Archivio mensile:dicembre 2012

ARTE & IMPRESA

Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento Trieste può vantare la diffusione di una nuova attività di grande successo e ottimi profitti: la promozione delle imprese commerciali con le immagini artistiche dei loro prodotti.
Il fortunato connubio ebbe inizio grazie all’intraprendenza di Saul Davide Modiano, originario di Salonicco, che nel 1868 approdò a Trieste per vendere cartine da sigarette, all’epoca molto richieste. Dopo essere passato alla produzione in proprio acquisì alcuni marchi di carte da gioco e rinnovando la grafica iniziò a stampare e distribuire quantità tali da essere identificato come sinonimo dei jeux de cartes stessi. Interessato alla comunicazione imprenditoriale quanto all’estensione del già florido giro di affari, Modiano iniziò a proporre delle campagne pubblicitarie per altre aziende creando dei manifesti con immagini colorate e accattivanti. L’immediato successo fu precursore di un nuovo settore dove arte e impresa avevano trovato un ideale quanto proficuo punto di contatto.
Se la diffusione dei prodotti Modiano fu certamente determinata dall’abilità commerciale e dal geniale intuito del suo fondatore, la fortuna del brand era dovuta anche al supporto degli artisti la cui fantasiosa inventiva divenne un irrinunciabile mezzo per aumentare i fatturati.
Sarà Giuseppe Sigon, pittore e antesignano disegner di manifesti promozionali a creare il settore cromolitografico dello stabilimento Modiano, stabilitosi dal 1873 in via dei Leo. Da direttore responsabile chiamerà a collaborare in azienda gli amici dello storico CircoloArtistico, attiva fucina di artisti nei primi decenni del Novecento come Scomparini, Lomza, Croatto, Cambon, Orell, Grimani, Wostry, Fiumani, Finetti, Timmel e altri giovani autori di quegli anni così gloriosi per Trieste.
Il lavoro editoriale di Sigon proseguirà fino al 1922, data della sua morte e di quella di Saul Davide Modiano.
L’iniziale impronta Art Déco sarà poi continuata con l’indefesso lavoro grafico del figlio Pollione con la collaborazione dei fratelli Bruno per il settore commerciale e Filiberto per il nuovo reparto di fotomeccanica.
L’apporto delle loro innovative tecniche contribuì anche all’espansione delle Assicurazioni Generali e alla fortuna delle compagne di navigazione Cosulich line, Lloyd Triestino, Tripcovich e Lloyd Adriatico che sponsorizzavano i loro viaggi con manifesti coloratissimi e atmosfere incantevoli.

Con il talento di Sigon e altri ingegnosi artisti il binomio Arte- Impresa decollerà dunque sul mercato con un’incredibile incremento degli affari. Sui cartelloni murali come sulle pagine di giornali e riviste, su locandine e libretti d’opera il collante del successo era dunque determinato dalla comunicazione dell’immaginario visivo con l’induzione del messaggio pubblicitario.

