Archivio mensile:gennaio 2014

Carlotta Imperatrice del Messico

 

L’antefatto

Con una lettera del 15 gennaio 1866 Napoleone III comunicava a Massimiliano la sua decisione di ritirare dal Messico le sue truppe per volere del corpo legislativo e per le minacce del Governo degli Stati Uniti di provocare una guerra. Sebbene l’Imperatore del Messico si fosse dimostrato comprensivo e deciso ad affrontare con lealtà e decoro la difficile situazione, subito dopo inviò a Parigi prima il suo segretario Félix Eloin e poi il generale Juan Altomonte al fine di ritardare quanto più possibile la partenza delle truppe francesi. Carlotta, che pur aveva sempre sostenuto il marito convincendolo di non cedere all’abdicazione, comprese che stava crollando l’ultimo puntello al loro trono e che solo lei, come nipote dello spodestato Luigi Filippo d’Orléans, avrebbe potuto chiedere un aiuto all’uomo che deteneva la corona della sua dinastia.
Mentre veniva discusso il viaggio di Carlotta per l’Europa, Massimiliano incaricava il console Guillemard di chiedere alla regina di Spagna Isabella II di Spagna l’avvio di una trattativa segreta con alcuni con potenti personaggi della Corte Romana per riuscire a imporre al Messico il concordato religioso, fino allora rifiutato.
Dopo il fallimento di questa missione venne deciso che dovesse essere ancora l’imperatrice Carlotta in persona ad affrontare un colloquio privato con il papa Pio IX per supplicare il suo aiuto.

Dopo il suo inutile colloquio a Parigi con Napoleone III e il momentaneo ritorno a Miramare sfinita di stanchezza, il viceconsole Merlato comprese la gravità della situazione e convinse il console Garcìa Miranda, giunto a Trieste da soli 4 mesi, a riferire i fatti alla Regina di Spagna sperando il suo appoggio. Isabella II non affidò alcun incarico al consolato limitandosi a ringraziare per gli accurati i rapporti che le erano pervenuti.
Ma questi fatti pur gravissimi sommati all’allontanamento forzato dal marito a cui è certo fosse legata da un grande affetto e poi da uno struggente rimpianto in aggiunta alla comprensibile delusione di un Impero per sempre perduto, potrebbero essere sufficienti a ritenere davvero pazza la povera Carlotta , o avvenne qualcos’altro di ancora più drammatico della cinica indifferenza della corte Asburgica, francese, spagnola e vaticana? E se pure la situazione fosse stata, come effettivamente è stata, così perversamente ostile alla nobile coppia da indurre l’Imperatrice a un grave crollo di nervi, è credibile che non avesse potuto riprendersi e recuperare il senso della realtà? Se esistono diverse e come vedremo discutibili informazioni sull’esordio della malattia non si sono trovate notizie su quanto avvenne nei 10 mesi di reclusione al Gartenhaus che non fossero illazioni e pettegolezzi privi di fondamento.
Si ritiene così che le pazienti ricerche di Oscar de Incontrera sui rapporti del consolato spagnolo e dei medici inviati da Massimiliano stesso, possano indurre almeno una riflessione sugli inquietanti indizi raccolti.

Il viaggio nello Yucatan


Ripercorrendo quanto avvenne alla fine del 1865, cioè durante il famoso viaggio nello Yucatan e nei mesi successivi, Carlotta era sicuramente nel pieno della sue facoltà mentali, eppure la sua leggenda iniziò proprio nella visita ufficiale nella selvaggia penisola che compì da sola per volere dello stesso Massimiliano. Alcuni romanzieri storici asserirono che il viaggio durò dal novembre o dicembre del 1865 fino alla primavera del ’66 mentre i documenti storici hanno documentato che la trasferta durò un solo mese, precisamente dal 20 novembre al 20 dicembre 1865.
Oscar de Incontrera si appassionò a questa storia così dibattuta e compì degli approfonditi studi su documenti ufficiali come sui carteggi di Massimiliano e del maresciallo Bazaine con Napoleone III e altri ministri francesi, le lettere di Carlotta alla nonna Maria Amelia, ex-regina di Francia esiliata a Londra e alle amiche di Bruxelles, contesse d’Hulst e Grünne.
Tutta questa documentazione venne scritta nei seguenti libri:
Ernest Gaulot, L’Empire de Maximilien, Paris, 1890;
Egon Caesar conte Corti, Maximilian und Charlotte von Mexiko”, Zurigo 1924 (vol.2)
Contessa Henriette de Reinac Foussemagne, Charlotte de Belgique Impératrice du Mexique, Paris, 1925.

