Archivio mensile:febbraio 2018

Il Giardino Pubblico

Nella prima metà dell’Ottocento lungo la strada allora chiamata “Carrozzabile per il Boschetto” scorreva ancora il torrente Starebrech (o Scoglio) , chiamato “patòc” dal popolo, che veniva usato dalle lavandaie per risciacquare le lenzuola nonostante il sudiciume maleodorante delle sue acque. Interrato dopo il 1845, iniziò l’allargamento della strada a valle intitolata 2 anni dopo Corsia Stadion (dal cognome del Luogotenente) mentre quella a monte dopo il 1879 prese il nome di Corsia Giulia. (1)
Nel 1854 tra la fine della Corsia Stadion (oggi via Battisti) e la futura via Giulia venne inaugurato un giovane “Giardino Popolare” che terminava presso la casetta in stile svizzero dell’Ispettore municipale (2) ma nove anni dopo il Comune acquistò il fondo delle Monache Benedettine di San Cipriano estendendo il parco fino al padiglione affiancato da 2 gallerie con annessa Caffetteria, costruito fin dal 1857.
Il giardino venne sempre più arricchito con alberi, siepi e piante e tramite pubbliche elargizioni iniziarono le annuali Esposizioni di fiori curate da Nicolò Bottacin, Presidente della Società di Ortocultura. Durante la bella stagione grazie  al lavoro di un certo signor Benzini, la Caffetteria divenne un posto alla moda sulla cui terrazza si gustavano i caffè con la panna montata e gli “storti” o fresche granite di frutta.
Nelle sere d’estate si svolgevano delle feste notturne con musiche e balli o applauditissime rappresentazioni di filodrammatici mentre al chiosco della musica le orchestrine suonavano marcette, walzer o brani d’opera.
Le passeggiate tra i viali erano deliziate dai canti di cinciallegre, pettirossi e canarini che svolazzavano in una grande uccelliera e da impettiti pavoni che passeggiavano intorno al bel laghetto dove nuotavano cigni bianchi e neri.

Foto Edizioni Italo Svevoimg215
Durante l’autunno e l’inverno il giardino accoglieva delle mostre-mercato di frutta dove erano offerte le uve nere dell’Istria e quelle bianche del Collio, le deliziose mele del Goriziano e le bionde pannocchie delle pianure friulane.
All’entrata principale del Giardino Pubblico intitolato con il nome del podestà Muzio Tommasini (3) nel 1883 venne posto il “Monumento a Trieste” raffigurante la dea Minerva sopra una fontanella con scolpiti due angeli a cavallo di un delfino.

Nella foto (collezione Giorgetti) la statua di Minerva abbattuta dopo “La Redenzione”img218
Il Giardino Pubblico nel 1890 (foto di Mauro Zoch nel gruppo Fb Trieste che non c’è più)Zoch 2

Il Padiglione municipale (foto CRT) 10658934_1523577074523610_5019149659428439944_o
Nella foto (collezione de Leitenburg) l’inaugurazione del monumento di Domenico Rossetti il 25 luglio del 1901img211
Qualche anno prima dello scoppio della Grande Guerra nel bel giardino cessarono tutte le musiche, le feste e i balli, il signor Benzini si ritirò, il caffè fu sostituito da una latteria, e i vialetti erano frequentati solo da soldati o da mamme con i bambini. (4)
Durante i tempi di guerra nel padiglione centrale fu installata una cucina di guerra e in seguito una mensa popolare.
Il “Monumento a Trieste” con la dea Minerva venne abbattuto e nel 1921 sostituito con quello della “Finis Austriae” di Riccardi Ripamonti rappresentante un’allegorica figura femminile sulle cui spalle portava un’aquila bicefala.

Foto Rete CivicaFinis Austriae
Oggi nel Giardino Pubblico, esteso in 30.000 mq., si trovano 368 esemplari arborei di grandi dimensioni: platani, olmi, ippocastani, querce con alcune specie esotiche come cedri, araucaria, gynkgo e koelreuteria. Lungo i vialetti, tra i molti arbusti come bossi, allori, ligustri, viburni, allori, pittosfori, aucube, tassi e agrifogli sono stati collocati 31 busti scultorei di illustri cittadini di Trieste. (5)
Il padiglione con le strutture laterali, oggi sede dell’A.R.A.C. , il bar e il grande terrazzo e l’area per la proiezioni di film esistono ancora come le zone attrezzate per i giochi dei bambini.