Marcello Dudovich
Parallelamente al successo della Modiano e dei suoi artisti, nel panorama della grafica tra l’800 e il ‘900 spiccano i nomi di due giovani allievi del maestro Adolfo Hohenstein, Marcello Dudovich e Leopoldo Metlicovitz che per il loro eccezionale talento incrementeranno gli affari delle nascenti industrie e lo stesso mercato pubblicitario che ne diverrà l’indispensabile mezzo divulgativo.
Marcello Dudovich, nato a Trieste nel 1878, dopo gli studi di pittura decorativa e le prime esperienze nell’ambito del Circolo Artistico, si impiegherà prima alle Officine Grafiche Ricordi di Milano creando i primi bozzetti per manifesti e successivamente nello stabilimento di Edmondo Chappuis a Bologna, dove inizierà la sua incalcolabile serie di affiches.
Ritornato alla Ricordi dopo il premio per il manifesto celebrativo del traforo del Sempione (1906), realizzò le famose illustrazioni pubblicitarie per le case di confezioni “Mele” di Napoli e “Sanguinetti” di Milano. Dopo l’immagine-cult del “Borsalino” per il marchio Zenit ed essersi trasferito a Monaco, firmerà delle storiche vignette per la rivista allora molto di moda “Simplicissimus”.
Trasferitosi a Torino durante il conflitto mondiale, produrrà locandine cinematografiche e cartelloni pubblicitari per Fiat, Alfa Romeo, Pirelli, Carpano. Ritornato definitivamente a Milano nel 1920 fonderà la società “Star” intensificando l’attività con le creazioni per la Rinascente e per l’IGAP (Istituto Grafico Affissioni Pubblicitarie) di cui diverrà direttore artistico fino all’anno 1936.
Dopo l’influenza dell’Art Déco, Dudovich studierà immagini con nuovi volumi e forme di gusto più novecentista puntando all’essenzialità del prodotto con slogan chiari, diretti ed efficaci anche per l’uso di un sottile umorismo.
Nella sua lunga e attiva vita di lavoro Dudovich si cimenterà in tutti i campi dove realizzare il suo inesauribile talento, realizzando anche le decorazioni a fresco della sala mensa e bar del Ministero dell’Aeronautica di Roma e della tenuta Amalia a Rimini del sen. Borsalino.
Dopo vari soggiorni in Libia, fonti di ispirazione per nuove bellissime immagini pittoriche, il grande Marcello Dudovich morirà a Milano nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile del 1962.

Leopoldo Metlicovitz
Anche un altro allievo di Adolfo Hohenstein, Leopoldo Metlicovitz nascerà a Trieste nel 1868 dividendo la fama di disegner con il più giovane e prolifico Dudovich.
Dopo aver iniziato l’attività a Udine come aiuto litografo, nel 1892 il Metlicovitz verrà assunto da Giulio Ricordi come direttore del reparto tecnico nelle Officine Grafiche di Milano. Dotato di grande abilità firmerà i suoi primi cartelloni pubblicitari, numerose scenografie per il Teatro alla Scala, illustrazioni di libretti d’opera, locandine, riviste, cartoline e calendari che gli daranno una fama a livello europeo.
Se inizialmente lo stile di Metlicovitz sarà influenzato dal gusto essenzialmente decorativo dello Jugenstil tedesco, successivamente assumerà i connotati più realistici dello stile Liberty con le sue affascinanti immagini femminili in primo piano. Già nel famoso manifesto delle Distillerie Italiane la giovane e sensuale donna che abbraccia voluttuosamente gli apparecchi a gas diverrà un emblema del “glamour pubblicitario”.
Dopo 46 anni di collaborazione con la Ricordi e la morte del suo fondatore Giulio, il Metlicovtz si ritirerà nella sua residenza di Ponte Lambro dove continuerà a dipingere fino alla morte sopraggiunta nell’anno 1944.

Nella cartellonistica giuliana del Novecento si distinguerà anche l’eclettico artista Glauco Cambon (Trieste 1875 – Biella 1930) che dopo la decennale collaborazione con l’impresa Modiano aprirà uno studio di grafica e pittura a Milano. Originalissimo disegnatore apporterà nei manifesti pubblicitari nuovi volumi usando tinte intense, sfumature di chiaro-scuro, effetti di luce e movimento dall’aspetto quasi tridimensionale. Della sua produzione pittorica si ricordano gli splendidi dipinti di Trieste che luccica sotto il ciglione carsico in una notte di plenilunio.

Argio Orell (Trieste 1884 – 1949) fu un altro eccezionale disegnatore che interagì con l’imperante stile floreale specializzandosi nelle illustrazioni librarie ricche di raffinati decori e allegorie storiche.