Nella lettera del 20 ottobre 1865 Massimiliano comunicò all’Imperatore Napoleone III di aver deciso la visita della consorte nello Yucatan per cercare di affrontare la drammatica situazione politica e militare con la concessione della loro autonomia. Per Carlotta aveva previsto un’adeguata scorta di accompagnamento come Federico Hooricks, segretario della delegazione belga e l’ing. Félix Eloin, segretario di Massimiliano stesso, il Ministro degli Esteri José Fernando Ramirez e quella della Giustizia Pedro Escudero.
Il viaggio quindi iniziò da Veracruz il 20 novembre 1865 sul piroscafo messicano Tabasco con la scorta della corvetta austriaca Dandolo. Il giorno 23 la nave attraccò nel porto yucateco di Sisal e la sera stessa l’Imperatrice entrò a Mérida rimanendovi fino al 4 dicembre “[…] in mezzo a feste che mi fecero dimenticare le noie e le tristezze di Città del Messico” scrisse entusiasticamente alla famiglia. I giorni successivi visitò le rovine Maya a Uxmal proseguendo per Campeche e l’isola del Carmen da cui s’imbarcò nuovamente sul Tabasco per rientrare a Veracruz il 20 dicembre.
Già il giorno dopo Carlotta scrisse alla nonna: “Sono appena tornata dal mio viaggio nello Yucatan… Dappertutto sono stata ricevuta con il più grande entusiasmo e grazie al cielo sto perfettamente bene in salute. Max è fiero di me e sommamente soddisfatto per quanto sono riuscita a raggiungere” dando quindi testimonianza non solo del suo perfetto equilibrio psichico ma anche di un compiacimento di sé che allontana l’ipotesi dei tragici fatti che qualcuno ritenne di avanzare, come l’assunzione di droghe o addirittura di uno sciagurato concepimento per opera di José Lopez Uraga, aiutante di campo di Massimiliano, per quanto fosse stato ritenuto da molti uno spregiudicato avventuriero.
Di quel viaggio Carlotta scrisse un dettagliato rapporto in cui prospettava la possibilità di concordare allo Yucatan una possibile autonomia seppure a certe condizioni e senza troppa libertà.
Nemmeno la dolorosa notizia della morte del padre Re Leopoldo I (avvenuta il 10 dicembre) alterò la sua mente, come risulta da una lettera datata alla contessa Grünne,  dama d’onore della Corte belga, dove  ripercorrendo i giorni della sua permanenza nella penisola messicana ricordò le ultime lettere dell’amatissimo padre con un sentimento di profonda e lucida commozione.

Tuttavia se l’assunzione di qualche droga viene del tutto esclusa da tutti gli storici almeno nel corso di quel viaggio, non altrettanto sarà negato nei mesi successivi per circostanze e casualità documentabili anche se ai margini di una certa ufficialità, cauta ad ammettere un’eventualità così sconvolgente.
Per quanto riguarda la necessità di dare un erede al trono messicano è notizia certa che fin dal 9 settembre 1865 Massimiliano firmò l’adozione del piccolo Iturbide (nipote del deposto imperatore del Messico Agostino I°) come suo Principe Ereditario, permettendogli di vivere a corte con la zia Alicia. L’imperatrice Carlotta come donna, sposa e sovrana, sofferse infinitamente per non aver avuto un figlio dal suo Max e fu inizialmente ostile all’adozione di Agostino Iturbide, tuttavia in poco tempo si talmente affezionò al bambino da provare una grandissima pena quando al precipitare degli eventi fu riconsegnato alla famiglia.

Nella foto il manto di Massimiliano dell’ordine della Guadalupa, già istituito da Iturbide.

L’ultimo soggiorno a Miramare di Carlotta del Belgio

Documentazioni

Dopo lunghe ricerche presso il Regio Consolato di Spagna a Trieste Oscar de Incontrera trovò l’ interessante carteggio di Gaetano J. Merlato (1) che dal 1838 fu cancelliere del console don Sebastiano Vilar, viceconsole di don Adolfo Guillemard de Aragòn negli anni 1857-1865 e successivamente di don Joaquin Garcìa Miranda, console dal 1865 al 1868 e poi trasferitosi nello Stato Pontificio.
Per le documentazioni che riguardano l’ultimo soggiorno dell’Imperatrice Carlotta a Miramare  e stilate in seguito da Garcìa Miranda, il Merlato si avvalse anche dalle relazioni con personaggi dell’entourage dell’Imperatrice fra cui alcuni dei delegati che nel 1864 offrirono a Massimiliano d’Asburgo la corona del Messico (2).
Su alcuni fatti che effettivamente avvennero durante i 10 mesi di segregazione di Carlotta a Miramare, Oscar de Incontrera riporta pure alcune notizie tramandate in famiglia dal nonno Giovanni, chef de cuisine alle dipendenze di Massimiliano d’Asburgo e che fu accanto a Carlotta nel suo drammatico viaggio da Veracruz, diventando quindi uno dei testimoni del suo ultimo soggiorno triestino prima della sua partenza per il Belgio.
Saranno via via riportati gli altri documenti ufficiali sui quali Oscar de Incontrera cercherà di analizzare i motivi che hanno spezzato la mente di una così giovane sovrana, fino allora apprezzata per la vivace intelligenza, la finezza della sua cultura, la passione per le letture con una grande versatilità nelle lingue e una sorprendente manualità artistica.

