Concerto al Castello

Vestito di tutto punto e al meglio della sua eleganza, Rainer prese il quaderno con i recenti versi pensando di leggerli dopo il concerto, seppur proponendoli come bozza. Ne era sufficientemente soddisfatto e ritenne che potessero essere una presentazione di sé in deferenza all’ospitalità che gli era stata offerta.
All’ingresso del Salone trovò Marie, che allegra ed elegantissima, lo prese per mano e lo condusse verso i salotti laterali.
– Venga Rainer, Le presento mio marito, il principe Taxis, mio figlio Alexander, sua moglie Marie e…. – guardandosi attorno però, inaspettatamente scomparve.
– Ohh signor Ilke, che piacere! Mia moglie mi ha parlato molto di Voi. Ho saputo che amate la caccia! – disse il principe stringendogli vigorosamente la mano. – Siete arrivato proprio al momento giusto! Mi ero proprio stancato di prendere solo dei fagiani, sono così insulsi… Ora sui monti dell’Ermada stanno pascolando dei piccoli caprioli: loro sì che hanno una carne tenera e saporita! Questo è mio figlio Alexander, bel ragazzo vero? Un vero principe! E questa è mia nuora Marie… Non è deliziosa?
– Onorato… – disse Rilke spaesato, chinando la testa.
– Piacere mio, caro dottor Rilke – rispose il giovane Alexander. – Non sapevo Vi piacesse la caccia. Di solito i letterati la detestano quanto chi ama la musica, vero cara?
– I miei figli non potrebbero neppure pensare di…
– Vogliate scusarmi. – proferì il principe Taxis – Continueremo dopo. Lietissimo signor Ilke… – e si diresse verso una coppia che stava entrando, già accolta dalle attenzioni di Marie.
– Dunque, dottor Rilke… – continuò Alexander – Voi parlate perfettamente il francese, giusto? Mi chiedevo se Vi occupate anche di traduzioni… Conoscete Mallarmé? Lo conoscerete senz’altro, che domanda! Sapete, il mio francese è piuttosto buono e a leggerlo solitamente lo comprendo, ma Mallarmé è davvero ostico, non Vi pare? Pensando di tradurre una parola non si comprende bene il verso, e anche quando ci si riesce, sfugge il senso.
– Straordinario l’incontro della poesia con lo studio del verso! – rispose Rainer prontamente.
– Il fatto è che quando si termina il poema non si è capito quasi nulla.
– Potrebbe darsi fosse necessaria una rilettura.
– O potrebbe darsi non ci fosse molto da capire, perché vedete, carissimo Rilke, una composizione può essere musicale… Per scrivere ci sono gli scrittori, per meditare ci sono i filosofi…
– Il poema racchiude tutto ciò, Sua Altezza, in una sintesi che estrinseca la materia con il sovrasensibile, il reale con la “res sensibilis”, che congiunge la nostra anima con quella di tutte le cose intorno a noi.
– Interessante quanto mi dite. Insomma questo Mallarmé ha scritto una lirica, L’après-midi d’un faune, che io ammetto di non avere forse capito, ma quando Claude Debussy la musicò, ecco, la suggestione sonora prese la forma di quel bosco popolato da gnomi, folletti e incantevoli fate che danzavano accompagnate da soavi flauti…
– Voi pensate dunque che la visione sia stata di Debussy anziché di Mallarmè che gliel’ha ispirata? Non potrebbe invece essere un’immagine Vostra?
– Oh magnifico! Effettivamente sono delle forme d’arte e questo modo d’interpretarle è davvero geniale! È un nuovo linguaggio, un felice incontro poetico!
Io amo moltissimo la musica, ma trovo così difficili gli spartiti musicali e così dure le corde del violino… Mi esercito da anni, ma non sono mai riuscito a dominare del tutto quello strumento, vero cara? – e osservò la moglie che lo guardava adorante.
– La mia paziente consorte non solo sopporta le mie esercitazioni, ma mi incoraggia pure! Allora pensate di tradurre questo astruso Mallarmè?