Un nome famoso del Liberty italiano fu senza dubbio Guido Marussig (Trieste 1885 – Gorizia 1972) poliedrico artista formatosi tra Trieste e Venezia, collaboratore della rivista “L’Eroica” e del gruppo grafico Ca’Pesaro.
Con l’incontro nell’anno 1916 con Gabriele D’Annunzio e la loro successiva amicizia, la sua fama crescerà a dismisura. Dopo aver decorato i velivoli della Squadriglia San Marco e il pomposo gonfalone di Fiume, ottenne gli allestimenti nella cittadella del grande Sacrario della guerra voluto dal poeta abruzzese. Con sconfinata inventiva il Marussig creerà giardini, vetrate, arredi, stemmi, vessilli affreschi e altorilievi assecondando il ridondante gusto “dannunziano” senza tuttavia tralasciare le molte altre attività cui si dedicò con eccezionali risultati. Dopo diverse progettazioni di architettura, arredi d’interno, sculture e decorazioni, si dedicò alla didattica e alla pittura, modificando progressivamente lo stile Art Déco in quello più novecentista.

Gli appassionati d’arte conosceranno certamente le opere di Vito Timmel (Vienna 1886 – Trieste 1949), estroso e geniale artista ingiustamente ignorato forse per non aver fatto parte dello star-system dell’epoca o anche per il temperamento scontro e misantropo che sconfinerà in un comportamento border-line fino alla dissoluzione esistenziale e alla pazzia dei suoi ultimi anni di vita.
Allievo di Eugenio Scomparini e dell’Accademia di Belle Arti a Vienna, autore di quadri “grandi come la vita”, di paesaggi dipinti con pennellate fortemente cromatiche e dalle atmosfere ora cupe e terrificanti come quelle descritte dai racconti di Poe, ora fiabesche e idilliache come nel dolce stile naif.
A noi piace ricordare il suo eccezionale talento, la fervida fantasia delle immagini oniriche, quasi felliniane”, i suoi pittoreschi pannelli eseguiti per il Cinema Ideal (all’epoca ospitato nel Palazzo RAS con l’ingresso nell’attuale via Dante) e per il teatro di Panzano (Monfalcone), in parte conservati oggi nella sala lettura del museo Revoltella.

Nelle scuderie della Modiano si distinguerà anche Gino de Finetti (Pisino d’Istria 1887 – Gorizia 1955) realizzando negli anni Trenta una fortunata serie di manifesti in cui i protagonisti sono i cavalli da corsa ripresi con pose dinamiche di grande effetto.

Con l’avanzamento del Movimento Futurista e di nuove tecniche, l’arte figurativa assume dei connotati più geometrici e astratti. Dalla scuola del Bauhaus emergerà Augusto Cernigoj (Trieste 1898 – Sesana 1985) che si specializzerà nell’inedito campo del fotomontaggio, procedimento grafico di frammenti fotografici ed effetti illusionistici che oltrepasseranno il lessico figurativo del vecchio mondo pittorico.

Dopo la seconda guerra mondiale e i radicali cambiamenti nella storia politica e sociale, la grafica assunse delle tecnologie ormai lontane dai cartelloni d’autore dove la creatività aveva ancora i connotati dell’arte e il gusto del bello. Per raggiungere obiettivi commerciali al passo con le realtà industriali, le imprese iniziarono a servirsi degli art-director, veri factotum delle comunicazioni pubblicitarie.
Con l’avvento della computergraphic l’arte figurativa ha subito delle radicali trasformazioni assoggettandosi sempre di più alle abilità tecniche e a strumenti elettronici sempre più sofisticati.
Eppure riguardando quelle vecchie affiches piene di colori e atmosfere si ritrova ancora l’emozione per l’insopprimibile gusto del bello.

Fonti:

Enciclopedia tematica del FVG – Collana d’Arte della Fondazione CRTrieste

Ricordo di Giorgio Strehler

Giorgio Strehler nasce a Trieste nel 1921 in una casa sul lungomare di Barcola.
Figlio di una violinista, il piccolo Giorgio trascorre l’infanzia in un ambiente stimolante, ricco di arte e di cultura. Dopo la prematura scomparsa del padre si trasferisce con la madre a Milano dove frequenta il liceo e successivamente la Facoltà di Giurisprudenza ma è il teatro la sua grande passione. Iscrittosi all’Accademia dei Filodrammatici si cimenta nelle prime prove d’attore con il gruppo Palcoscenico di Posizione rendendosi subito conto che nelle regie teatrali erano necessari dei cambiamenti.
Durante la seconda guerra mondiale parte al fronte ma ben presto si rifugia nel campo svizzero di Mürren (nei pressi di Berna). Con ambiziosa intraprendenza riesce a trovare dei fondi per mettere in scena Assassinio nella cattedrale di Elliot, il Caligola di Camus e Piccola città di Wilder. Da allora la sua ascesa artistica sarà inarrestabile.
Ritornato in Italia allestisce Il lutto si addice a Elettra di O’Neill collaborando come critico teatrale al quotidiano “Momento sera” sorto nel 1946. L’anno successivo fonda con l’amico Paolo Grassi il Piccolo teatro della Città di Milano, primo stabile pubblico in Italia di cui diverrà direttore unico.
Nelle oltre 200 regie Strehler si servirà di continui cambi di luce modulandone proiezioni e intensità ottenendo come un mago alchimista suggestioni oniriche dalle atmosfere incantate e piene di poesia. Sebbene fosse un regista-demiurgo Strehler ha sempre valorizzato i suoi sceltissimi attori che sulle scene davano il meglio di sé magnetizzando l’attenzione delle platee e suscitando grandi emozioni.
Da Shakespeare a Goldoni, da Pirandello a Cechov, da Brecht ad altri autori della drammaturgia contemporanea, il maestro metterà sempre in primo piano l’essere umano dando l’anima a personaggi davvero indimenticabili.
Oltre al Piccolo Teatro Strehler fonda a Milano la compagnia cooperativa Teatro Azione allestendo La cantata del mostro lusitano di Wiess e Santa Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht.
Per la sua preparazione musicale firmerà anche numerose regie teatrali dando nuovo vigore ai gesti scenici fino allora istituzionalizzati dalla tradizioni operistica.
Stimato per il suo impegno artistico, in costante tensione per realizzare le sue ambizioni e lo sconfinato talento, fu anche parlamentare europeo, senatore della Repubblica e riconosciuto dalla Legione d’onore francese.
L’appassionata vita del maestro finirà improvvisamente la notte di Natale del 1997.
Dopo il triste commiato a Milano da tutti i suoi attori e da quanti l’hanno molto amato, il mesto corteo raggiungerà la costiera di Trieste con un tramonto infuocato e i monti innevati come scenario di una storia ormai finita.
Sulla sua lapide al cimitero di Sant’Anna verrà scolpito il suo ultimo, toccante messaggio:
Portate con voi l’esempio di una moralità teatrale per un mondo migliore e più buono.”

Dopo lunghe trattative per risolvere complesse questioni ereditarie, nel febbraio 2005 la vedova Andrea Jonasson, attrice teatrale, e la compagna Mara Bugni doneranno al Comune di Trieste l’archivio privato di Giorgio Strehler, raccolto nelle sue case di Milano e Ruvigliana, ultima residenza svizzera.
Nelle 124 casse sono contenuti oltre 2000 libri, migliaia di riviste, carteggi con personalità del mondo del teatro, bozzetti di scenografia, copioni con appunti sui personaggi, registrazioni audio e fotografie degli spettacoli.
Grazie al contributo dell’Inner Wheel Club il Fondo Giorgio Strehler sarà esposto in una stanza del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Palazzo Gopcevic a Trieste.