Note:

(1) Gaetano Merlato, nato a Trieste il 3/2/1807, dopo aver soggiornato a Venezia (dove si diplomò all’Accademia di Belle Arti) e Milano, ritornò nella città natale ricoprendo inizialmente il ruolo di segretario- bibliotecario di a Domenico Rossetti (1774 – 1842). Successivamente si dedicò alla carriera diplomatica e per la sua profonda conoscenza della lingua spagnola fu anche interprete giurato presso il Tribunale di Trieste. Nel 1840 si sposò con Lucia Kandler, sorella di Pietro, da cui ebbe due figli.
In memoria del cognato lo storico-archeologo Pietro Kandler (Trieste 1805 – 1872) scrisse un testo sulla  sua vita e il grande operato prima di spegnersi il 31 dicembre 1873.
(Da B.M. Favetta, Famiglie triestine nella vita della città, Atti dei civici musei di storia e arte, Trieste, 1975).

(2) La cerimonia di consegna della corona del Messico a Massimiliano si svolse il 3 ottobre 1863 nella camera da letto della coppia arciducale, situata al piano terra del Castello: a quella data, infatti, il primo piano di rappresentanza non era ancora terminato.
È lo stesso Massimiliano che, dalle pagine del suo diario del 1863, ci informa che il pittore “triestino” Cesare Dell’Acqua è giunto da Bruxelles per assistere alla cerimonia. In realtà, il pittore avrebbe dipinto la tela anni dopo nel suo atelier di Bruxelles, portando quasi certamente con sé una fotografia degli astanti, data la fedeltà al vero che traspare dai singoli volti dei personaggi rappresentati. Oltre al futuro imperatore Massimiliano, raffigurato davanti al tavolino in scagliola nera donato da Pio IX alla coppia arciducale e attualmente esposto nella sala dei regnanti, nel dipinto sono ritratti, da sinistra a destra, Josè Maria Gutierrez de Estrada che tiene in mano il documento di nomina a imperatore, padre Francisco Javier Miranda, Joachim Velasquez de Léon, Ignazio Aguilar y Marocho, Josè Manuel Hidalgo, Adrian Woll, Conde de Valle, Antonio Arango y Escandon, Angel Iglesias y Dominguez, Josè Maria Landa.
L’opera assume grande importanza per il suo valore documentario.Quadro di Cesare dell’Acqua dall’archivio dei Musei di Storia e Arte

Carlotta del Belgio – Cronologia

Figlia del re del Belgio Leopoldo I di Sassonia-Coburgo, la principessa Charlotte nasce a Laeken il 7 giugno 1840 e vive un’infanzia felice fino ai 10 anni. Dopo la prematura scomparsa della madre Luisa d’Orléans subisce passivamente l’influenza religiosa e severa degli educatori che le infonderanno un opprimente senso del dovere oltre a quello già imposto dal suo titolo nobiliare.

Nella foto Carlotta vestita a lutto

Quando il 27 luglio 1857 si sposa a soli 17 anni con l’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo, il biondo e affascinante fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe, non si aspetta che uno splendido avvenire. Dopo il sontuoso matrimonio a Bruxelles tra il Gotha della nobiltà e un felice viaggio di nozze nelle capitali d’Europa, la nobile copia vivrà tra le residenze di Milano, Monza e Venezia dove Massimiliano assolveva con impegno l’incarico di governatore del Regno Lombardo-Veneto conferitogli dal fratello.
In seguito alle guerre per l’indipendenza delle province nel 1859 i giovani sposi saranno però costretti a fuggire. Sceglieranno così di vivere a Trieste dove Max attendeva il completamento del bianco castello a picco sul mare il cui progetto era stato affidato all’ingegnere austriaco Karl Junger fin dal 1855.

Dopo la permanenza in Villa Lazarovich sul colle di San Vito (1) e in seguito nel Gartenhaus del parco di Miramare, Massimiliano e Carlotta si trasferiranno al primo piano dell’incantevole castello. Ma proprio tra quelle sfarzose stanze l’arciduchessa vivrà i suoi primi tormenti in attesa dell’irrequieto marito sempre alla ricerca di interessanti progetti fra Vienna e Trieste.

