseriva che l’acqua sorgiva fosse limpida e pura, inalterabile all’aria anche se esposta per diversi giorni, e per lungo tempo se imbottigliata. Con la bassa marea e una temperatura di 18°C raggiungeva i 38°C, pari a 101,3° F, mentre con la stagione più calda e il mare agitato dallo scirocco superava i 39 e anche i 40 gradi centigradi. Sia con l’innalzamento della temperatura che con il deflusso delle maree aumentava la concentrazione di gas solfidrico e l’intensità del suo tipico odore.
L’ultima approfondita analisi delle acque, eseguita dal dott. Giovanni Attilio Cenedella di Brescia nel 1862, stabilì che i minerali preponderanti erano i cloruri e i solfati e che i loro effetti curativi fossero molto attivi alla sorgente e più blandi dopo l’imbottigliamento.
Il corridoio di fronte all’ingresso con appese delle offerte votive, bastoni da passeggio e vecchie stampelle come inutili trofei, immetteva in due sale d’attesa, a est per il settore femminile a ovest per quello maschile. Da qui si aprivano due gallerie a specchio ognuna con 14 bagni (+ 7 gabinetti) provvisti di vasche in marmo carsico per contenere fino 115 chili d’acqua sia calda che fredda e dei lettini dove venivano applicati i fanghi. A nord di trovava una piscina provvista di docce e un assortimento di impeccabile biancheria.
Nel 1881 il bagno costava sessanta soldi (pari a un fiorino) con la biancheria, cinquanta senza, settanta con i fanghi, un fiorino per l’uso della piscina e un altro fiorino per il trasporto andata e ritorno da Monfalcone in carrozza coperta. I servizi delle Terme erano gratuiti per i poveri ridotti per gli abitanti del posto e le tariffe dei medici erano modestissime.
Le acque venivano usate per artriti, ischialgie, gotta, per alcuni tipi di oftalmia, per migliorare le periplagie, le malattie della pelle, la pellagra – allora molto diffusa – e gli avvelenamenti cronici da piombo e mercurio.
La stagione per le cure era prevista dalla prima settimana di maggio fino alla fine di settembre.

Il testo di Sir Burton si conclude con un incitamento a una maggiore riqualificazione della struttura per renderla competitiva rispetto alle raffinate Terme austriache e francesi ma purtroppo la Grande Guerra la rase al suolo.
Ricostruita nel 1940 (vedi foto) si andò degradando fino all’abbandono dopo gli anni Settanta.
Dopo gli ultimi importanti investimenti le Terme di Monfalcone finalmente riprenderanno a funzionare nel corso dell’estate e nonostante l’attuale crisi economica non possiamo che augurarle un futuro grande successo.

Notizie tratte da: Richard Francis Burton, Le Terme di Monfalcone, Edizioni della Laguna, 1992