Note:

  1. Divenne via Giulia nel 1885. Le notizie sono tratte dal testo di Dino Cafagna “I torrenti di Trieste”, edizioni Luglio, Trieste, 2017;
  2. Oggi sede del III Distretto della polizia Municipale;
  3. Muzio Giuseppe Spirito de’ Tommasini, Trieste 1794-1879, fu anche un apprezzato botanico;
  4. Il giornalista Riccardo Gurresch scrisse che vennero allontanati tutti gli uccelli della voliera, i cigni, i pavoni, 2 giovani orsi e i caprioli;
  5. Da Rete Civica, Comune di Trieste.

Notizie e consultazioni tratte da: Riccardo Gurresch (Ricciardetto), Vecchia Trieste, Anonima Libraria Italiana, Trieste, 1930 – Fabio Zubini, Borgo Franceschino, Edizioni Svevo, Trieste, 2001 – Rete Civica di Trieste –  Dino Cafagna, I torrenti di Trieste, edizioni Luglio, Trieste, 2017.

La storia del monumento della dea Minerva su:   https://triestesegreta.blogspot.com/2018/08/fontana-della-dea-minerva-o-monumento.html

Il teatro di Piazza Grande

Già nel 1705 il Consiglio della città ritenendo “Esser necessaria per esercitio della gioventù ad attioni virtuose l’erettione d’un Teatro” concesse in via provvisoria l’uso di una sala sopra la Loggia comunale per rappresentazioni sceniche e balli.

Il primo vero teatro dotato di palcoscenico, platea e due ordini di palchi fu allestito nel 1751 in un Palazzo esistente fin dal 1707 in Piazza Grande e collocato tra le carceri e la chiesa di San Pietro da cui prese il nome.

Carlo Rieger: la Piazza nel 1765 con la Cancelleria del Magistrato e la Loggia sulla destra, la fontana dei Quattro Continenti di fronte, la porta di Vienna sul fondo, le chiese San Pietro – San Rocco, il Teatro San Pietro con a fianco le antiche prigioni e la Torre del Porto sulla sinistraimg187

Il teatro era illuminato in centro da un grande candelabro di cristallo e disponeva di una piccola orchestrina composta da violini e 3 ottoni che insieme accompagnavano le ariette e le melodie di famosi baritoni, avvenenti contralti nonché di “emasculati”, per dirla con eleganza, i cui virtuosismi vocali mandavano in visibilio il pubblico.

Nella foto (da Wikipedia) il celebre cantante Farinelli Farinelli

Dopo il 1793 le rappresentazioni disponevano di uno scenografo, un coro di 6 o 12 persone e un’orchestra composta da 19 strumenti musicali diretta dal primo violino e dal maestro concertatore.
Per le “prime” l’ingresso costava uno zecchino ed erano riservati alla élite dei patrizi che giungevano a cavallo avvolti nei tabarri rossi con tanto di tricorno sul capo e spadino sul fianco e alle eleganti, profumatissime dame che celate da ventagli in piume di struzzo con candide parrucche cosparse di polveri dorate, scarpette luccicanti sotto le larghissime gonne scendevano graziosamente dalle portantine rette dai loro servi.
Sul palcoscenico del Teatro San Pietro si esibirono famose compagnie di prosa che restavano in cartellone anche per 40 recite, abili prestigiatori ma anche guitti, comici e mimi circensi. A grande richiesta venivano organizzati anche degli allegri balli popolari chiamati “petizza” dal soprannome della moneta (un terzo di Fiorino) che si pagava per l’ingresso.
Il linguacciuto Ricciardetto, da cui abbiamo attinto queste notizie, aggiunge che durante gli intervalli l’eterogeneo popolino alzasse un po’ il gomito creando una bolgia ciarliera e fumosa.
Negli ultimi anni del Settecento venne aperta anche una sala del ridotto e furono messe a disposizione delle carrozze pubbliche per accogliere e riaccompagnare i partecipanti ai balli e agli affollatissimi veglioni di Carnevale.

Nella piazza retrostante al teatro San Pietro, ormai chiamato “Vecchio” il ricchissimo conte Antonio Cassis Faraone commissionò agli architetti Giannantonio Selva e Matteo Pertsch la costruzione del “Teatro Nuovo” che fu solennemente inaugurato nell’aprile 1801.teatro 2

Dopo la chiusura il vecchio teatro settecentesco venne del tutto abbandonato fino al suo abbattimento nel 1822 mentre la piazza di Trieste a lungo nominata anch’essa con il nome dell’antica chiesetta, riacquistò nuovi spazi trasformandosi in Piazza Grande.P San Pietro

Notizie tratte da: Riccardo Gurresch (Ricciardetto), Vecchia Trieste, Anonima Libraria Italiana, Trieste, 1930