Dopo soli tre anni di matrimonio la giovane Carlotta s’incupisce e abbandona il letto nuziale per motivi mai chiariti ma che hanno alimentato una serie di sospetti e illazioni sul comportamento libertino di Massimiliano. Certo è che non furono mai esternate critiche o lamentele, anzi, la nobile coppia dichiarerà sempre il reciproco affetto anche nel corso delle loro tragiche vicende. (2).
Così quando all’arciduca verrà proposta la corona del Messico, affronteranno apparentemente uniti l’ambizioso progetto dedicandovi tutte le loro giovani energie.
A nulla serviranno i moniti di re Lepoldo I, l’amorevole padre di Charlotte, che aveva intuito i pericoli incombenti sugli ambiziosi Imperatori: il 5 aprile 1864 alla presenza di Francesco Giuseppe l’arciduca sottoscriverà il suo testamento (3) e il 14 aprile si imbarcherà sulla fregata Novara alla volta del suo Impero.

(Nella foto la Corona del Messico)

Nessuno sarebbe mai riuscito a portare a buon fine quell’insensato compito in uno stato sconvolto dalle insanguinate battaglie interne e in pieno corso della guerra di secessione tra Stati Uniti e Stati Confederati, eppure fu ciò che accadde.
Dall’arrivo trionfale a Veracruz il 28 maggio 1864 alla drammatica conclusione di quell’impossibile regno, saranno scritte immani pagine di storia non certo gloriose per i regni dell’Europa che pur avevano puntato sulle colonie d’oltreoceano.
Qui ci limiteremo a considerare solamente che quando il subdolo Imperatore di Francia Napoleone III (1808 – 1873) costretto a scongiurare il pericolo di una disastrosa guerra con gli Stati Uniti stessi, ritirerà le sue truppe dal Messico, la sorte del giovane sovrano sarà ormai segnata.

Dopo essersi data anima e corpo alla causa di quell’assurdo impero, la povera Carlotta tenterà di chiedere un estremo aiuto alle corti d’Europa.
In seguito a un torrido viaggio da Veracruz a Parigi (4) e l’umiliante rifiuto di Napoleone III, il 28 agosto raggiungerà Miramare per riprendersi da un penoso sfinimento per poi ripartire piena d’angoscia già il 18 settembre alla volta di Roma affrontando l’incontro con papa Pio IX.
Sebbene nel drammatico colloquio del 27 settembre si fosse prostrata ai suoi piedi supplicandolo d’intercedere con l’imperatore di Francia, ricevette un irremovibile diniego. Disperata e sconvolta, tra l’imbarazzo di tutta la Curia, esploderà in una grave crisi nervosa e dopo una terribile notte in Vaticano trascorsa in stato di grande agitazione (5) il 18 ottobre 1866 sarà ricondotta a Miramare.

 Da allora inizierà a rifiutare il cibo ritenendolo avvelenato, a percorrere turbata e confusa le stanze del castello o i viali del parco, aspettando sul molo della sfinge il ritorno del suo Max.
Condotta per volere dei medici al Gartenhaus, ufficialmente per essere protetta, verrà rinchiusa in assoluto isolamento tra porte e finestre sbarrate.(6)

La giovane sovrana sprofonderà così in un lento, progressivo deterioramento seppure alternato a momenti di lucidità in cui riemergeranno le passioni di un tempo e gli struggenti ricordi dei giorni felici.
Non venne informata sulla drammatica situazione di Massimiliano, della sua prigionia con la sentenza di morte e meno che mai dell’esecuzione avvenuta a Queretaro il 19 giugno 1867.

Sembra davvero incredibile che soltanto allora la famiglia reale di Bruxelles avesse saputo delle sue penose condizioni psico-fisiche e che per ricondurla al castello di al castello di Laeken (7), dov’era nata e vissuta fino al giorno del suo sventurato matrimonio, fosse stato necessaria l’autorizzazione di Francesco Giuseppe in persona.

Partita da Miramare il 29 luglio 1867, Carlotta non vi farà più ritorno.

Trasferitasi pochi giorni dopo al castello di Tervueren, solamente nel gennaio 1868 verrà informata della morte di Massimiliano.
Dopo l’incendio del 31 marzo 1879 sarà ancora la regina Marie-Enriette a soccorrere la cognata riportandola nuovamente a Laeken. Qui rimarrà fino all’ultimazione del castello di Bouchout (tra Bruxelles e Laeken), acquistato per lei dal fratello Leopoldo II.
In questa severa fortezza tardo-gotica, rinchiusa da altissime mura e circondata dall’acqua, la nostra Carlotta trascorrerà in solitudine il resto della sua lunga vita, trovando una certa tranquillità tra le letture, il riordino dei documenti portati dal Messico e le passeggiate nel parco. “Egli era così buono il mio Max! Tutti l’amano tanto…” ripeterà spesso ad alta voce. Ma si potrebbe supporre anche la consapevole rassegnazione al suo destino quando talvolta avvertiva i suoi interlocutori: “Non fate attenzione, signore, se si sragiona… Un grande matrimonio, signore, e poi la follia. Ma la follia è fatta dagli avvenimenti…”.