Nella foto la casa natale sulla riviera di Barcola a Trieste

Fonte: Enciclopedia tematica del FVG, Touring Club Italiano, Milano

“BEETHOVEN”: un quadro copiatissimo

Questo famoso quadro intitolato “Beethoven” troneggia da più di un secolo in una Sala del Museo Revoltella di Trieste.
L’immagine dello scenografico dipinto (ben 4,20 metri per un’altezza di 2,02) non solo cattura gli sguardi per la sua suggestiva atmosfera ma racconta anche una tormentata quanto romantica storia iniziata alla fine dell’Ottocento in una vecchia soffitta di Montmartre. L’artistica mano che ha immortalato l’imponente tela appartiene all’artista toscano Lionello Balestrieri, nato in un’umile famiglia della dolce Valle dell’Oro a Cetona (Siena) nel lontano 1872. Dopo aver frequentato l’Accademia di Napoli gestita dal pittore Domenico Morelli ed essersi consacrato alle arti figurative, con l’entusiasmo della sua giovane età si trasferì a Parigi aspirando a raggiungere la fama o quantomeno a sbarcare il lunario. Come molti altri ragazzi di belle speranze ma di alterne fortune che pullulavano nei quartieri di Montmartre e Pigalle, Lionello visse e lavorò tra delusioni e difficoltà economiche dividendo i sogni e i miseri pasti con degli amici impegnati in varie specialità artistiche. Tra loro si unì il violinista Giuseppe Vannicola (Montegiorgio 1876 – Capri 1915), scapestrato rampollo di una benestante famiglia ascolana, dotato di notevole talento ma affetto da smodate manie esecutive. Costui era stato suggestionato dal singolare caso scaturito dall’estro del violinista inglese G. A. Bridgetower (1779-1860) che osò interpretare una sonata di Beethoven con un tale virtuosismo da indurre il maestro a inserire le sue variazioni nello spartito dell’opera. Con l’abile uso del violino il Bridgetower vi impresse infatti degli scatti rudi e selvaggi animati da un possente quanto spettacolare virtuosismo da trasformare di fatto l’originale testo beethoveniano (1). Così il creativo Vannicola amava eseguire arie famose apportandovi inedite performances secondo l’estro del momento. Le bizzarre esecuzioni che sottoponeva all’ascolto degli amici di sventura, sfinivano però l’esigua quanto annoiata platea suscitando i loro vivaci rimbrotti, scaturiti anche da abbondanti libagioni di laudano e del terribile assenzio.
“La musica è il grido terribile e supplicante che si leva dai luoghi profondi dell’abisso. La scala è il simbolo della sua ascensione, una scala infinibile che non ha inizio né fine” scrisse l’eccentrico violinista in una delle sue enfatiche pubblicazioni dove alternava l’esaltazione della musica tra l’amor sacro e l’amor profano. Dopo un’improvvisa quanto breve crisi mistica vissuta nell’Abbazia di Montecassino, il poliedrico artista s’innamorò perdutamente della ricca e aristocratica russa Olga de Lichnizki, iniziando un periodo di furore bibliofilo che non lo portò a una particolare fama ma che lenì la disperazione per essere stato costretto ad abbandonare il suo amato strumento per le conseguenze di una tremenda e progressiva artrite deformante.
“Spesso deliziava le pause delle nostre notti consacrate allo spiritismo con delle inebrianti cavate del suo magistrale violino”  lo ricordò il futurista Marinetti all’epoca in cui fiorivano le Riviste artistiche e letterarie.
Ma né la musica né la scrittura riuscirono a placare i tormenti esistenziali del Vannicola, esasperati dalla malattia e dallo smodato uso di sostanze alcoliche che lo condussero alla miseria e poi a un’improvvisa, tragica morte avvenuta in una spiaggia di Capri il 10 agosto 1915.