– Per la verità sono già occupato nelle astrusità mie per riuscire a occuparmi di quelle degli altri! Ma Vi prometto che se trovo qualche buona traduzione già stampata, Ve la spedirò senz’altro.
Degli applausi interruppero la conversazione. I musicisti stavano entrando nel salone e occupati i loro posti, iniziarono ad accordare gli strumenti.
– Avete ricevuto il programma, dottor Rilke? – chiese Alexander. – Purtroppo il nostro quartetto manca del signor Janesich, momentaneamente indisposto, così si è pensato di eseguire un trio, il Klaviertrios di Schubert. Peccato però, avrei desiderato ascoltare il Quartetto in la minore di Beethoven, proprio l’ultimo. Difficilissimo pezzo musicale, già di rottura con gli schemi classici, quasi antesignano della musica di fine secolo, grandiosamente creata dai Russi e…
– Alexander, per favore! – sussurrò la moglie strattonandogli delicatamente il braccio.
– Certo cara. Lietissimo di averVi conosciuto dottor Rilke! Avremo molto da discutere fra poesia, musica, arte…
– Con vero piacere, Sua Altezza.
Cercando inutilmente un posto defilato e vicino alla porta d’ingresso, Rainer fu alfine costretto a sedersi nella prima fila, accanto alla principessa e a suo marito, già in assetto composto, immobile e come assente. Sbirciando il programma che Marie gli passò con un gran sorriso e vedendo che erano previsti solamente due pezzi, pensò che per fortuna i concerti privati erano piuttosto brevi, considerato che venivano seguiti dai ricevimenti.
Ma fin dalle prime battute del concerto, fu investito dalla esplosione di una musica così sonora da risultare quasi assordante per il suo udito ipersensibile e gli accordi polifonici erano talmente vigorosi da farlo ricredere sulla fama romantica di Schubert.
Osservò il leggero movimento dei tendaggi e pensò che le folate di bora dovevano aver provocato un certo eccitamento all’estro interpretativo. Oppure il frastuono era causato dalla particolare risonanza del salone, non troppo adatto per una musica che di solito si ascoltava nei teatri, mentre nelle sale private venivano giustamente eseguite musiche da Camera.
La risonanza del violoncello era talmente penetrante da sentirla rimbombare nei timpani e propagarsi nei polmoni, che nella ricerca di ossigeno, costringevano il povero muscolo cardiaco a un surplus contrattile. Il suo volto sembrò rinsecchirsi dal calore che si concentrava nelle meningi degli emisferi cerebrali, ormai del tutto starati.
Come la cavernosa voce del violoncello si fermava, partiva quella acuta del violino, per poi sovrapporsi entrambe ma seguendo ognuna il suo motivo, per di più inframmezzato dalle note del pianoforte che seguiva ora l’uno ora l’altro, oppure, peggio ancora, li sovrastava entrambi con un eccesso di toni forti. Ormai avvolto dal panico, avvertì che il suo sommovimento sensoriale stava debordando dall’arduo controllo psicofisico fino a degenerare in uno stato extracorporeo.
Dopo un indefinito tempo di tale supplizio, un pietoso tappo occluse le sue personali quanto silenti trombe d’Eustachio, ma la sensazione che ne derivò si rivelò peggiore del male che l’aveva causata. Quell’improvvisa afasia uditiva aumentò la pressione endocranica a un livello ormai prossimo allo scoppio.
Il risultato fu un senso d’irrealtà talmente terrificante che gli sembrò di essere stato colpito da una paralisi fulminea. In un abisso di terrore vedeva i musicisti agitare su e giù gli archi dei loro strumenti e il pianista picchiare furioso i tasti del piano da destra a sinistra, nella mostruosa eco di suoni deformi. Alle sue spalle percepiva la folla umana che ascoltava estasiata quell’orrore sonoro mentre lui ne era compresso come fosse in mezzo alla forza centripeta di una voragine.