Il mondo crollerà attorno a lei ma tutte le vicende storiche, la fine dell’impero francese, la tragedia di Mayerling, (8), l’assassinio della cognata Elisabetta, dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo fino alla caduta degli Asburgo alla fine della Grande Guerra, si svolgeranno nella sua rassegnata indifferenza.

Alle 7 del mattino del 19 gennaio 1927, dopo un indebolimento generale, una paralisi alle gambe e un’agonia di 28 ore per una sopraggiunta polmonite, Carlotta raggiungerà finalmente la sua pace.
Il 22 gennaio la sua bara bianca circondata dai fiori attraverserà le tristi brume coperte di neve per essere tumulata nella cripta reale di Notre-Dame di Laeken.

Note:

(1) In via Tigor n. 23 (oggi molto rimaneggiata)

(2) I continui viaggi dell’Arciduca Massimiliano sono testimoniati dalle molte lettere inviate negli anni 1856 – 1859 riportate nel libro Mia cara, adorata Charlotte, M. Bolaffio Editore, 1987, Trieste

(3) Il testamento è riportato nel libro:  Massimiliano da Trieste al Messico, Ed .LINT, Trieste, 1986

(4) Dal 13 luglio al 9 agosto 1866

(5) L’imperatrice Carlotta fu l’unica donna a soggiornare in Vaticano

(6) Ma qualcuno tra la servitù riportò delle voci…

(7) Accompagnata dalla cognata regina Marie-Enriette d’Asburgo-Lorena, moglie del fratello Leopoldo II divenuto re del Belgio nel 1865

(8) L’arciduca Rodolfo, nipote di Massimiliano, era sposato con la principessa Stephanie, figlia di Leopoldo II

Fonti tratte da:
Oscar de Incontrera, L’ultimo soggiorno dell’Imperatrice Carlotta a Miramare, Soc. Mutilati e Combattenti, Trieste, 1937;
Mia Kerckvoorde, Il tragico destino di un’Imperatrice, Edizioni Mursia, Milano,1993;
Provincia Ts: Massimiliano da Trieste al Messico, Ed. LINT, Trieste, 1986

Carlotta del Belgio

Tra tutti i personaggi della Trieste di un tempo e particolarmente tra quelli della dinastia degli Asburgo, la principessa reale Marie Charlotte de Saxa-Coburgo-Gotha ha sempre avuto un ruolo marginale e comunque avvolto dall’ingenerosa fama della sua pazzia. Eppure la sua storia tormentata presenta degli aspetti controversi e più intriganti rispetto alla cognata Sissi, la celebratissima Elisabeth von Wittelbach, moglie del potente Francesco d’Asburgo-Lorena.
Se l’avventurosa vita di Massimiliano e le drammatiche vicende messicane sono state documentate e riportate in una bibliografia planetaria si trovano poche notizie su quelle vissute da Carlotta che pur condivise con lui dieci lunghi anni di storia.
Ma i gravissimi fatti accaduti, l’allontanamento forzato dal marito a cui è certo fosse legata da un grande affetto, la comprensibile delusione di un Impero per sempre perduto sarebbero sufficienti a scatenare la follia o avvenne qualcos’altro di ancora più drammatico della cinica indifferenza della corte asburgica, francese, spagnola e vaticana? E se pure la situazione fosse stata, come effettivamente è stata, così perversamente ostile alla nobile coppia da indurre Carlotta a un grave crollo di nervi, è credibile che non avesse potuto risollevarsi riacquistando il senso della realtà?
Addentrandoci nello specifico argomento si sono trovate diverse e come vedremo discutibili notizie sull’esordio della malattia ma quasi nulla su quanto veramente avvenne nei 10 mesi di reclusione al Gartenhaus di Miramare.
Così alla Biblioteca di Storia e Arte ho trovato gli interessanti articoli che lo storico Oscar de Incontrera scrisse per la rivista La Porta Orientale (Anno VII, numeri 5 e 6 di maggio-giugno 1937) dal titolo:
L’ultimo soggiorno dell’Imperatrice Carlotta a Miramare secondo documenti inediti

Le sue pazienti ricerche sulle corrispondenze del Consolato di Spagna a Trieste e il Ministero degli Esteri di Madrid e sulle relazioni dei medici inviati sia da Massimiliano che dalla Corte del Belgio inducono a riflettere sugli inquietanti indizi raccolti dai personaggi vissuti ai tempi in cui si svolse il dramma di Carlotta.