Durante gli anni di stenti vissuti nelle soffitte di Montmartre, il Balestrieri ideò di dipingere un grande quadro che rappresentasse quelle serate animate dall’amico Vannicola al cospetto dei suoi compagni di sventura. Dopo un estenuante lavoro il risultato finale fu talmente soddisfacente da destare immediatamente l’interesse dei mercanti d’arte e soprattutto di un astuto editore tedesco che con grande tempismo acquistò i diritti di riproduzione dell’opera. Il giovane e ingenuo Balestrieri, pagato con una cifra piuttosto modesta, non comprese subito il danno che gli sarebbe derivato né tantomeno immaginò di vincere il primo premio della prestigiosa Esposizione Internazionale al Salon di Parigi nell’anno 1900. Nonostante il “Beethoven” fosse stato stroncato da alcune poco benevole critiche della “Gazzette des Beaux Arts” e di qualche collega invidioso, l’opera pittorica fu molto apprezzata per la sua magica scena musicale che infatti fu copiatissima.
Stupito dall’inaspettata fortuna il Balestrieri osò sperare che il quadro fosse acquistato dal Governo Italiano quantomeno nell’esposizione alla IV Biennale di Venezia dell’anno successivo. Fatto che non avvenne ma che permise l’acquisto da parte dell’importante Galleria d’Arte del Museo Revoltella di Trieste dove ancora oggi si trova e suscitando dopo più di un secolo le stesse emozioni di allora.
Dopo il clamoroso successo conquistato a Parigi, il Balestrieri ritornò in Italia dove continuò a lavorare indefessamente su bozzetti, studi, disegni per collezionisti e scenografi ottenendo anche la presidenza della Società degli Artisti Italiani. Oltre ai quadri che espose in tutta Europa e perfino a Buenos Aires, in riscatto di tutte le scadenti copie del suo “Beethoven” si dedicò anche allo studio dell’incisione (metodo che permetteva appunto una facile riproduzione) e abbinando pennelli e bulino acquisì la capacità di eseguire lavori in punta secca, acquaforte e acquatinta. Così, dopo una lunga quanto infruttuosa corrispondenza con il curatorio del Museo Revoltella per impedire ulteriori copie del suo famosissimo quadro, Lionello Balestrieri divenne paradossalmente il riproduttore di sé stesso, riducendo i tempi d’esecuzione e aumentando i suoi guadagni.
Nel 1958 concluse la sua una lunga vita di lavoro e di soddisfazioni nella nativa Valle dell’Oro a Cetona.

Nel quadro “Beethoven” sopra riportato si riconosce in primo piano lo stesso Lionello Balestrieri corrucciato e indifferente all’abbraccio della ragazza con lo sguardo perduto. Sul lato destro è raffigurato il violinista Giuseppe Vannicola accompagnato al piano da un uomo di spalle che sta suonando per l’uditorio di amici. Sullo sfondo si nota una copia in gesso della maschera mortuaria di Beethoven.

(1) La Sonata per pianoforte e violino op. 47 di Ludwig van Beethoven, forse per una ripicca verso il musicista inglese che sfidò il suo genio, fu poi curiosamente intitolata “Sonata Kreutzer” dal nome del violinista francese che riportò le variazioi interpretative del Bridgeower nella pubblicazione dello spartito (1805).

Fonti:

Lionello Balestrieri, Edizioni Pananti, Firenze, 2000

Grande storia della musica, Fabbri Editori, Milano 1978

Giuseppe Vannicola, Il veleno, Sellerio Ed.,Palermo, 1981

PARIGI – gennaio 1910” (Da Le terre di Leidland, Gabriella Amstici, Trieste, 2010)