Incollato alla sedia, si sforzò di aumentare la profondità del respiro, ma il diaframma bloccato dall’angoscia, lo costrinse a respirare con la bocca aperta, sperando che si paralizzasse anche il labbro superiore per evitare almeno il suo imbarazzante tic nervoso.
Dopo un indicibile tempo di tale sofferenza, i boati cessarono e il suono degli applausi lo riportò a una percezione acustica più normale.
– Che splendido brano musicale! – sentì dire distintamente. Girando con fatica il collo irrigidito, incontrò lo sguardo radioso di Marie che applaudiva con entusiasmo.
“E che fortuna non fosse stato di un quartetto… Essendo un trio, era mancato il quarto elemento per la dipartita finale” pensò ancora stravolto.
– Siete accaldato, Rainer! So che non è abituato al particolare sonoro di una sala! Ma hanno suonato divinamente, vero? Che affiatamento!!
Rilke abbozzò un sorriso e si sforzò di applaudire, incapace di proferire parola.
Le congratulazioni ai musicisti e i commenti fra gli invitati gli diedero comunque una certa tregua. Ancora immobile, cercava di riprendere l’assetto mentale, o più precisamente, di sbloccare il plesso solare collegandolo al centro cerebrale. I rumori della sala sarebbero stati accettabili se l’insieme vociferante non fosse stato quasi più fastidioso di quel persistente tappo acustico, ma ciò che ora lo preoccupava era il potersi ritrovare vis-à-vis con il principe Taxis e i suoi poveri caprioli… Ma che diamine, sarebbe bastato spiegare il malinteso, non doveva mica scusarsi. Piuttosto sarebbe stato più impegnativo l’incontro con il principe Alexander, così edotto in cultura musicale.
Comunque nessuno sembrava curarsi di lui e alzandosi lentamente, constatò di aver superato il malessere causato da quei fragori, pur necessitando di aria fresca.
Osservò le tende e si accorse che avevano ripreso il loro consueto aplomb, dunque presunse che la bora si fosse calmata, ma non poteva certo sparire dietro a esse per uscirsene come un ladro. Doveva piuttosto trovare un pretesto per defilarsi con una certa eleganza.
Vedendo gli ospiti impegnati a parlare fra loro e Annette che andava e veniva con i vassoi dello champagne, decise di affiancarla e seguirla; così semplicemente uscì, senza essere richiamato.
Percorso il corridoio, scese al primo piano e dopo aver attraversato il salotto rosso, aprì la porta finestra della terrazza.
Il tumulto ventoso della mattina era del tutto svanito, salvo qualche breve folata che si disperdeva verso un cielo limpido e stellato. Nel golfo ancora agitato, le onde si frangevano sulla scogliera, rincorrendosi verso i profili delle coste.
Si trovava davvero in una strana parte di mondo, in altre terre di Leidland con le loro antiche leggende, la memoria di anime tormentate che qui avevano vissuto, amato, sofferto. I suoi lidi emanavano odori di bosco ma le loro brume potevano essere foriere di raffiche furiose; i flutti del mare spargevano profumi di salsedine ma poi montavano in schiume rabbiose.
Qui si percepiva il respiro della terra, sia che fosse flagellata dai venti o accarezzata dalle brezze.
Levò lo sguardo verso le mura di quel castello così pulsante di vita, avvolto dal suono dei violini e dal coro degli uccelli.
Ripensò alla piccola fortezza di Muzot, alle sue valli smosse dalle leggere arie di collina, ai suoi silenzi sotto cieli infiniti, alle sue storie di vita e di morte.
“ Le sofferenze mi seguiranno ovunque io andrò. In tutte le terre di Leidland ritroverò i miei tormenti…” pensò con infinita malinconia.
Ridestandosi dal suo stupore, ormai pervaso da una grande pace, s’incamminò verso le finestre illuminate.

(Da “Le Terre di Leidland” inedito di Gabriella Amstici)

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