Per una lettura più agevole il lungo articolo è stato diviso in 7 capitoli che pubblicherò in 3 o 4 parti:
– La cronologia
– Le documentazioni
– L’antefatto
– Il viaggio nello Yucatan
– I fatti
– L’epilogo
– Lo smantellamento della corte di Miramare

Eugenio Geiringer

Eugenio Geiringer, nato a Trieste il 25 febbraio 1844, fu un originale architetto-ingegnere di ispirazione neoclassica, stile molto in voga ai tempi dell’Impero austro-ungarico.

Figlio di Ruben Isach Roberto Geiringer, nativo di Gajary (a nord di Bratislava in Slovacchiatra) e di Eva Morpurgo, appartenente alla famiglia di banchieri che fondarono le Assicurazioni Generali, studiò all’Accademia di Commercio e Nautica di Trieste (oggi Istituto Nautico) creato da Maria Teresa d’Austria nel 1774. Seguiti i corsi di Matematica all’Università di Padova, nel 1864 si laureò in Ingegneria specializzandosi negli impianti di illuminazione a gas. Dopo aver insegnato disegno geometrico-meccanico-industriale alla Civica Scuola Reale di Trieste, dal 1872 al 1877 divenne Direttore alla Banca Triestina di Costruzioni e Presidente della Società degli Ingegneri e Architetti.
Sposatosi nel 1874 con Ortensia Luzzatti ebbe 7 amatissimi figli di cui Pietro (1886-1944), condirettore delle Assicurazioni Generali morì con la moglie Francesca Vivante nel campo di sterminio di Auschwitz.
Geiringer fu membro del Partito Liberale Nazionale, consigliere del Municipio, deputato della Provincia, presidente della “Commissione pubbliche costruzioni”, membro della “Commissione all’ Istruzione”, del “Consiglio superiore della Cassa di Risparmio” e di altre strutture amministrative senza dimenticare le sue funzioni di curatore dei “Civici Musei di Antichità e Storia Naturale”.

Iniziò la linea ferroviaria Trieste-Vienna che dalla Stazione di Sant’Andrea attraversava i Tauri austriaci e fu autore di diversi progetti per lo sviluppo ferroviario dell’Istria, della Carinzia e della Slovenia.
Dal 1886 al 1892 fu presidente della Società Alpina delle Giulie, di cui fu uno dei fondatori, vicepresidente della “Società di abbellimento della città di Trieste”, direttore della “Società d’igiene” e della “Società delle Corse”.

Morì il 18 novembre 1904 lasciando una grande quantità di opere da lui realizzate.

Su progetto dell’architetto Giuseppe Bruni dal 1872 al 1877 Geiringer diresse i lavori di costruzione del Palazzo Municipale e dell’elegante Hotel Vanoli in Piazza Grande.

Nel 1883 Geiringer fu incaricato dalla Direzione generale delle Assicurazioni Generali di progettare la nuova prestigiosa sede di via Cavour.
Tra i due obelischi sopra l’elegante facciata dell’imponente struttura spicca l’iscrizione della data di nascita della grande Compagnia (1831).

Il palazzo del Lloyd austriaco fu costruito invece dagli architetti viennesi Heinrich Freiherr von Ferstel e Josef Horwath mentre Geiringer si occupò della pianificazione dei lavori e dell’abbellimento dei muri esterni.
La bella villa Geiringer che domina tutto il golfo di Trieste dalla sommità del colle di Scorcola venne costruita nel 1896 sopra un precedente edificio.

Durante la seconda guerra mondiale il Castelletto fu usato come sede del Genralkommando dell’Asse durante l’invasione delle truppe yugoslave. Secondo una testimonianza di Monsignor Antonio Santin (1895-1981) all’epoca esisteva un passaggio sotterraneo collegato all ’Ospedale Militare.

La Villa Geiringer è oggi la sede dellEuropean School of Trieste integrata al sistema scolastico italiano.

La Villa Fausta di Salita di Gretta n. 5, costruita nel 1855 dal podestà Muzio Giuseppe Spirito de Tommasini (1794-1879) fu ingrandita e modificata dall’ingegner Eugenio Geiringer e acquistata da Fausta Veneziani, sorella di Livia, moglie di Italo Svevo.

Questa villa a forma di castello neo-medievale situata in via Tiepolo n.11 e appartenente ai marchesi Diana, fu acquistata dal cavalier Giuseppe Basevi nel 1895 e subito danneggiata dal . violentissimo terremoto avvenuto nei pressi di Lubiana il 14 aprile. L’edificio venne così trasformato e ampliato dall’ingegner Eugenio Geiringer per essere poi ceduto in locazione nel marzo 1898 al governo austro-ungarico che vi trasferì l’osservatorio Zentralanstalt für Meteorologie und Geodynamik dotato sia di un sismografo di tipo Rebeur-Ehrlet che di un potente telescopio astronomico.