“Consumato un frugale pasto al bistrot Nicot di via Raspail, Rainer decise di raggiungere a piedi la stazione di Varenne in direzione Pigalle. Trovandosi in mezzo al caotico via-vai cittadino e intirizzito dalle umide e fredde correnti del Nord, quasi si pentì d’essersi allontanato dalla pace del suo studio, ma ormai la passeggiata era stata decisa e conveniva quindi predisporsi a un pomeriggio piacevole.
Dopo il percorso sull’affollato metrò, scese alla stazione d’Anvers per risalire verso piazza Saint-Pierre. Alzando lo sguardo vide la collina sotto Montmartre, già prossima alle fioriture primaverili che si annunciavano con minuscole gemme sugli alberi e sottili fili d’erba fra la terra ancora arida.
Gruppi di giovani e di turisti si avviavano con passi spediti verso la cattedrale del Sacro Cuore, che si stagliava imponente e bianca nell’indaco del cielo.
Fermatosi per riprendere fiato dopo le prime salite, Rilke si appoggiò su uno dei terrazzi: Parigi si stendeva come uno smisurato, immobile plastico sotto un velo di nebbia acceso dalle luci giallastre della città e dai riverberi grigioverdi dei tetti. La sua mente era ora libera da ogni affanno mentre sentiva di dover salire fin lassù per uno strano richiamo interiore. Poi sarebbe stato forse colto dall’immensità del Nulla, come spesso gli accadeva quando si trovava appena più in alto della consueta dimensione rasoterra, tuttavia voleva procedere. “Weiter oben!” dunque. Aveva trascorso mezza vita nell’andare sempre avanti, pur senza aver avuto mai un vero punto di partenza e meno che mai di arrivo.
Riprendendo a risalire le scalinate a forma di due ottagoni, proprio sotto il Belvedere di rue Lamark, avvertì degli intensi odori di legni bruciati mischiati a quello dell’affumicatura di carni grasse.
Superate le ultime terrazze, l’altera cattedrale era ormai davanti a lui. Stregato da quell’atmosfera, seguì la scia di gente che si avviava verso il cuore di Montmartre con vo-ci e risate sguaiate, del resto intonate alle loro appariscenti sciatterie. Giovani fanciulle dai volti involgariti da trucchi marcati e approssimativi, si guardavano intorno con maliziosi sorrisi rivolti ai numerosi uomini che si aggiravano solitari, e strusciando fra le loro sudicie gonne, scostavano e riavvolgevano i pesanti scialli di lane stinte, lasciando intravedere le generose scollature.
Rilke, osservando la folla che voleva distogliere l’attenzione verso quelle miserie la cui povertà veniva invece quasi esibita, si diresse verso la piazzetta du Tertre, dove fu investito da un mare di colori che si sprigionava dalle tele appoggiate su traballanti treppiedi o sugli schienali di vecchie sedie.
Alcuni artisti disegnavano con una certa abilità i volti di compiacenti ragazze che cercavano più che altro di attirare i clienti, altri richiamavano l’attenzione sui quadri in vendita.
Già pensando di allontanarsi da quella disordinata confusione, Rainer fu attratto da un dipinto di notevoli dimensioni montato su un cavalletto di buona fattura. La luce del cielo si rifrangeva sulla tela ad olio che già emanava una propria luminosità da un’invisibile lampada, e sembrava dar vita alle diverse anime dei personaggi raffigurati. Osservando la scena nel suo insieme, si aveva la sensazione che in quella stanza fosse accaduto un avvenimento tragico o che fosse atteso il suo epilogo.
In primo piano un bellissimo giovane, dai lineamenti affilati e uno sguardo severo, quasi indurito, era seduto su un grande sofà, del tutto indifferente alla tristezza di una ragazza bionda che gli si stringeva al braccio. Un uomo a loro vicino, appoggiava la testa fra le mani in un gesto di apparente disperazione o forse di concentrato ascolto della musica che lì si stava suonando a mezzo della mano protesa sui tasti di un piano e di un violino impugnato da una figura maschile. Sulla parete in penombra, fra lo spartito musicale e la sagoma di un altro personaggio seduto su uno sgabello, si notava il calco mortuario del volto di Beethoven.
Con un improvviso balzo, una donna con le mani sui fianchi, si portò davanti al quadro.
– È un Balestrieri, monsieur! – annunciò ad alta voce. Rilke, sorpreso da quell’inaspettata presenza, sobbalzò appena. – Il più bel quadro del secolo! – Rainer si soffermò su quel viso che rivelava una giovinezza precocemente sfiorita. Alcuni ciuffi della massa di capelli scoloriti, ricadevano in disordine sui grandi occhi chiari, deturpati dal trucco sfatto.