Anche il palazzo neo-classico della Banca d’Italia, situato in via Cavour n.141, fu eretto agli inizi del XX secolo da Eugenio Geiringer unitamente all’architetto austro-ungarico Müller.

Fonte : Wikimedia Commons (e vari articoli vari provenienti dagli Archivi elencati)

 

 

 

Le ricerche del Timavo sotterraneo

La mancanza d’acqua che periodicamente si verificava a Trieste nel 19esimo secolo, nell’estate del 1828, dopo più di un anno di siccità continua, divenne gravissima.
Le fontane pubbliche furono razionate e a parte il modesto approvvigionamento dalle sorgenti di Zaule, l’acqua doveva essere attinta dall’Isonzo e portata in città con le botti. Un’apposita Commissione iniziò a esaminare le polle esistenti sul del territorio progettando la costruzione di un acquedotto ma alla fine dell’anno il controllore di cassa del Comune si defilò con tutti i denari provocando una disastrosa sospensione dei lavori programmati, scavi compresi.
I provvedimenti più urgenti ed eseguiti con mezzi limitati e provvisori ebbero degli effetti molto scarsi e quando si verificò l’estenuante siccità del 1834 che si protrasse fino all’autunno del 1835, il rifornimento idrico della città divenne improrogabile.
Fu interpellato allora l’apprezzato perito di Milano ing. Anastasio Calvi che dopo diversi sopralluoghi, studi e misurazioni, ritenne fattibile riattivare gli antichi acquedotti della val Rosandra (costruiti in epoca romana nelle zone di Dolina) e allacciarli a nuove tubature, senza però escludere la possibilità di creare dei condotti alimentati dal Reka (com’era chiamato il Timavo) prima del suo inabissamento nella voragine di San Canziano.
Considerata la distanza dalla città e gli altissimi costi di entrambi i progetti, l’ingegnere minerario Anton Friedrich Lindner iniziò una sistematica perlustrazione delle colline sovrastanti Trieste ascoltando anche i paesani in merito ai forti sibili da tempo avvertiti in determinate zone e sicuramente provocati dalla rimonta di acque nascoste nelle profondità carsiche.
Nell’aprile 1839 Lindner presentò al Governo del Litorale le mappe del presunto corso di un torrente sotterraneo con la proposta di intercettarlo con i necessari scavi per poi convogliarne le acque in una serie di gallerie. Gli amministratori pubblici però non intesero vincolarsi in questioni dai risvolti giuridici poco chiari circa la proprietà delle acque stesse e prima del ritrovamento effettivo del misterioso fiume.
Durante gli improvvisi diluvi che si verificarono all’inizio di novembre del 1840 il fenomeno delle violentissime correnti d’aria sprigionate dalle fessure in una dolina fra Orlek e Trebiciano dimostrarono senza più dubbi la presenza di un torrente in piena. L’ing Frederick Lindner assoldò allora dei minatori per allargare il pertugio da cui era fuoriuscito il più potente e sibilante getto d’aria e cercare il misterioso fiume che scorreva sotto il carso.
La disostruzione dei passaggi e la scoperta di una successione di pozzi sempre più profondi fu arditissima e non priva di imprevisti.
Procedendo con inaudite difficoltà fra mine e vigorosi colpi di mazza su cunicoli ad assetto verticale, i lavoranti avvistarono sabbie, detriti vegetali e perfino la pala di un mulino incastrata fra le rocce. A 220 metri di profondità giunsero sulla sommità di un’oscura e silenziosa caverna priva di sbocchi. Dopo altre fessure da forzare e ulteriori scavi in una “finestra” in parete che attraeva le fiamme delle fiaccole, finalmente venne raggiunta una strettoia dove i frammenti di roccia si sentivano cadere a grande profondità.
Allargato l’ultimo passaggio, il 6 aprile 1841 a cinque mesi dall’inizio dei lavori, i minatori scesero nel dodicesimo pozzo affacciato a una grandiosa caverna dove furono avvertiti i mormorii di un’ immensa massa d’acqua.
Fu così provata l’esistenza di un fiume che scorreva negli abissi carsici proprio come Lindner aveva sempre sostenuto.
Con l’allargamento dei passaggi più angusti, la costruzione di impalcature e robuste scale di discesa si giunse però alla conclusione che quel fiume sotterraneo scoperto con tanto entusiasmo era talmente profondo da rendere troppo elevati i costi degli allacciamenti idrici. Fu infatti calcolato che il precipizio aveva una profondità complessiva di 322,318 metri, con il livello medio dell’acqua a 19 metri sul livello del mare. Inoltre le innumerevoli ricerche di Lindner effettuate in condizioni estreme e senza neppure ottenere il riconoscimento dell’autorità comunale, minarono la sua salute e lo condussero alla morte per tubercolosi a soli 40 anni il 19 settembre1841.
L’abisso di Trebiciano rimase così in stato di abbandono fino al 1849, anno in cui fu ottenuta la reggenza municipale di Trieste.
Sotto la direzione di un “Comitato alle Pubbliche costruzioni e Lavori idraulici” l’ispettore dei civici pompieri Giuseppe Sigon con una serie di progressive esplorazioni nella grotta di Trebiciano riuscì a raggiungere il sifone di entrata del canyon sotterraneo e a valutare in ben 758.000 metri cubi la sua portata nelle 24 ore e a 410.000 mq/h. durante i periodi di massima siccità, quantità dieci volte superiore a quella giudicata necessaria per l’acquedotto di Trieste. Per l’enorme volume delle acque si dedusse che altri fiumi potessero ingrossare quello di Trebiciano che con altre ramificazioni confluisse poi allo sbocco di San Giovanni di Duino.
Mentre in Comune venivano esaminati i lavori di scavo per costruire gallerie e tubature, un nuovo fatto ribaltò ancora i progetti. Per rifornire i treni a vapore della futura Ferrovia Meridionale, fu costruito in breve tempo un acquedotto che convogliava le non molto abbondanti sorgenti costiere di Aurisina mentre una conduttura parallela avrebbe portato l’eccedenza d’acqua in città. Ma in una Trieste in continuo sviluppo l’erogazione così ottenuta, peraltro con altissimi costi, divenne ben presto del tutto insufficiente. Le risorgive avevano inoltre dei flussi incostanti e spesso commisti ad acqua salmastra e con l’ennesima siccità verificatasi nel 1868, si prosciugarono del tutto.
Intanto però molti studiosi continuavano i progetti estrattivi dal fiume sotto le grotte di Trebiciano.
Nel 1895 l’ingegnere svizzero Polley, ritenendo fattibile l’approvvigionamento idrico di quel torrente sotterraneo, decise di acquistare la grotta di Trebiciano affidando al giovane Eugenio Boegan dei nuovi rilievi. Dopo anni di misurazioni e studi, appena nel 1910 l’ing. Polley presentò i progetti per azzardatissime gallerie con pendenze dello 0,5 per mille dotate di pompe elettriche azionate da turbine per intercettare le acque a 85 metri di quota. Propose poi di allungare le gallerie per intercettare anche le acque delle grotte di San Canziano e perfino la costruzione di un’elettrovia per il trasporto di merci e persone. Tutte le elaboratissime proposte del Polley terminarono nel 1912 con la cessione della grotta di Trebiciano al Comune di Trieste.
Nell’anno successivo, dopo alcuni riadattamenti e le periodiche misurazioni delle acque, si riuscì a provare con un colorante di cloruro di litio, che le acque del Reka inabissate a San Canziano continuavano il loro segreto percorso fino a congiungersi con quelle sotto la caverna di Trebiciano.
Durante le operazioni belliche della prima guerra mondiale le briglie di contenimento alle risorgive del Timavo furono distrutte per impedire di incrementare la portata dell’acquedotto di Aurisina, danneggiato anch’esso dalle artiglierie italiane e le misurazioni nella grotta di Trebiciano divennero saltuarie.
Nel 1927 fu escogitato un nuovo tentativo di marcatura delle acque del Reka-Timavo-risorgive del Timavo: un certo numero di anguille (con diverse incisioni) furono immesse nel corso esterno del fiume nella pianura di Vreme, altre nella voragine di San Canziano e un terzo gruppo nel torrente inabissato a Trebiciano. La prima anguilla giunse alle risorgive di San Giovanni di Duino dopo 40 giorni, alcune delle restanti entro un anno.
Fu così finalmente raggiunta la certezza che le zampillanti acque provenienti dal Monte Nevoso dopo un tranquillo percorso in valle, la loro scomparsa e il tortuoso tragitto nelle profondità delle terre carsiche, sgorgavano proprio nelle risorgive di San Giovanni di Duino per poi sfociare nell’Adriatico.
Ma ancora nel 1953 e 1977 si tentava di carpire il segreto del sifone di entrata dell’arcano Timavo nelle vicine grotte di Trebiciano: l’immenso bacino di tutti i vasi comunicanti possiede delle dinamiche ancora sconosciute dominate da forze che sfuggono ai più sofisticati studi idrologici e idrodinamici.

Fonte: Mario Galli, “La ricerca del Timavo sotterraneo“, Edizioni del Museo Civico di Storia naturale, 2000, Trieste