– Vi interessa acquistarlo, monsieur? – chiese la giovane, dischiudendo in un sorriso le labbra imbellettate.
– Che peccato signorina, che peccato io non abbia una casa degna di accoglierlo… Non abito neppure a Parigi del resto, ma il quadro è davvero bello…
– E’ una copia, monsieur! – Un uomo alto e grosso si affiancò alla ragazza, che si spostò appena con un moto di fastidio. – E non è certo sua! – aggiunse osservandola dall’alto. – Vattene Claudine!! Mi fai scappare tutti i clienti! — La ragazza alzò gli occchi verso l’uomo e aprì la bocca come per voler dire qualcosa, ma poi voltò le spalle e scomparve tra la folla.
– Beh, per la verità stavo osservando questo quadro, non necessariamente con intendi-menti d’acquisto, ma con queste maniere qui i clienti scapperanno davvero! – interloquì Rilke osservando l’uomo.
– Oh mi perdoni, monsieur! Ma ogni volta che mi allontano di pochi metri, quella donnina si fionda davanti a questo quadro come fosse suo per il solo fatto di essere stata ritratta. E’ insopportabile, ha come un’ossessione, me la ritrovo sempre intorno… Vi dicevo, monsieur, che questa è certamente una copia, ma come potete vedere da Voi, è di ottimo livello! – e spostandosi di poco, indicò con la mano la scena che Rilke aveva osservato.
– Il quadro originale è stato eseguito ormai dieci anni fa dal grande Lionello Balestrieri, vincitore di un primo premio al Salon di Parigi. Se non s’arricchì con questo quadro! Cinquemila franchi, monsieur, cinquemila! E poi la fama, gli articoli sui giornali… Il nostro caro Lionello ebbe ben motivo di montarsi la testa e così puff… Da un giorno all’altro praticamente scomparve, portandosi via tele e colori, fregandosene di tutti i suoi amici con cui aveva diviso il pane e i sogni di gloria… Adesso fa l’artista ricco a Montparnasse, ri-producendo il suo fortunato quadro in decine di copie che continua a farsi pagare profu-matamente. Per la verità, monsieur, questo è la copia di una copia, ma costa la metà della metà, pur essendo fatto da un artista bravo quanto lui! – L’uomo si spostò e con un breve inchino allargò le braccia verso il quadro – E quest’artista è qui in carne ed ossa davanti a Voi. Ramòn Balancieur, per servirVi. Balancieur è un nome d’arte sa, un po’a te e un po’ a me… – e voltandosi levò le braccia sopra le spalle e le agitò ripetutamente nell’aria per sollecitare un applauso da parte della folla. Ci fu invece un gran silenzio e Rilke s’accorse che dei volti si erano girati verso di lui aspettando le sue mosse. Lisciandosi il baffo con lieve imbarazzo, contrariato da tutti quegli sguardi che lo serravano a cerchio davanti a quel quadro inquietante, decise di svignarsela da quella massa di mentecatti dove regnava non il nobile spirito di geniali artisti, sia pur squattrinati, ma le ripicche e le gelosie verso chi potesse guadagnare qualche franco in più degli altri.
– Convengo le capacità dei Vostri prolifici estri artistici, ma per oggi non avevo previsto nessun acquisto. Caso mai, in futuro… –
– Balancieur, monsieur, non dimenticate questo nome. Vi farei un buon prezzo per questo capolavoro qui e per ogni altra riproduzione che soddisfi il Vostro raffinato gusto! Sempre qui per servirVi, monsieur! – e si girò per cercare l’approvazione dei colleghi, che invece avevano già distolto la loro attenzione.
– Buona fortuna a tutti! – esclamò Rilke alzando brevemente la mano in segno di saluto collettivo, e dando un’ ultima occhiata al quadro, si allontanò di qualche passo.
– È un falso! È un falso! – senti dire da una voce forte e rauca. Girandosi di scatto si ritrovò vis-à-vis con un grosso pappagallo verde e giallo che ciondolava ritmicamente sulle zampe ancorate da una catenella all’asse del cavalletto. Tra un coro di risate, si fece varco in mezzo alla folla che si era formata intorno e abbassando la falda del cappello, con un gesto più di stizza che di saluto, si diresse verso il lato della piazza, deciso a recarsi in un bistrot per bere qualcosa di caldo. Il cicalio delle voci sfumò nell’aria, mentre il vocione del pappagallo continuava a ripetere:
– È un falso!… È un falso!…”

Gabriella Amstici